Il trasferimento dei dati personali
sull'internet
di Juri Monducci - 22.06.99
La disciplina generale dell'articolo 28
della legge 675/96
La legge
675/96 non si limita a regolare i
trattamenti in essere nel territorio italiano, ma ha un'influenza a livello
mondiale. Tant'è vero che parte rilevantissima della disciplina dei dati
personali è dedicata della loro circolazione, soprattutto verso e da paesi
stranieri.
Si deve infatti considerare che la tutela della riservatezza si scontra con
opposti principi, quali quello della libera informazione (mass media e
"circolazione delle idee"), dello sviluppo degli scambi economici,
della libera concorrenza nonché, soprattutto, quello concernente l'incremento
della circolazione delle informazioni via internet. Non si dimentichi, inoltre,
che il trasferimento dei dati potrebbe essere posto in essere proprio al fine di
eludere l'applicazione della protezione offerta dagli stati ai dati personali.
L'articolo
28 della legge 675/96 affronta tale
problema.
La norma infatti ha ad oggetto il "trasferimento" dei dati all'estero
comprendendovi altresì quello "temporaneo": con tale inciso il
legislatore ha voluto comprendere non solo l'invio delle informazioni in un
territorio straniero, bensì anche la sola permanenza momentanea, quando cioè i
dati vengono inviati all'estero per poi essere reimportati nell'ambito
nazionale. La stessa norma vuole anche preoccuparsi di coprire espressamente
qualsiasi mezzo di trasmissione, quando dice appunto che il trasferimento di cui
si parla è quello effettuato "con qualsiasi forma e mezzo". In questo
senso l'invio potrebbe avvenire mediante supporto magnetico, informatico o
telematico, mediante invio postale o trasporto materiale, mediante telefax,
ecc...
L'articolo 28, distingue, per le modalità del
trasferimento, i dati comuni dai dati sensibili. Per poter infatti procedere al
trasferimento è necessario notificare al Garante tale intenzione (in
particolare l'articolo 7, comma 3, lettera e) prevede l'obbligo di indicare
nella notifica gli eventuali trasferimenti dei dati sensibili e giudiziari fuori
dal territorio nazionale). La differenza tra i dati comuni e i dati sensibili
sta nel fatto che per i primi è necessario notificare al Garante l'intenzione
di procedere al trasferimento verso un paese non appartenente all'Unione
Europea, mentre per i secondi è necessario notificare al Garante l'intenzione
di trasferirli anche verso paesi dell'Unione.
La notificazione non è però sufficiente. Al titolare è anche imposto il
dovere di attendere 20 giorni dalla data della notificazione per poter dare il
via al trattamento (rectius, trasferimento) qualora si tratti di dati
sensibili, oppure di quindici giorni qualora si tratti di dati comuni.
Il termine ha uno scopo ben preciso: serve per consentire al Garante di vietare
il trasferimento. Cosa che può fare ove il Paese di destinazione non assicuri
un livello di tutela adeguato a quello italiano. E per quanto riguarda il
trasferimento dei dati sensibili è prevista una condizione più rigorosa: il
livello di tutela deve essere "pari" a quello italiano.
Per esprimere giudizio di tal natura il
legislatore ha istruito il Garante: deve tenere in considerazione le modalità
del trasferimento e dei trattamenti previsti, le relative finalità, la natura
dei dati nonché le misure di sicurezza; non viene però preclusa la
possibilità di valutare altre circostanze; e questo grazie all'inciso
"anche" che precede l'elencazione suddetta. La decisione del
Garante, non deve quindi ritenersi discrezionale; inoltre il trasferimento può
anche essere vietato successivamente al trascorrere del periodo prescritto dalla
legge, ma in questo caso il provvedimento non ha efficacia ex tunc (Buttarelli,
Banche dati e tutela della riservatezza, Giuffrè, 1997).
Contro il divieto del Garante il titolare della banca dati ha però la
possibilità di presentare opposizione al Tribunale del luogo, che decide
secondo le regole del procedimento in camera di consiglio (articolo 29, comma 7,
che rinvia agli artt. 737 ss. c.p.c.).
