Quando uno scanner ci guarda in fondo
agli occhi
di Marco Maglio* - 06.09.01
La privacy, ormai ci siamo abituati, è costante fonte di paradossi e di
equivoci.
Ricordo ancora con grande tenerezza quello che successe subito dopo l'emanazione
della legge sulla tutela dei dati personali: una schiera di ineffabili
personaggi ha sostenuto con incredibile sicurezza l'inapplicabilità di quelle
norme "per manifesta assurdità". Non conosco questa categoria
giuridica che non mi sembra idonea a disapplicare una legge dello Stato; quindi,
dando poca retta ai "cacciatori del paradosso" mi sono sempre limitato
ad interpretare la legge, rispettandola, con il buon senso e con un occhio fisso
sui principi. Sono passati alcuni anni e a volte sono tentato di compiere un
paziente lavoro di ricerca in rete per rinvenire i reperti imbarazzanti, degni
di un museo degli orrori, scritti all'epoca da sedicenti giuristi che
sostenevano interpretazioni paradossali contro la legge sulla privacy.
Per la verità questa tendenza alla ricerca del paradosso e della situazione
estrema legata alla legge n. 675 continua a manifestare i suoi effetti anche
dopo più di quattro anni di applicazione di queste norme: qualche giorno fa ad
esempio mi è capitato di ascoltare, in una trasmissione radiofonica dedicata ai
problemi di Internet, un "esperto" (sic!) che dichiarava con tono
sofferto e con ineffabile sicurezza: "la legge sulla privacy e lo
statuto dei lavoratori sono in contrasto perché la prima impone di eseguire dei
controlli per garantire le misure minime di sicurezza informatica mentre lo
statuto dei lavoratori vieta tali verifiche, impedendo i controlli a distanza
sull'attività dei dipendenti". (Chi voglia divertirsi forse trova il
file audio della trasmissione al sito http://www.radio24.it/2024/settimana_index.htm).
In realtà , come il Garante ha espressamente precisato "La legge sulla
privacy (art.43,
comma 2 fa comunque salve le norme dello Statuto dei lavoratori che non
consentono alcun controllo a distanza dei lavoratori se non previa definizione
di precisi limiti per l'azienda e dopo l'accordo con le rappresentanze
sindacali". Credo che non esita un "conflitto di norme" più
apparente di questo.
Ma questi "espertoni" non si preoccupano delle sottigliezze, sono
troppo affascinati dai paradossi della privacy per poter esaminare con
equilibrio i reali problemi applicativi e sembra anzi che queste situazioni
equivoche li divertano. Ci vuole pazienza!
Mi sembra che possa rientrare in questa fenomenologia del "paradosso a
tutti i costi" la nuova leggenda che come un tam-tam sta arrivando in
Italia da oltre Oceano circa i pericoli per la privacy connessi all'uso dei
cosiddetti dati biometrici, cioè di quelle informazioni relative alle
caratteristiche fisiche che rendono ogni individuo diverso rispetto agli altri:
non solo la configurazione del DNA ma anche più banalmente le impronte
digitali, il timbro vocale, i tratti del viso, la distanza interpupillare, il
fondo della rètina e la conformazione dell'iride.
Il dibattito sui rischi ed i benefici delle tecniche biometriche, e sulla
possibilità di utilizzare i dati biometrici non ha trovato sinora risposte
definitive. In particolare negli USA la creazione di database biometrici è
ormai assai comune da parte di soggetti pubblici e di aziende private.
Negli ultimi anni si sono enormemente raffinate le tecniche che consentono la
rilevazione di caratteristiche biometriche come la geometria del volto, la
retina, la geometria della mano, il timbro vocale ed il DNA.
Se è vero che il diritto all'autodeterminazione, che è poi la vera
essenza della privacy, passa anche attraverso la possibilità di scegliere di
non rivelare la propria identità, è anche vero che esistono esigenze di
sicurezza sociale e di certezza dell'identificazione personale che non
incidono sulla sfera della riservatezza.
Prendiamo ad esempio le tecniche di autenticazione basate sulla scansione
oculare ed iridea o sulla geometria del volto, ovvero sull'analisi del timbro
vocale: è innegabile che esse potrebbero dare un forte contributo alla gestione
di molti problemi legati alla sicurezza ed all'accesso controllato in alcuni
luoghi (penso che per le aziende sarebbe comodo utilizzare dispositivi per il
riconoscimento della geometria della mano al posto dei tradizionali cartellini
per verificare la presenza e l'attività dei dipendenti).
