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Protezione dei dati personali

Libertà di informazione e diritto di sapere

di Manlio Cammarata - 12.10.06

 
La nuova prima pagina di InterLex, impostata "a rullo" per rendere più evidente il senso di continuità dei nostri discorsi, oggi è rivelatrice di una situazione allarmante. Infatti, tra tanti problemi che coinvolgono gli aspetti giuridici dell'uso delle tecnologie, da molti giorni restano in primo piano questioni che riguardano la protezione dei dati personali. 

Sul numero scorso si parlava dell'affaire Telecom, con la rumorosa esplosione di un aspetto critico della raccolta e conservazione di impressionanti quantità di dati di milioni di cittadini. Lo segnaliamo, inascoltati, da anni. Mettendo in evidenza, soprattutto, che l'esistenza stessa di queste informazioni è un rischio per tutti. Perché neanche le misure di sicurezza adottate nel pieno rispetto della legge, e con i più aggiornati mezzi tecnologici, possono garantire che dei dati non venga fatto un uso improprio ai danni degli interessati (vedi Intercettazioni e dossier illegali: quis custodiet custodes?).

Oggi i riflettori sono puntati sul "caso" delle Iene. I fatti sono noti: alcuni parlamentari sono stati sottoposti, a loro insaputa, a un semplice esame che rivela il recente uso di sostanze stupefacenti. La percentuale di "positivi" è impressionante. L'esperimento è stato condotto in modo che nessuno, neanche gli autori della trasmissione, possa sapere a chi siano collegati i "tamponi" rivelatori: dati anonimi, dunque, che rendono molto discutibile l'intervento censorio del Garante per la protezione dei dati personali (vedi Il caso “Le Iene” e la funzione del Garante di Andrea Monti).

Ma la polemica non scoppia su questo punto, che pure è fondamentale in uno stato di diritto. Si discute se sia giusto che i cittadini conoscano certi particolari della vita privata dei parlamentari: "Se un deputato è tossicodipendente, è bene che gli elettori lo sappiano", dice l'onorevole Pierferdinando Casini e il Parlamento si divide tra fautori e avversari di un "antidoping" istituzionale obbligatorio. Non è questo il punto essenziale. A ben guardare, la vicenda apre due questioni molto più delicate: quello della politica del Garante e quello della censura dell'informazione.

Prima questione. Pochi giorni fa lamentavamo la scarsa solerzia del Garante nel verificare le modalità di trattamento delle informazioni conservate nelle banche dati degli operatori telefonici. Constatato che i trattamenti presentano gravi rischi per la privacy di milioni di cittadini, l'autorità ha semplicamente concesso un termine, poi prorogato, per "mettere a norma" gli archivi. Un intervento alquanto leggero.
Invece, nel caso dei dati (anonimi) dei parlamentari, si è mosso con assoluta tempestività e mano pesante, vietando la trasmissione dell'inchiesta.
Due pesi e due misure? Sembrerebbe di sì: alcuni cittadini sarebbero più garantiti di altri, che non hanno mezzi per fare pressioni sul custode supremo della riservatezza.

Seconda, e ancora più grave questione. L'azione del Garante è, tecnicamente e giuridicamente, una censura sull'informazione, espressamente vietata dall'articolo 21 della Costituzione. Il decreto legislativo 196/03, il cosiddetto "codice della privacy", dà al Garante la facoltà di bloccare i trattamenti di dati svolti in violazione delle norme. Può questa facoltà estendersi fino alla censura dell'informazione?
Un costituzionalista direbbe che si deve valutare il bilanciamento tra due diritti fondamentali, quello della dignità personale e quello della libertà di espressione. Attenzione alla risposta, perché in un caso è in gioco l'essenza stessa della democrazia.

Questi sono i problemi veri messi in luce dall'ultima vicenda. Se sia bene o no sottoporre tutti i parlamentari all'antidoping, come gli sportivi e i piloti degli aerei, è cosa di cui si può discutere, misurando il peso dei due diritti in gioco (la riservatezza degli interessati e il diritto di sapere dei cittadini). In sostanza si tratta di decidere se sia opportuno "generare" informazioni di questo tipo. 
Ma se  la notizia "c'è", come in questo caso, la censura è inammissibile.

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