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 Le regole dell'internet

Il convegno "Internet e privacy - Quali regole?"
L'autodisciplina è difficile se la politica resta repressiva
di Manlio Cammarata - 14.05.98

Il convegno del Garante per la protezione dei dati personali che si è svolto a Roma la settimana scorsa ha indicato alcuni punti fondamentali per la regolamentazione di Internet, ma ha suscitato anche qualche non trascurabile preoccupazione sulla cosiddetta "volontà politica" dei nostri governanti.

I punti fermi, da segnare all'attivo del bilancio finale sono:
1. la visione della protezione della riservatezza come questione da considerare strettamente connessa agli altri problemi di Internet in Italia, dai costi per gli utenti a quelli per i provider, dalla concorrenza all'alfabetizzazione tecnologica, dalla protezione dei minori alle responsabilità degli operatori;
2. l'inutilità di una legislazione nazionale dettagliata e svincolata dal contesto internazionale, con la conseguente necessità di definire una sorta di ius mercatorum al di fuori degli ambiti territoriali di applicazione delle leggi nazionali;
3. l'importanza dei codici di autoregolamentazione, come complemento della legislazione e non come "supplemento", cioè come mezzo per colmare i vuoti legislativi, che devono essere eliminati.
Come corollario della complessità di questi aspetti, è stato chiesto un rinvio dei termini previsti dalla legge 676/96 per l'emanazione dei decreti legislativi di integrazione della 675/96, anche in considerazione della prevista formulazione di normative a livello europeo. E Rodotà ha avanzato anche l'ipotesi di chiedere al Parlamento una revisione delle norme penali, da tutti giudicate troppo severe.

I motivi di preoccupazione si riassumono in due punti:
1. una visione ancora sostanzialmente repressiva della regolamentazione di Internet da parte delle autorità di governo;
2. l'assenza di incentivi, seri ed efficaci, per lo sviluppo della Rete nel nostro paese, accompagnata dalla presenza di "disincentivi" come le tasse per i provider, i costi di connessione e il ritardo nell'effettiva liberalizzazione del mercato.

I limiti dell'autoregolamentazione

Per una rassegna meditata delle diverse opinioni emerse in una giornata e mezza di interventi è meglio aspettare la pubblicazione degli atti. Ora è opportuno, anche se solo sulla base di frettolosi appunti sonori, dare conto degli opinioni più interessanti e dei risultati del dibattito.

Della relazione introduttiva del presidente Rodotà ho già riferito sommariamente nel numero speciale dedicato al convegno. Rodotà, seguendo la sua ben nota linea di pensiero, è partito da una visione articolata e matura della Rete come "modello sociale": E' uno spazio sociale, uno spazio politico, uno spazio economico, uno spazio altamente simbolico, che permette nuove forme di rappresentazione del sé, incide sulle identità, consente nuove forme di espressione e di esperienza artistica. Non sono spazi separati. Non si può pensare Internet sezionaldola. La globalità della rete non riguarda soltanto il fatto che si stende sull'intero pianeta ed è veramente oggi la forma estrema di globalizzazione. Internet è inseparabile. Non è solo un sistema di vasi comunicanti, è appunto "una rete", per cui noi non possiamo pensare lo spazio economico di Internet come a qualcosa di separato; pensare alle regole del commercio elettronico senza perciò riflettere sugli effetti che tutto ciò potrà produrre, ad esempio su Internet come spazio sociale, su Internet come spazio pubblico per definizione.

Con questo punto di partenza, è logico che il convegno abbia assunto il tema della protezione della riservatezza come nucleo di una discussione più ampia, che ha affrontato tutti i problemi delle regole di Internet. Di riservatezza si è parlato, naturalmente, e anche con interventi di notevole spessore. Come quello di Yves Poullet, che ha dato una descrizione completa dei rischi per la privacy connessi dalle attività on-line, o quello di Spiros Simitis, che ha una lunga esperienza come garante in terra tedesca e ha sottolineato la necessità di una regolamentazione "leggera". Che è stato il tema affrontato dalla maggior parte dei relatori, con accenti diversi, ma anche con alcuni punti essenziali in comune, sui quali vale la pena di soffermarsi.