I casi "speciali" di trasferimento
Vi sono dei casi in cui il trasferimento all'estero
è comunque consentito (non essendovi la possibilità del Garante di vietarlo).
Tra questi è compreso il caso classico del consenso dell'interessato che,
ovviamente, nell'ambito dei dati sensibili, deve essere scritto (in relazione
al combinato disposto degli artt. 11
e 28,
ritengo che tale forma deve essere richiesta a pena di invalidità del
trasferimento stesso). L'articolo 28, comma 4, lettera a) prevede infatti che
il consenso dell'interessato deve essere manifestato espressamente ovvero,
quando riguarda i dati sensibili o giudiziari, per iscritto.
Il trasferimento stesso è consentito anche
quando si tratta di adempiere ad obblighi contrattuali di cui sia parte l'interessato
(o nei quali sia il beneficiario dei diritti del rapporto contrattuale, come nel
caso del contratto a favore di terzo) oppure al fine di raccogliere informative
precontrattuali attivate dall'interessato stesso. Imitando le ipotesi di cui
agli artt. 12
e 20,
il trasferimento è possibile senza consenso dell'interessato anche qualora
abbia il fine di salvaguardare un rilevante interesse pubblico indicato dalla
legge o dal regolamento nonché quando sia necessario ai fini dell'esercizio
del diritto alla prova di cui all'articolo 38 disp. att. c.p.p. o per far
valere o difendere in giudizio un diritto.
Il Garante, ovviamente, non può nemmeno vietare
il trasferimento dei dati operato al fine di salvaguardare la vita o l'integrità
fisica dell'interessato o di un terzo se lo stesso si trovi nell'impossibilità
di prestare il consenso per impossibilità fisica, per incapacità di agire o
per incapacità di intendere e di volere ovvero quando sia necessario per
ottemperare alla richiesta di accesso ai documenti amministrativi o alla
richiesta di informazioni estraibili da un pubblico registro, elenco, atto o
documento conoscibile da chiunque.
Facendo seguito anche ad un episodio analogo
accaduto in applicazione della normativa francese sulla protezione dei dati, lo
stesso comma prevede il caso in cui il trasferimento sia possibile su
autorizzazione del Garante quando, nonostante la normativa straniera non
assicuri un livello di tutela adeguato, i diritti dell'interessato sono
comunque garantiti da un contratto stipulato con i soggetti che
importano/esportano dati personali. In questa previsione può quindi farsi
rientrare il caso delle società collegate o controllate che, stipulando
appositi "contratti di garanzia" dei diritti dei terzi, possono
trasferire liberamente i dati personali su autorizzazione particolare del
Garante.
Il caso accadde in rapporto allo scambio di dati tra la Fiat italiana e quella
francese, per cui l'autorità di Garanzia d'oltralpe acconsentì al
trasferimento anche in mancanza di una legislazione protettiva italiana (la
richiesta di autorizzazione venne infatti presentata nel 1989, quando ancora l'Italia
non si era adeguata alla Convenzione 108) siccome le due società avevano
previsto specifiche garanzie contrattuali. La possibilità di permettere
comunque il flusso transfrontaliero di dati, anche senza una legislazione nello
stato importatore, è del resto ammessa anche dalla raccomandazione N.R. (91)
del 9 settembre 1991 del Consiglio d'Europa, sulla comunicazione a terzi di
dati personali detenuti da organismi pubblici.
Appare necessario cercare di capire cosa vuole
dire il legislatore quando dice che, in tali casi, il trasferimento "è
comunque consentito". Una parte della dottrina ritiene che la notificazione
sia comunque richiesta, altrimenti si impedirebbe il controllo del Garante
(Barbuto, Regime speciale per la pubblica amministrazione e disciplina ad hoc
sui trasferimenti all'estero, in Giuda al diritto, 1997, 4); altri ritengono
che il consenso sarebbe sufficiente per ammettere il trasferimento senza
ulteriori formalità (Imperiali, Imperiali, La tutela dei dati personali,
Il sole 24 ore, 1997); voce ancora più autorevole vuole invece che la
notificazione sia sempre necessaria senza però che il titolare sia tenuto ad
attendere il trascorrere dei 20 o dei 15 giorni (Buttarelli, op. cit).
