È scaduto venerdì scorso il termine per la redazione del DP, e proprio tra gli
avvocati, all'interno cioè della categoria professionale che più di ogni
altra dovrebbe essere aggiornata sul senso e la portata dell' adempimento,
circolano ancora le voci più incredibili.
Non bastava la data certa, incubo inconsistente che ha spinto miriadi di
colleghi ad improbabili auto-spedizioni di raccomandate con buste più o meno
piene...
Se ne sono sentite di tutti i colori: dalla esigenza di creare una stanza
ignifuga all'interno dello studio per nasconderci i fascicoli, alla scelta di
"nominare titolare il commercialista" (giuro, ho sentito anche questa). Per
non parlare della ormai dilagante prassi di aggiungere alla fine dei mandati
alle liti la formuletta "autorizzo il trattamento dei miei dati personali",
bandiera della totale inconsapevolezza di cosa sia ed a cosa serva una
informativa, un consenso, un caso di esclusione.
Come è possibile? Di chi è la colpa?
Certo, in parte la responsabilità è anche di una indebita pigrizia degli
avvocati, che ben avrebbero fatto ad informarsi almeno un po', dando
concretezza a quell'obbligo di aggiornamento permanente prescritto dal codice
deontologico.
Ma il vero problema, a mio modestissimo avviso, non è questo.
Chi ha la cattiva ventura di fare la professione in questi anni di... delirio
riformatore, deve infatti misurarsi quasi giornalmente con rivoluzioni normative
ormai del tutto fuori controllo.
Ne elenco solo alcune: riforma radicale del codice di procedura civile (anzi,
tre riforme montate l'una sull'altra, e tanto ravvicinate da rendere
difficoltoso anche capire quale sia il testo della norma in vigore); riforma del
diritto societario; codice delle assicurazioni; codice del consumo; codice dell'amministrazione
digitale; codice della proprietà intellettuale e chi più ne ha più ne metta.
La frase più frequente che si sente pronunciare dalle parti del Tribunale
è: "Non è possibile stare dietro a tutto. Io cambio mestiere".
E francamente, di fronte a tale mole di schizoidi, continue, e spesso inutili
innovazioni, non posso che sottoscrivere.
Ma è proprio in questo contesto, allora, che si sarebbe potuta apprezzare
una delle poche funzioni reali dei consigli dell'Ordine e di quella pletora di
organismi, chiamiamoli para-sindacali, nei quali albergano (non si capisce bene
con quali finalità) tantissimi avvocati. Si sarebbe potuta fare se non
formazione, almeno buona informazione. Si sarebbero potuti organizzare incontri,
utilizzare fax ed e-mail per inviare circolari utili a capire cosa fosse un DPS,
invece di ingolfare le scrivanie con irritanti proclami elettorali.
Si sarebbero potuti creare concreti meccanismi di raccordo con gli uffici del
Garante, in modo tale da aiutare una intera categoria ad orientarsi. Si sarebbe
potuto creare uno schema di DPS standard da utilizzare nella miriade di
micro-strutture costituite da un avvocato ed una segretaria, per le quali anche
il famoso format creato dall'autorità diventa sovradimensionato e del tutto
fuorviante. Si sarebbero potute fare un milione di cose.
Ed invece, nulla di tutto ciò. Tanto che anche l'unico vero punto di
riferimento in materia (il parere reso dal Garante al Consiglio nazionale
forense nel lontano giugno del 2004) non lo conosce nessuno, e nessuno si è
premurato di diffonderlo in modo serio e sistematico.
Cosa hanno fatto, invece, Ordini e sindacati? Prese di posizione tipo "la
legge sulla privacy non si deve applicare agli avvocati" (cfr. vari comunicati
della OUA - Organismo unitario dell'avvocatura) sintomo di una battaglia di
retroguardia combattuta su basi argomentative talmente deboli da risultare
francamente imbarazzanti. Oppure - udite, udite - incontri organizzati il 30
di marzo, e cioè a 24 ore dalla scadenza, per buttare lì quattro indicazioni
che non potranno far altro che confondere ancora di più le idee a tutti.
C'è di che rimanere sconcertati.
Che resta da fare, allora, a chi cammina in mezzo a queste macerie, per
recuperare un minimo di stima nel mondo in cui vive, per un ultimo afflato di
dignità professionale?
Tutto, meno che un giro in Tribunale!!
Prima sezione del Tribunale Civile di Roma. Quella che si occupa di
separazioni, di diritti della personalità. Di privacy.
Davanti all'ufficio copie campeggia la scritta: "Non oltrepassare la linea
rossa per ragioni di privacy". Ottimo. Peccato però che nell'ultimissimo
trasloco delle cancellerie, posizionate in un'ala completamente nuova che
avrebbe consentito di inventare le soluzioni più creative per evitare "rischi
di distruzione o perdita anche accidentale dei dati, di accesso non autorizzato
o di trattamento non consentito" (art. 31 Codice Privacy), qualcuno abbia
scelto di "custodire" i fascicoli in un corridoio.
Proprio così, in un corridoio, stoccati in armadi a vista, dove chiunque,
avvocati e non, può aprirli, consultarli, fotografarli, farli vedere ad un
amico, commentarli. Oppure semplicemente portarseli via e distruggerli.
Ed allora, a poche ore dalla scadenza del maledettissimo 31 marzo, la morale
qual'è?
Mi indigna anche solo pensarlo ma forse... tutto sommato... a questo punto...
era meglio una proroga! :-))
(vedi Misure
minime e DPS: la proroga della proroga, Misure di sicurezza: la
proroga della proroga della proroga... ).
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