Giovanni Buttarelli, segretario generale del Garante, ha richiamato l'annosa discussione tra "eccesso di regole e istanze libertarie" e ha ammonito: c'è una terza via, una soluzione che veramente permette di miscelare una base di fondo di regole giuridiche con tutta una serie di strumenti flessibili, che possono riguardare l'aspetto contrattuale, che possono riguardare l'aspetto deontologico, che possono riguardare la ricerca degli incentivi verso la creazione di tecnologie cosiddette "pulite". Sbaglia chi crede che le leggi tradizionali sulla privacy possano essere applicate automaticamente, senza bisogno di qualche adattamento. E questo è facile constatarlo guardando anche le leggi italiane, che contengono anche una disposizione abbastanza originale, che prende atto di questa difficoltà di un'applicazione automatica di queste disposizioni e prevede degli adattamenti. Ma degli adattamenti a quale scopo? Quale deve essere l'obiettivo di questa precisazione normativa? Fino a che punto poi può spingersi il legislatore? Uno dei tanti slogan che si sono avvicendati in passato si basava su questa assunto: ciò che avviene on-line non deve essere guardato con sfavore rispetto a ciò che avviene off-line. Ebbene, ci chiediamo, questo assunto può essere rovesciato, nel senso che anche on-line occorre garantire ciò che avviene off-line? E occorre garantirlo con nuove regole o è sufficiente adattare quelle che già esistono nell'ordinamento? Ci possono essere garanzie efficaci, e non di puro stile, date da formule contrattuali, o attraverso dei codici deontologici? C'è bisogno veramente di "garantire" che la posta elettronica sia uno spazio garantito, o possiamo arrivare a questo in base alla stessa interpretazione della norma costituzionale, prima ancora di guardare le norme che hanno interpolato il codice penale?

Ha risposto il costituzionalista Ugo De Siervo, uno dei componenti del Garante: le caratteristiche di Internet riducono la speranza che una disciplina esclusivamente legislativa sia davvero idonea e sufficiente, ma d'altra parte la grande consistenza degli interessi in gioco, la notevole delicatezza di tanti profili personali posti a rischio dai cattivi usi di questo strumento, rendono palese l'insufficienza dei soli strumenti di autodisciplina posti in essere dalle categorie o dai soggetti più direttamente interessati. Il vero problema è quindi la formazione di efficaci cocktail di fonti, quali pubbliche e quali categoriali, quali tecniche e quali contrattuali. Basti pensare ai diversi problemi posti dalla telemedicina o dal commercio elettronico. E' impreciso parlare genericamente di fonti statali o invece di autodisciplina, perché ben difficilmente si possono ipotizzare in materia fonti statali minuziosamente analitiche, mentre dall'altra viene solo raramente proposta un'autodisciplina integralmente libera. Ma si pensa piuttosto anche su questo versante a forme più o meno obbligatorie di autodisciplina, o forme di autodisciplina sottoposte a qualche tipo di controllo pubblico e ne abbiamo alcuni esempi nella stessa legge 675/96.

Qui troviamo la chiave del problema, che diplomaticamente De Siervo pone in termini ipotetici: visto che difficilmente la legge può essere "idonea e sufficiente", visto che non si può porre un'alternativa tra la legge e l'autodisciplina, non resta che l'autodisciplina sotto il controllo della legge. A questo punto rimane solo il dubbio se queste forme di autodisciplina possano essere "più o meno obbligatorie", considerando che il controllo pubblico non avrebbe senso su un'autoregolamentazione facoltativa.

La responsabilità dei provider...