Quest'ultima interpretazione appare la più aderente al testo di legge, se si
considera che la notificazione risulta un obbligo, non derogando il comma 4 a
nulla se non alla possibilità del Garante di vietare il trasferimento (ed è
per questo che Buttarelli non ritiene che sia necessario attendere il
trascorrere del termine legale).
L'articolo 28 e la normativa comunitaria
Problemi rilevanti l'articolo 28 pone in
relazione alla normativa comunitaria, la cui direttiva 46 del 95 aveva previsto
che il legislatore nazionale potesse limitare il trasferimento dei dati solo
qualora il livello di protezione dello stato terzo non fosse
"adeguato": e mentre la normativa italiana ha adottato questa
previsione per i dati comuni, al contrario ha previsto che per i dati sensibili
il livello di protezione debba essere "di grado pari".
La stessa direttiva, all'articolo 1, comma 2, vieta addirittura agli stati di
restringere o vietare la libera circolazione dei dati personali tra stati
membri, per motivi connessi alla tutela. Cosa che invece, a mio parere, il
legislatore ha fatto in relazione ai dati sensibili, ove appunto non prevede
distinzioni tra paesi UE o extra UE e, in particolare, ove prevede che i dati
non possano essere trasferiti ove il grado di tutela dei dati non sia
"pari" a quello nazionale.
Oltretutto l'Italia, con tali disposizioni potrebbe essersi messa in
condizioni di non poter rispettare determinate decisioni, se si considera che l'articolo
25, comma 5 e 6 della direttiva prevede che la Commissione europea può
constatare che un paese extra UE garantisca un livello di protezione dei dati
adeguato, così che gli stati membri risultano obbligati ad adottare misure
idonee per adeguarsi alle decisioni della commissione.
Ma il nostro stato prevede che non è sufficiente
che il livello di tutela sia adeguato, come invece potrebbe ritenere la
Commissione, così che risulterebbe impossibile adeguarsi a decisioni in
contrasto con la normativa nazionale: risulta così pensabile adire la Corte
Costituzionale per lamentare l'illegittimità della disposizione dell'articolo
28 in contrasto con la direttiva CE, per indiretta lesione dei principi di cui
all'articolo 11 Cost. (essendo comunque sempre percorribile la strada della
disapplicazione della normativa italiana in contrasto con quella comunitaria).
Si è appena visto che il Garante ha la
possibilità di vietare il trasferimento anche valutando, a tal fine, le
finalità del trasferimento e dei trattamenti previsti. In proposito, lo stesso
articolo 9 prevede l'obbligo di raccogliere e registrare i dati personali per
scopi determinati, di utilizzarli in altre operazioni del trattamento in termini
non incompatibili con tali scopi (articolo 9, comma 1, lett. b) nonché di
trattarli in modo pertinente e non eccedente "rispetto alle finalità per
le quali sono raccolti o successivamente trattati".
Ma appare necessario chiedersi quali siano le conseguenze se i dati, una volta
trasferiti in territorio straniero vengano utilizzati per finalità differenti
rispetto a quelle per cui si era proceduto al trattamento in territorio italiano
e a quelle in base alle quali il Garante non ha vietato il trasferimento stesso.
