Il Garante per la protezione dei dati personali ha dichiarato illegittima la
pubblicazione sull'internet delle dichiarazioni dei redditi del
2005 di tutti i cittadini italiani. Il provvedimento
è corretto e tempestivo, anche perché tiene conto del fatto che la
pubblicazione on line ha effetti diversi da quelli della messa a disposizione
dei dati in determinati uffici.
Ma le polemiche continuano. In sostanza si ripropone il problema di trovare un
punto di equilibrio tra riservatezza e trasparenza. Le discussioni sul punto
risalgono a tempi che precedono le leggi sulla protezione dei dati e non
finiranno mai.
Ma la vicenda induce ad alcune considerazioni interessanti,
che vanno al di là del fatto specifico.
La prima è che ormai "siamo tutti in rete". Ci piaccia o non ci
piaccia, questa è la realtà: siamo in rete come soggetti attivi, quando usiamo
un computer e un collegamento all'internet; lo siamo come soggetti passivi
quando informazioni che ci riguardano sono reperibili on line. L'esistenza della
rete coinvolge tutti noi e riguarda anche coloro che non hanno mai messo le dita
sulla tastiera di un PC.
I corollari sono quelli noti: in primo luogo l'incontrollabilità dei flussi
di informazioni, la difficoltà di verificarne l'esattezza, l'impossibilità
pratica di impedirne la diffusione e via elencando. Tutto questo dovrebbe essere
chiaro nella mente dei legislatori e degli amministratori, e invece non lo è.
Chi pensa che mettere on line le dichiarazioni dei redditi sia la stessa cosa
che renderle disponibili in appositi uffici, non ha capito nulla della società
dell'informazione.
Ieri sera a Ballarò un noto politico della nuova maggioranza ha detto
che "queste cose non si devono fare fino a quando non saremo in grado di
controllare la rete": se questo è l'inizio, ci aspettano tempi duri.
Perché il problema che si deve porre la politica non è il controllo della
rete, tecnicamente impossibile, ma il suo uso corretto a favore dei cittadini.
Tanto per fare un esempio e non lasciar cadere un tema che ci sta a cuore: gli stessi argomenti
che sono stati addotti per affermare la legittimità della diffusione delle
dichiarazioni dei redditi potrebbero essere usati per giustificare la
pubblicazione dei testi vigenti delle leggi, che aspettiamo inutilmente da
quindici anni (vedi, da ultimo, L'accesso alle norme deve essere un servizio
pubblico).
Un'altra considerazione, altrettanto amara, riguarda la "cultura della
riservatezza". A più di dieci anni dalla prima legge sulla materia, appare
evidente che chi ha preso la sconsiderata decisione di mettere on line i
contenuti delle dichiarazioni dei redditi, non solo non si è curato delle
conseguenze della pubblicazione, ma non ha afferrato i principi essenziali
dell'uso dei dati personali. E' vero che il legislatore ha affrontato il tema in
un modo che ha concentrato l'attenzione più sugli aspetti burocratici che su
quelli sostanziali (in particolare con la legge 675/96), sicché il problema
della riservatezza dei dati sembra risolto chiedendo una firma sotto
un'informativa. Ma è vero anche che questa informativa non sempre è corretta.
Un solo esempio: il diffusissimo mensile Quattroruote offre ai lettori
le annate raccolte su CD-Rom, che si possono ordinare con una semplice cartolina
sulla quale bisogna scrivere nome, cognome, indirizzo e, incredibile, il numero
della carta di credito. Su una cartolina, leggibile da chiunque!
Non basta. Un'informativa, scritta in caratteri piccolissimi, dichiara che
"I suoi dati potranno essere usati anche per finalità di promozione
commerciale", senza la richiesta di una firma per un trattamento non
essenziale per l'esecuzione dell'ordine. Dunque un trattamento illecito, del
quale l'editore non sembra curarsi.
Se siamo a questo punto, abbiamo buttato via dieci anni. Evidentemente le
norme, così come sono, non bastano. Come osserva Andrea Monti, commentando il
provvedimento del Garante sulla diffusione delle dichiarazioni dei redditi La
decisione è ineccepibile, ma la legge è
insufficiente.
Se la noncuranza in materia di riservatezza dei dati personali accomuna un
ministro della Repubblica e un importante editore (punte di un iceberg
colossale), allora nel sistema c'è qualcosa che non funziona.
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