Questo è uno dei temi centrali delle regole di Internet, soprattutto sotto il profilo dell'intervento legislativo. Se ne è occupato, in una lunga disquisizione, il ministro Giovanni Maria Flick: Ci possono essere ipotesi o di regole legislative o di forme di autodisciplina da parte dei soggetti che interagiscono attraverso Internet, i fornitori di rete, i fornitori di servizi di telecomunicazioni, i provider. Regole giuridiche o forme di autodisciplina dirette entrambe a individuare forme di responsabilità specifica per ciascun soggetto...
La soluzione, già complessa di per sé, si complica però ulteriormente appena si pensi che è necessario garantire un controllo sui siti Internet dedicati ad argomenti particolari, cui acceda un numero aprioristicamente indeterminabile di fruitori, senza differenziabilità di accessi. Perché si tratta di assicurare la identificabilità di coloro che contribuiscono al sito fornendo la relativa documentazione, in vista della tutela di taluni soggetti deboli, penso ad esempio ai minori, penso a tutte le tematiche che sono particolarmente sentite in Italia, e non solo in Italia, sul tema del rapporto tra pornografia e sfruttamento dei minori...
A livello di soluzioni normative nel quadro della prevenzione, lo strumento più utile e certamente di più agevole formazione sarebbe, nel contesto dei principi internazionali che si andranno affermando, l'autoregolamentazione. Solo in seconda battuta, e nel quadro di riferimento che si sarà formato a livello internazionale e a livello di autoregolamentazione, sarà utile l'intervento dello Stato anche per l'elaborazione degli strumenti di individuazione delle responsabilità. In questo senso dal documento finale della conferenza interministeriale di Bonn, al punto 41, emerge l'impegno dei ministri - ci riteniamo vincolati a un impegno - a una definizione precisa delle norme giuridiche in materia delle responsabilità delle parti nell'intera materia che va dalla creazione all'utilizzo di contenuti...
Le norme in tema di responsabilità per i contenuti dovrebbero basarsi su una serie di principi comuni, tali da garantire condizioni paritarie in base alle quali gli intermediari, i gestori di reti, i fornitori di accesso, non dovrebbero in linea di massima essere responsabili dei contenuti, dovendosi per contro valutare se tali intermediari abbiano ragionevole motivo di conoscere i contenuti in oggetto e siano ragionevolmente in grado di controllarli. Vorrei solo sottolineare come il problema della responsabilità del provider si complica enormemente solo che pensi alla necessità di soluzioni normative differenziate a seconda del tipo di servizio che di volta in volta viene in considerazione, nonché, nell'ambito dello stesso tipo di servizio, alla diversa gravità degli illeciti commessi via rete. Penso ai siti per pedofili, argomento di cui tanto si parla in questo periodo, in relazione ai quali la possibilità di ipotizzare una corresponsabilità del gestore, secondo uno schema di responsabilità per omesso controllo a titolo di colpa analogo, ad esempio, a quello in materia di reati a mezzo stampa, potrebbe essere applicabile in astratto, ma dovrebbe essere verificato alla luce dell'impossibilità materiale e giuridica, nella maggior parte dei casi, di esercitare questo controllo anticipatamente o anche in tempo reale
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Sembra di capire, traducendo alla buona la complicata prosa del ministro, che egli sia favorevole all'attribuzione di forme di responsabilità degli operatori, ma non sappia come fare. Certo è che un progetto di attribuire la responsabilità sui contenuti a "i fornitori di rete, i fornitori di servizi di telecomunicazioni, i provider", non potrà fare molta strada. Ma che il ministro abbia intenzioni serie è dimostrato da un altro passaggio, che ha fatto correre un brivido lungo la schiena dei presenti: sistemi di protezione attraverso la cifratura delle trasmissioni, con l'individuazione dell'autorità che deve conservare le chiavi per decrittare i messaggi... Rispunta il "key escrow"!

