Una legge da migliorare
di Manlio Cammarata(*)
- 08.05.97
Non è
"una legge da rifare", come pensano alcuni. Non
è la legge "sulla privacy informatica", come
altri continuano a scrivere. Non è una catastrofe per le
aziende, se sarà corretta in alcuni punti. Non metterà
il bavaglio ai giornalisti, se sarà applicata con
intelligenza.
La 675 una legge che deve essere capita, applicata,
assimilata, fino a diventare il punto di riferimento di
una cultura che fino a oggi in Italia non è esistita: la
cultura della riservatezza, del rispetto per la vita
privata di ogni cittadino. Certo, nella fase iniziale se
ne vedranno delle belle, perché il dibattito de iure
condendo che si è trascinato per più di dieci anni
tra gli addetti ai lavori non ha interessato l'opinione
pubblica, che oggi si trova disorientata di fronte a una
normativa molto complessa, in qualche punto
incomprensibile, in altri esageratamente severa.
Negli ultimi due anni, in particolare (cioè dalla
presentazione del disegno di legge "1901 bis")
sono state sollevate numerose e motivate critiche su
alcuni aspetti della normativa. Critiche che né il
Governo né il Parlamento hanno ritenuto di dover
prendere in seria considerazione, sicché oggi ci
troviamo a ripetere, su molti punti, le stesse
osservazioni di due anni fa.
Vediamo in rapida sintesi i punti che oggi suscitano le
preoccupazioni più diffuse e le polemiche più accese.
1. La
legge è poco chiara. Con la 675 l'ingegneria
legislativa italiana ha raggiunto un livello di
complessità e di oscurità difficilmente eguagliabile.
Le contorsioni logiche e verbali iniziano dal titolo,
"Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto
al trattamento dei dati personali": come si fa a
immaginare l'esistenza di dati personali
riferibili a soggetti che non sono persone? Non
va trascurato, fra l'altro, che l'estensione agli
"altri soggetti" è un'aggiunta tutta italiana
e abbastanza inutile, e lo stesso testo li esclude o
quasi dalla normativa. Sarebbe stato più vicino allo
spirito della legge un titolo che si riferisse
direttamente al "diritto alla riservatezza di ogni
individuo". Di fatto la legge non definisce e non
regola questo diritto, ma stabilisce una serie di norme
per il trattamento dei dati personali. Il principio della
riservatezza è dunque tutelato in forma indiretta e si
rivela quasi un sottoprodotto della legge, il che è
paradossale.
Ma i paradossi nella 675 sono molti: si pensi agli
articoli 3 e 4, che nei rispettivi primi commi
stabiliscono che la legge non si applica a certe
situazioni, mentre i commi successivi affermano il
contrario. Non si può tralasciare, come esempio di uso
scriteriato della lingua italiana, la definizione di
"Garante" attribuita a un gruppo di quattro
individui, il cui presidente si trova ad essere definito
"Presidente del Garante per la tutela delle persone
e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati
personali".
2.
Troppi adempimenti burocratici. Le critiche più
accese e le preoccupazioni più diffuse riguardano la
quantità e la complessità degli adempimenti richiesti
ai titolari delle banche dati. Seguendo la lettera
dell'articolato, solo l'agenda personale non deve essere
notificata al Garante. Tutto il resto deve essere
notificato, perché non ci sono eccezioni esplicite. Il
che comporta, per esempio, la notificazione delle
scritture contabili (che sono composte da "dati
personali") da parte di cinque milioni e mezzo di
soggetti titolari di partita IVA. Possibile che si debba
notificare l'ovvio, cioè l'esistenza di elenchi che sono
tenuti in osservanza di norme di legge? Se non sarà
trovata una soluzione in tempi brevi, la struttura del
Garante sarà sopraffatta e paralizzata da una valanga di
milioni di notificazioni, che nessun sistema informatico
potrà registrare in tempi ragionevoli.
Anche gli obblighi relativi alle informazioni da rendere
all'interessato sembrano, in qualche caso, capaci di
bloccare l'attività del titolare: giornali, siti
Internet, agenzie di ricerche di mercato avranno i loro
problemi, se non si procederà in tempi brevi
all'emanazione dei decreti previsti dalla legge-delega
676, oltre che di
disposizioni correttive delle legge generale
3. Le
sanzioni sono troppo pesanti. Si può
minimizzare finché si vuole, ma nella legge sono
previsti fino a due anni di galera per chi dimentichi da
qualche parte la propria agenda personale. Per non
parlare del richiamo all'art. 2050 del codice civile, che
porta a considerare il trattamento dei dati
"attività pericolosa, per sua natura o per la
natura dei mezzi adoperati", come la fabbricazione
di esplosivi o lo stoccaggio di sostanze infiammabili.
Mi fermo qui,
anche perché nei numerosi interventi che hanno animato il
dibattito del
Forum multimediale "La società
dell'informazione" questi e altri punti sono
trattati con autorevolezza da numerosi esperti. Ma, in
una visione generale della situazione, non si può tacere
il rischio che una legge di tale importanza civile possa
essere resa inapplicabile dalla presenza di disposizioni
troppo onerose per i diversi soggetti coinvolti.
E' vero che il Garante, e prima di lui il legislatore, ci
hanno ripetutamente assicurato che la situazione non è
così drammatica, che nessuno pensa di vietare
l'attività degli operatori di Internet o che nessuno
finirà in galera per avere lasciato l'agenda aperta sul
tavolo dell'ufficio e via discorrendo. Abbiamo la massima
fiducia nel Garante e confidiamo che manterrà le sue
promesse di semplificare e rendere più facile la vita
degli imprenditori, ma fino a quando la lettera della
legge è quella che conosciamo, abbiamo il diritto di
essere preoccupati.
Il Governo ha diciotto mesi di tempo per emanare
eventuali decreti correttivi della normativa principale,
oltre alle disposizioni specifiche per singoli settori
previste dalla legge-delega 676. Diciotto mesi sono
troppi, bisognerebbe provvedere in diciotto giorni,
perché le prime scadenze sono molto, molto vicine.
(*)
Giornalista specializzato in tecnologie dell'informazione
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