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Protezione dei dati personali

Avvocati, tribunali e il maledetto 31 marzo

di Paolo Ricchiuto* - 03.04.06

 

È scaduto venerdì scorso il termine per la redazione del DP, e proprio tra gli avvocati, all'interno cioè della categoria professionale che più di ogni altra dovrebbe essere aggiornata sul senso e la portata dell' adempimento, circolano ancora le voci più incredibili.
Non bastava la data certa, incubo inconsistente che ha spinto miriadi di colleghi ad improbabili auto-spedizioni di raccomandate con buste più o meno piene...

Se ne sono sentite di tutti i colori: dalla esigenza di creare una stanza ignifuga all'interno dello studio per nasconderci i fascicoli, alla scelta di "nominare titolare il commercialista" (giuro, ho sentito anche questa). Per non parlare della ormai dilagante prassi di aggiungere alla fine dei mandati alle liti la formuletta "autorizzo il trattamento dei miei dati personali", bandiera della totale inconsapevolezza di cosa sia ed a cosa serva una informativa, un consenso, un caso di esclusione.

Come è possibile? Di chi è la colpa?

Certo, in parte la responsabilità è anche di una indebita pigrizia degli avvocati, che ben avrebbero fatto ad informarsi almeno un po', dando concretezza a quell'obbligo di aggiornamento permanente prescritto dal codice deontologico.
Ma il vero problema, a mio modestissimo avviso, non è questo.
Chi ha la cattiva ventura di fare la professione in questi anni di... delirio riformatore, deve infatti misurarsi quasi giornalmente con rivoluzioni normative ormai del tutto fuori controllo.

Ne elenco solo alcune: riforma radicale del codice di procedura civile (anzi, tre riforme montate l'una sull'altra, e tanto ravvicinate da rendere difficoltoso anche capire quale sia il testo della norma in vigore); riforma del diritto societario; codice delle assicurazioni; codice del consumo; codice dell'amministrazione digitale; codice della proprietà intellettuale e chi più ne ha più ne metta.

La frase più frequente che si sente pronunciare dalle parti del Tribunale è: "Non è possibile stare dietro a tutto. Io cambio mestiere".
E francamente, di fronte a tale mole di schizoidi, continue, e spesso inutili innovazioni, non posso che sottoscrivere.

Ma è proprio in questo contesto, allora, che si sarebbe potuta apprezzare una delle poche funzioni reali dei consigli dell'Ordine e di quella pletora di organismi, chiamiamoli para-sindacali, nei quali albergano (non si capisce bene con quali finalità) tantissimi avvocati. Si sarebbe potuta fare se non formazione, almeno buona informazione. Si sarebbero potuti organizzare incontri, utilizzare fax ed e-mail per inviare circolari utili a capire cosa fosse un DPS, invece di ingolfare le scrivanie con irritanti proclami elettorali.
Si sarebbero potuti creare concreti meccanismi di raccordo con gli uffici del Garante, in modo tale da aiutare una intera categoria ad orientarsi. Si sarebbe potuto creare uno schema di DPS standard da utilizzare nella miriade di micro-strutture costituite da un avvocato ed una segretaria, per le quali anche il famoso format creato dall'autorità diventa sovradimensionato e del tutto fuorviante. Si sarebbero potute fare un milione di cose.

Ed invece, nulla di tutto ciò. Tanto che anche l'unico vero punto di riferimento in materia (il parere reso dal Garante al Consiglio nazionale forense nel lontano giugno del 2004) non lo conosce nessuno, e nessuno si è premurato di diffonderlo in modo serio e sistematico.

Cosa hanno fatto, invece, Ordini e sindacati? Prese di posizione tipo "la legge sulla privacy non si deve applicare agli avvocati" (cfr. vari comunicati della OUA - Organismo unitario dell'avvocatura) sintomo di una battaglia di retroguardia combattuta su basi argomentative talmente deboli da risultare francamente imbarazzanti. Oppure - udite, udite - incontri organizzati il 30 di marzo, e cioè a 24 ore dalla scadenza, per buttare lì quattro indicazioni che non potranno far altro che confondere ancora di più le idee a tutti.

C'è di che rimanere sconcertati.
Che resta da fare, allora, a chi cammina in mezzo a queste macerie, per recuperare un minimo di stima nel mondo in cui vive, per un ultimo afflato di dignità professionale?
Tutto, meno che un giro in Tribunale!!

Prima sezione del Tribunale Civile di Roma. Quella che si occupa di separazioni, di diritti della personalità. Di privacy.
Davanti all'ufficio copie campeggia la scritta: "Non oltrepassare la linea rossa per ragioni di privacy". Ottimo. Peccato però che nell'ultimissimo trasloco delle cancellerie, posizionate in un'ala completamente nuova che avrebbe consentito di inventare le soluzioni più creative per evitare "rischi di distruzione o perdita anche accidentale dei dati, di accesso non autorizzato o di trattamento non consentito" (art. 31 Codice Privacy), qualcuno abbia scelto di "custodire" i fascicoli in un corridoio.

Proprio così, in un corridoio, stoccati in armadi a vista, dove chiunque, avvocati e non, può aprirli, consultarli, fotografarli, farli vedere ad un amico, commentarli. Oppure semplicemente portarseli via e distruggerli.
Ed allora, a poche ore dalla scadenza del maledettissimo 31 marzo, la morale qual'è?
Mi indigna anche solo pensarlo ma forse... tutto sommato... a questo punto... era meglio una proroga! :-))
(vedi Misure minime e DPS: la proroga della prorogaMisure di sicurezza: la proroga della proroga della proroga... ).

* Avvocato in Roma

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