Una volta che il trattamento non ha più sede in Italia, infatti, nessuna
autorità nazionale ha più competenza, se non quella di vietare l'ulteriore
trasferimento dei dati ancora in essere all'interno del territorio (la cui
inosservanza comporta responsabilità penale e civile). Del resto, pur dovendo
essere la normativa straniera di grado pari a quella italiana, non è detto che
preveda il rispetto delle finalità. Soccorrono, a tal punto, solo le sanzioni
di legge: colui che era a conoscenza della diversa finalità che avrebbero
assunto i dati in territorio straniero e, nonostante tutto, l'abbia taciuto,
risponderà del reato dell'articolo 34 (omessa o infedele notificazione)
mentre chi continua a trasferire i dati nonostante il divieto del Garante
risponderà del reato di cui all'articolo 35, comma 2 (trattamento illecito di
dati personali): punibile sarà qualsiasi persona che tale delitto abbia
commesso nel territorio del nostro stato, cittadino o straniero che sia; e vi
sarà anche la possibilità di ottenere la condanna al risarcimento del danno
patrimoniale e non patrimoniale ai sensi dell'articolo 18 e, soprattutto, dell'articolo
29, comma 9, che sanziona civilmente la condotta contraria all'articolo 9.
Purtroppo una vera e propria tutela reale, nel senso di impedire il
proseguimento del trattamento stesso, non potrà che essere affidata alla
normativa del luogo.
Secondo il disposto della norma stessa, l'articolo
28 non è applicabile al trasferimento operato nell'esercizio della
professione di giornalista, purché il trasferimento sia necessario per
perseguire le finalità della professione. Così che, qualora il trasferimento
dei dati sia posto in essere dal giornalista per fini che non risultano essere
quelli propri dell'attività giornalistica, esso diventa soggetto ai precetti
dell'articolo 28.
Il trasferimento dei dati sulla rete
Altro rilevante problema viene sollevato qualora
si inseriscano dati in una pagina WEB sita in un server italiano. In questo caso
si deve ritenere che il momento del trasferimento coincida solo con quello in
cui l'utente straniero legge la pagina così registrandola nella memoria RAM.
Ma il problema principale sorge qualora si deve individuare il paese da indicare
nella notificazione ovvero il paese che deve essere oggetto di analisi circa i
requisiti della sua legislazione. Un autorevole autore (Buttarelli, op. cit.),
prospettando soluzione a livello internazionale, ritiene possibile, allo stato
attuale, fare in modo di impedire l'accesso alla pagina WEB di quegli utenti
residenti in una nazione dalla quale non si desiderano "visite".
BUTTARELLI suggerisce infatti di predisporre appositi disclaimers (la tecnica è
utilizzata in particolare dai siti pornografici, in cui appositi disclaimers
informano gli utenti infradiciottenni del divieto di proseguire nella
navigazione) o mezzi tecnici quali i confini territoriali on the ground.
In verità, per definizione, è estremamente
difficile, se non impossibile, impedire l'accesso a determinati utenti alla
rete, perché il mondo internet è un sistema "aperto".
Si ritiene possibile, da più parti (RASTELLI, progetto e realizzazione di un
sistema firewall per la protezione di una rete di calcolatori, Tesi di
laurea in Rete di calcolatori, Facoltà di Ingegneria, Università di Bologna),
l'uso di un firewall (sistema composto da un computer, uno screaning
router con funzioni di filtro) al fine di impedire l'accesso alla rete
locale (al sito situato in un determinato server). In questo modo si
consentirebbe al router di filtrare i numeri IP (identificativo univoco
degli elaboratori a livello mondiale distribuiti da un apposito organismo
internazionale denominato INTERNIC) da cui proviene la chiamata, impedendo l'accesso
(o permettendo l'accesso) solo ad alcuni numeri IP.
Configurando il firewall in modo tale che sia in grado di escludere tutti
i numeri appartenenti ad una determinata rete, lo stesso sarebbe in grado di
impedire l'accesso agli elaboratori siti in un determinato locus.
Questo in quanto l'INTERNIC assegna ad ogni soggetto determinati indirizzi
appartenenti ad una medesima rete, così che risulta semplicissimo venire a
conoscenza del paese in cui tali indirizzi sono stati venduti.