Certo è essenziale che sia rispettato e protetto il principio di finalità, per
cui quei dati non devono in nessun caso essere usati per finalità diverse da
quelle per le quali sono stati raccolti.
Ma non credo sarebbe corretto impedire l'utilizzo di queste tecniche solo
perché in astratto possono essere creati dei pericoli per la privacy delle
persone.
Non si può immaginare di rifiutare gli strumenti che il progresso tecnologico
ci mette a disposizione solo per non affrontare i dilemmi che il loro uso
determina. Per progredire occorre affrontare anche questo: prevenire gli abusi,
garantire i diritti e punire le violazioni.
E' come sempre un problema di limiti, di equilibri e di bilanciamenti di
interesse che possono essere con intelligenza gestiti sulla base dei principi
finalità, pertinenza, proporzionalità, i tre capisaldi che regolano la materia
del trattamento legittimo dei dati personali.
La deriva tecnologica è un rischio concreto che la nostra società corre
quotidianamente, ma come sanno i bravi navigatori il rispetto della rotta
dipende sempre da chi tiene in mano la barra del timone.
Credo abbia ben colto la complessità del problema il Garante che nella
presentazione della relazione annuale letta il 17 luglio di quest'anno ha
ricordato un fatto essenziale: "se non si prenderà coscienza del
significato complessivo di questo fenomeno, e si sacrificherà tutto sull'altare
di una efficienza tutta delegata alla tecnologia, non si produrrà soltanto uno
scarto tra proclamazione del diritto fondamentale alla protezione dei dati e
realtà delle sue quotidiane violazioni. Si restringeranno gli spazi vitali
delle persone, continuamente esposte a sguardi e messaggi indesiderati, ormai
incapaci di godere di intimità, obbligate a modellare la loro stessa
personalità da questo obbligo di vivere continuamente "in pubblico",
sottoposti ad una implacabile registrazione d'ogni atto anche quando si fa una
passeggiata o si fa un acquisto in un supermercato".
Naturalmente le implicazioni legate all'impiego di questi trattamenti di
dati biometrici sono assai delicate. Le applicazioni di questi metodi per
affrontare i problemi di ordine pubblico da parte delle fforze di pubblica
sicurezza sono assai efficaci: ad esempio, negli USA le tecniche di
riconoscimento del volto sono state utilizzate durante la finale del Super
Bowl per passare in rassegna tutti i centomila spettatori per identificare
eventuali ricercati che non avevano saputo resistere al fascino della
competizione sportiva. Potenza del tifo!
E sono numerose anche le aziende che utilizzano sistemi di riconoscimento del
volto per fornire "servizi personalizzati": è ormai una realtà la
creazione di enormi banche dati biometriche potenzialmente esposte al rischio di
abusi, e con l'aumentare del numero di queste banche dati saranno sempre più
numerosi i soggetti privati in grado di tenere traccia dei movimenti dei singoli
clienti o visitatori.
Ma non bisogna avere paura del futuro; bisogna affrontarlo e gestirlo,
guardandolo dritto negli occhi: insomma, bisogna viverlo. Così anche quando uno
scanner ci osserva il fondo della retina per capire chi siamo non bisogna
temere, se esiste una legge che ci protegge davvero e se siamo messi in
condizione di essere Garanti di noi stessi. Ma per far questo i paradossi ed i
pregiudizi non sono di nessun aiuto. Occorre invece porsi seriamente la domanda
se la normativa attuale sia in grado di tenere il passo dell'impetuoso
sviluppo tecnologico. Io credo di sì a partito che il legislatore abbia la
sensibilità di regolamentare il mercato senza frenare lo sviluppo e di tenere
sotto controllo lo zelo eccessivo delle forze dell'ordine. Il modo un cui
saranno regolamentate ed utilizzate le tecniche biometriche sarà un'utile
verifica circa la correttezza di questa risposta. Conviene tenere gli occhi
aperti ed essere attenti, fiduciosi e propositivi.
In ogni caso io tengo sempre a portata di mano una copia di "1948"
di George Orwell.
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