La risposta alle intenzioni del ministro Flick è, ancora,nella relazione introduttiva di Stefano Rodotà: ...è un problema che si ricollega alla questione della responsabilità dei providers. Voi sapete che è una questione aperta e io mi limito qui, poiché sarà certamente oggetto di ulteriori discussioni anche in questa mattinata, a segnalare soltanto un problema.
Se noi facciamo gravare un eccesso di responsabilità sul provider, sia responsabilità penali che civili, nel senso di farne i responsabili dei danni arrecati a coloro i quali usano la rete, noi, consapevoli o meno, possiamo avviare dei processi di censura, nel senso che se il provider sa che, ammettendo forme anonime che non potranno essere superate, alcuni soggetti in rete arrecheranno danni a terzi e sarà poi il provider a doverne rispondere, perché non potrà essere superata la barriera dell'anonimato, il provider, per ovvie ragioni di autodifesa, selezionerà in modo molto rigoroso non solo coloro i quali sono inaffidabili dal punto di vista economico, ma anche quelli che possono apparire scomodi o pericolosi per le opinioni che esprimono.
Quindi noi affermiamo in astratto la libertà della rete, ma facciamo del provider un censore istituzionale, rischiamo in questo modo di entrare in contraddizione con un altro dei caratteri che alla rete viene attribuito, quello di essere un potente strumento di disintermediazione. Si dice: la possibilità del contatto diretto, superare gli intermediari tradizionali. E' vero, la comunicazione punto a punto. Ma se noi, di questo intermediario tecnico che è il provider, facciamo anche un intermediario sociale, un filtro giuridico, ricostituiamo condizioni di intermediazione in modo sicuramente pericoloso
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...e le responsabilità del Governo

Il discorso del ministro Flick è preoccupante, perché dimostra la persistenza di un'impostazione censoria e repressiva che non può giovare allo sviluppo di Internet, anche se è apparentemente mitigata da una serie di "distinguo" sull'impossibilità pratica e giuridica di mettere in opera censura e repressione.
Ma anche dal secondo rappresentante del Governo intervenuto al convegno, il vicepresidente Walter Veltroni, abbiamo ascoltato note poco confortanti. Veltroni si è diffuso nel discorso ormai risaputo - e forse sotto qualche aspetto superato - delle opportunità e dei vantaggi offerti da Internet, ma al momento di trarre le conclusioni ha richiamato, come esempio di buona legislazione, la
proposta di legge sulla pedofilia, nella quale una norma dice: "Chiunque distribuisce o divulga, anche per via telematica, materiale pornografico di cui al primo comma o notizie finalizzate allo sfruttamento sessuale dei minori degli anni diciotto è punito...
E' stato fatto notare ai legislatori come l'espressione "anche per via telematica", sia assolutamente inutile dal punto di vista giuridico, ed è stato risposto che in questo modo si intende sottolineare... la particolare pericolosità di Internet!

Se questa è la visione di Internet che hanno i nostri governanti, a chi dobbiamo appellarci?
E per fortuna - o per sfortuna? - al convegno non si è visto quello che dovrebbe essere il titolare del dicastero più direttamente coinvolto nella discussione, il ministro delle comunicazioni Maccanico. Al quale qualcuno avrebbe voluto chiedere, tanto per incominciare, qualche informazione sui progressi della liberalizzazione del mercato, sugli abusi di posizione dominante da parte del "monopolista uscente" e via discorrendo.
Lo ha fatto, alla fine del convegno, il presidente dell'Associazione italiana Internet providers, Marco Barbuti, che però ha dimenticato un altro punto rilevante, toccato da altri oratori: gli importi smisurati dei contributi per le autorizzazioni generali che devono essere versati dagli Internet provider o aspiranti tali, importi che costituiscono una "barriera all'ingresso" e una discriminazione che contrasta con l'asserita volontà di promuovere lo sviluppo della Rete nel nostro paese. Fra l'altro, è di ieri (13 maggio) la notizia che l'Unione europea ha aperto una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia e di altri stati membri, proprio per le "barriere all'ingresso" opposte ai nuovi operatori delle telecomunicazioni.

E sulla miopia politica che contraddistingue le iniziative italiane in questo settore si è soffermata con la consueta chiarezza anche la commissaria europea Emma Bonino, del cui intervento riportiamo a parte alcuni passaggi particolarmente interessanti, a chiusura di questa cronaca forzatamente incompleta.

Su diversi altri aspetti toccati nel corso del dibattito torneremo in dettaglio nel prossimo futuro, in particolare su quelli del commissario europeo Mario Monti (con l'interessante prospettiva dello "spazio giuridico europeo") e quello del presidente della Rai, Roberto Zaccaria, nella tavola rotonda conclusiva. Alla fine della quale gli "internauti" più appassionati hanno avuto la sensazione di scoprire un collega proprio tra i componenti del Garante: l'ingegner Claudio Manganelli. Un motivo (ma basta?) per essere ottimisti sul futuro delle regole di Internet.