Tuttavia, il fatto che un determinato
"acquirente" sia divenuto proprietario degli indirizzi IP cedutigli
dall'INTERNIC, gli dà il diritto di procedere ad ulteriore cessione, così
che lo stesso può assegnarli ad un paese straniero. Così facendo appare
evidente come gli indirizzi assegnati ad un paese che possiede un sistema di
protezione dei dati di "grado pari" a quello italiano, sia libero di
vendere agli Stati Uniti (che ancora non possiedono una normativa nemmeno
adeguata) gli indirizzi stessi, così eludendo il sistema di protezione della
rete. Lo screening router, infatti, riconoscendo l'indirizzo IP come
proveniente da un paese autorizzato, non sarebbe in grado di verificare la reale
provenienza, così permettendo l'accesso a utenti di Paesi non abilitati.
Un altro sistema per procedere ad impedire l'accesso
ai "non autorizzati", in relazione allo stato di chiamata, potrebbe
essere quello di avvantaggiarsi dell'uso di apposito software, il DNS (domain
name server), il quale ha il potere di identificare, partendo dal numero IP,
l'alias assegnato al sito o viceversa (sarebbe pertanto in grado di
verificare che la chiamata proveniente da cirfid.unibo.it proviene dall'IP
137.204.114.1 e viceversa). In questo modo, inserendo un altro firewall
sarebbe possibile escludere tutti i chiamanti dai siti, ad es., del Taiwan che,
conseguentemente, hanno il dominio .tw. In realtà anche tale sistema si
rivelerebbe inefficace, per due motivazioni. Innanzitutto nulla esclude che un
utente di un determinato Paese abbia un sito con un dominio di un altro paese,
così che risulterebbe superfluo il controllo (si pensi anche solo ai siti
italiani aventi dominio .com). Inoltre, dovrebbe essere necessario inserire nel
filtro tutti gli indirizzi da escludere. E mentre tale sistema potrebbe essere
utilizzato per quei Paesi in cui la rete delle reti non è molto sviluppata (ad
es. in Somalia), tale operazione risulterebbe improponibile per altri Stati,
come ad es. gli U.S.A. o la Germania.
Nemmeno la tecnica di chi suggerisce l'uso dei disclaimers
ritengo sia opportuna: tali ultimi sono dei messaggi di avvertimento con i quali
il titolare della pagina WEB avverte l'utente che, non avendo determinati
requisiti, non può accedere alle pagine successive. Tale sistema, tuttavia, non
è impeditivo. Esso non consente il controllo dell'identità dell'utente.
Così che se un messaggio recitasse (utopicamente) "si avverte che le
pagine successive contengono dati personali e che la normativa italiana ed
europea sulla tutela della riservatezza vieta l'accesso agli utenti degli
Stati Uniti, del Burundi, della Repubblica Sudafricana e dello Zimbabwe. Si
rende noto il divieto di continuare nel percorso", nulla potrebbe impedire
agli abitanti di tali Paesi di accedere e il titolare del trattamento dei dati
italiano sarebbe comunque responsabile, soprattutto in considerazione della sua
consapevolezza dell'inutilità di tali "rimedi".
Da alcune parti si prospetta un suggerimento.
Sarebbe sufficiente permettere l'accesso alle pagine contenenti dati personali
protetti ai soli soggetti chiaramente e certamente individuati. Tale certezza
può aversi assegnando ai fruitori del servizio una parola chiave, un codice d'accesso,
preceduto da una verifica attenta dei dati anagrafici. In realtà anche tale
sistema è a mio parere inopportuno, per una ragione giuridicamente
comprensibile. Il fatto che il titolare del trattamento abbia la certezza che i
dati vengono comunicati ad un soggetto avente residenza e cittadinanza in un
Paese con la legislazione "a norma", non significa che tale soggetto
si colleghi da tale Stato. Egli infatti potrebbe collegarsi da un altro Paese, e
non si dimentichi che la normativa italiana parla di "trasferimento di dati
all'estero" e non di "comunicazione di dati a cittadini
stranieri".
In ultima analisi, pertanto, non c'è un
sistema tecnico praticabile per limitare la diffusione delle informazioni sulla
rete. Di questo il legislatore dovrebbe tener conto, fermo restando che allo
stato attuale i dati personali possono essere "inseriti" in rete solo
in presenza del consenso dell'interessato o degli altri casi di cui all'articolo
28, comma 4.
|