Nelle ultime settimane del dicembre appena trascorso, a mano a mano che si
avvicinava la scadenza fissata per l'adozione delle misure minime di sicurezza
e nella preoccupante assenza dei soliti rumors di una prossima proroga,
in moltissimi si sono sperticati per riempire in modo più o meno consapevole
gli schemini resi noti dal Garante per la redazione del DPS.
Ancora una volta, dunque, si è assistito a quella sorta di corto circuito,
secondo il quale si pensava (o si fingeva di pensare) che la compilazione del
DPS - perché spesso di mera compilazione si è trattato - potesse
avere un effetto salvifico su tutti coloro che, negli ultimi dieci anni, avevano
sentito in giro dell'esistenza di strani adempimenti legati alla data
protection.
Come inevitabile corollario, è dunque ricominciata la ormai nota ridda di voci
sulle modalità operative di perfezionamento dell'adempimento: spediamo il DPS
al Garante; anzi no, depositiamolo presso un notaio. Meglio: diamogli data certa
facendogli una foto con un quotidiano accanto...
Per evitare questo disarmonico ed a tratti spassoso concerto, sarebbe stato
sufficiente approfondire l'analisi delle norme e dei provvedimenti dell'Autorità.
Ne sarebbe agevolmente emerso come:
a) il DPS non va comunicato al Garante, ma va conservato dal titolare presso
di sé;
b) non esiste alcuna disposizione che preveda la data certa per il DPS: di data
certa parla solo e soltanto l'art. 180 comma
II del codice dei dati personali, relativamente al documento
che si renda necessario per attestare la impossibilità tecnica di dare seguito
all'adozione immediata (!!) delle misure minime. Dando una interpretazione
doverosamente letterale delle norme, quindi, non credo vi siano dubbi sul fatto
che, se il legislatore ha esplicitato, nel comma II, il riferimento alla data
certa senza fare altrettanto nel comma I, ciò stesso attesti plasticamente
come, dal punto di vista formale, non esista alcun obbligo a consacrare il DPS
in un atto di data certa.
La ratio di questa asimmetria non è molto chiara: perché mai un
titolare sarebbe vincolato a dare una connotazione temporale certa ad un
adempimento accessorio (il documento di cui al comma II), usufruendo invece di
una piena libertà di forme per l'adempimento principe (il DPS) ? E che spreco
sarebbe per i titolari più diligenti che abbiano speso tempo ed energia per
redigere un gran bel DPS, dover combattere con gli organi ispettivi sull'accertamento
della effettiva data di redazione del documento, e sul consequenziale rispetto o
meno delle scadenze fissate dalla legge!
Ecco allora che, come spesso accade, è la opportunità pratica che deve
superare le discrasie normative: ben hanno fatto quindi i titolari più
scrupolosi ad andare al di là del disposto legislativo, utilizzando gli
strumenti utili e sufficienti per dare data certa anche al DPS.
Torniamo dunque al punto di partenza: come si fa a dare data certa ad un
documento?
Senza impazzire in vacue disquisizioni, sarebbe stato (e sarà) sufficiente
seguire le indicazioni date al riguardo dal Garante, in un parere
che risale al 05.12.2000, e che semplicemente richiama alcuni principi-cardine
della normativa vigente in tema di prova documentale:
...senza pretesa di indicare in modo esauriente tutti i possibili strumenti
idonei ad assegnare al documento una data certa, il Garante richiama
l'attenzione dei titolari del trattamento sulle seguenti possibilità che
appaiono utilmente utilizzabili:
a) ricorso alla c.d. "autoprestazione" presso uffici postali prevista
dall'art. 8 del d.lg. 22 luglio 1999, n. 261, con apposizione del timbro
direttamente sul documento avente corpo unico, anziché sull'involucro che lo
contiene;
b) in particolare per le amministrazioni pubbliche, adozione di un atto
deliberativo di cui sia certa la data in base alla disciplina della formazione,
numerazione e pubblicazione dell'atto;
c) apposizione della c.d. marca temporale sui documenti informatici (art. 15,
comma 2, legge 15 marzo 1997, n. 59; d.P.R. 10 novembre 1997,
n. 513; artt. 52 ss. d.P.C.M. 8 febbraio 1999);
d)d) apposizione di autentica, deposito del documento o vidimazione di un
verbale, in conformità alla legge notarile; formazione di un atto pubblico;
e)e) registrazione o produzione del documento a norma di legge presso un ufficio
pubblico.
