La nuova prima pagina di InterLex, impostata "a rullo" per rendere
più evidente il senso di continuità dei nostri discorsi, oggi è rivelatrice
di una situazione allarmante. Infatti, tra tanti problemi che coinvolgono
gli aspetti giuridici dell'uso delle tecnologie, da molti giorni restano in primo piano
questioni che riguardano la protezione dei dati personali.
Sul numero scorso si parlava dell'affaire Telecom, con la rumorosa
esplosione di un aspetto critico della raccolta e conservazione di
impressionanti quantità di dati di milioni di cittadini. Lo segnaliamo,
inascoltati, da anni. Mettendo in evidenza, soprattutto, che l'esistenza stessa
di queste informazioni è un rischio per tutti. Perché neanche le misure di
sicurezza adottate nel pieno rispetto della legge, e con i più aggiornati mezzi
tecnologici, possono garantire che dei dati non venga fatto un uso improprio ai
danni degli interessati (vedi Intercettazioni e dossier illegali: quis custodiet
custodes?).
Oggi i riflettori sono puntati sul "caso" delle Iene. I fatti sono
noti: alcuni parlamentari sono stati sottoposti, a loro insaputa, a un semplice
esame che rivela il recente uso di sostanze stupefacenti. La percentuale di
"positivi" è impressionante. L'esperimento è stato condotto in modo
che nessuno, neanche gli autori della trasmissione, possa sapere a chi siano
collegati i "tamponi" rivelatori: dati anonimi, dunque, che rendono
molto discutibile l'intervento censorio del Garante per la protezione dei dati
personali (vedi Il caso “Le Iene” e la funzione del
Garante di Andrea Monti).
Ma la polemica non scoppia su questo punto, che pure è fondamentale in uno
stato di diritto. Si discute se sia giusto che i cittadini conoscano certi
particolari della vita privata dei parlamentari: "Se un deputato è
tossicodipendente, è bene che gli elettori lo sappiano", dice l'onorevole
Pierferdinando Casini e il Parlamento si divide tra fautori e avversari di un
"antidoping" istituzionale obbligatorio. Non è questo il punto
essenziale. A ben guardare, la
vicenda apre due questioni molto più delicate: quello della politica del
Garante e quello della censura dell'informazione.
Prima questione. Pochi giorni fa lamentavamo la scarsa solerzia del Garante
nel verificare le modalità di trattamento delle informazioni conservate nelle
banche dati degli operatori telefonici. Constatato che i trattamenti presentano
gravi rischi per la privacy di milioni di cittadini, l'autorità ha
semplicamente concesso un
termine, poi prorogato, per "mettere a norma" gli archivi. Un
intervento alquanto leggero.
Invece, nel caso dei dati (anonimi) dei parlamentari, si è mosso con assoluta
tempestività e mano pesante, vietando la trasmissione dell'inchiesta.
Due pesi e due misure? Sembrerebbe di sì: alcuni cittadini sarebbero più
garantiti di altri, che non hanno mezzi per fare pressioni sul
custode supremo della riservatezza.
Seconda, e ancora più grave questione. L'azione del Garante è, tecnicamente e giuridicamente,
una censura sull'informazione, espressamente vietata dall'articolo 21 della
Costituzione. Il decreto legislativo 196/03, il cosiddetto "codice della
privacy", dà al Garante la facoltà di bloccare i trattamenti di dati
svolti in violazione delle norme. Può questa facoltà estendersi fino alla
censura dell'informazione?
Un costituzionalista direbbe che si deve valutare il bilanciamento tra due
diritti fondamentali, quello della dignità personale e quello della libertà di
espressione. Attenzione alla risposta, perché in un caso è in gioco l'essenza
stessa della democrazia.
Questi sono i problemi veri messi in luce dall'ultima vicenda. Se sia bene o
no sottoporre tutti i parlamentari all'antidoping, come gli sportivi e i piloti
degli aerei, è cosa di cui si può discutere, misurando il peso dei due diritti
in gioco (la riservatezza degli interessati e il diritto di sapere dei
cittadini). In sostanza si tratta di decidere se sia opportuno
"generare" informazioni di questo tipo.
Ma se la notizia "c'è", come in questo caso, la censura è
inammissibile.
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