Tradotto: considerata la .... difficoltà di compendiare un DPS magari di
qualche decina di pagine in un documento avente corpo unico da consegnare allo
sportello delle Poste, ed esclusa la necessità di pagare la parcella di un
notaio, basta usare la firma digitale con la marca temporale! Punto.
***
Come ormai tutti sanno, nel bel mezzo degli ultimi ritocchi al documento e
delle ultime riflessioni su come gestirlo, il nostro legislatore ha ritenuto di
dare seguito all'ulteriore proroga dei termini (DL 30.12.05 n. 275), stavolta
contenendo la propria disaramante sindrome da rinvio, e spostando dunque la
scadenza soltanto di tre mesi, in luogo dei sei cui ci aveva abituato.
Nuova scadenza per la redazione del DPS, dunque, è il 31.03.06 (ed al 30.06.06
è spostato il termine di cui all'art. 180 comma II).
Ora è inutile dilungarsi sulla reale portata della proroga: valgono anche
oggi, infatti, le considerazioni già operate negli articoli pubblicati su
queste pagine (vedi, fra gli altri, Misure di sicurezza: la
proroga della proroga della proroga...).
Quello che ha colpito (qualora risondesse al vero quanto reso noto negli ultimi
giorni è invece la reazione del Garante alla notizia della nuova proroga (come
si legge nel sito
di Ancitel).
Se netta e piccata era stata la presa di posizione contenuta nella relazione
per l'anno 2004, quando la scelta delle precedente proroga venne definita un
atto "in controtendenza rispetto al progetto di stabilizzare le regole per la
protezione dei dati personali", ben più morbido è sembrato il seguente,
odierno commento: "si
è considerato opportuno razionalizzare le scadenze in considerazione del fatto
che si sarebbe dovuto approvare entro la fine dell'anno un documento per poi
rifarlo a breve, in considerazione del fatto che il 31 marzo di ogni anno lo
stesso andrà aggiornato e approvato nuovamente".
Nel merito la tesi è certamente singolare: fatto il DPS entro il 31.12.05,
se nulla, come è molto probabile, fosse cambiato nelle settimane successive,
non credo vi fosse alcun motivo per "rifarlo" entro il 31.03.05, ben
potendosi il titolare limitare, in sede di rinnovo, a dare atto che nulla era
cambiato rispetto a tre mesi prima.
Ma al di là di ciò, quello che colpisce è l'apparente lassità che sembra
caratterizzare l'atteggiamento dell'Autorità, decisamente... in
controtendenza rispetto al rigore che aveva caratterizzato gli interventi degli
anni precedenti.
La domanda è inevitabile: il Garante si è arreso?
Non sta a me dare la risposta.
Quello che è certo è che negli ultimi mesi l'attività dell'Autorità non
sembra essersi distinta per la coerenza rispetto agli anni precedenti. Un
esempio per tutti: come mai per il caso di Lapo Elkann (o per quello di Franco
Scoglio) il Garante si è mosso di suo impulso in 24 ore diffidando gli organi
di informazione dal dare seguito ad abusi (il che è sacrosanto), mentre per
altre miriade di quotidiane smaccate violazioni di fondamentali diritti di
comuni cittadini (e non) si è scelto di rimanere alla finestra, senza muovere
un dito a tutela degli interessati?
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