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 Il diritto di accesso

Aspetti problematici del regime pubblicistico di Internet
di Pasquale Costanzo* - 14.10.96

1. Considerazioni preliminari

"Sognamo il giorno in cui Internet sarà un diritto come il pane": quest'accattivante pubblicità di uno dei più attivi providers italiani ben potrebbe introdurre alle veloci notazioni che seguiranno, dato che (a parte le questioni, che pur potrebbero essere poste, sulla correttezza generale della metafora) non par dubbio che la suggestione centrale in essa contenuta ruoti intorno alla nozione di "diritto", laddove non sembra nemmeno contestabile che il bene oggetto della corrispondente pretesa sia costituito dalla possibilità giuridica (incontrastata ed incontrastabile) di un qualsiasi soggetto di accedere alla più formidabile rete (rectius: rete di reti) telematica esistente e denominata Internet.
Il nostro scopo è infatti quello di procedere ad una preliminare verifica dello "stato dell'arte" in una dimensione "mediatica" nella quale, come subito si vedrà, le caratteristiche peculiari del mezzo hanno posto sul tappeto una serie di problematiche e di interrogativi di rilevante spessore giuridico, assai prima che (nonostante il sempre più accelerato incremento delle connessioni) si possa parlare di una sua presenza e diffusione nella società italiana già in qualche modo paragonabile a quella di altri più collaudati "media" (ad es., sul modesto sviluppo di un'utenza particolarmente qualificata, come quella imprenditoriale, cfr., i risultati dell'indagine pubblicata su Internet News, marzo 1996, 44 e s.).

Ma la reale imprescindibile questione sembra stare proprio qui, ossia nell'accertamento della precisa fisionomia di Internet e della sua eventuale paragonabilità ai "media" già conosciuti, per i quali - malgrado le difficoltà tuttora frapposte allo stabilimento di un loro statuto giuridico compiuto ed inequivoco - resta almeno acclarata la riferibilità di principio a questa o a quella situazione costituzionalmente garantita, rilevandovi la diretta strumentalità, vuoi - come nel caso delle trasmissioni via etere o via cavo - rispetto alla libertà di manifestazione del pensiero (pur se sub specie di una peculiare libertà informativa), vuoi invece - come avviene per l'utilizzo delle linee telefoniche - rispetto alla libertà delle comunicazioni.
In questa stessa prospettiva, occorre però subito sottolineare come la mera considerazione del mezzo tecnico rischi, nel caso di Internet, di risultare fuorviante dal momento che, se è vero che l'interconnessione tra soggetti anche assai distanti tra loro, ormai praticamente senza limitazione di sito sull'intero orbe terracqueo, si realizza - allo stato - prevalentemente sulle linee telefoniche (ma già si lascia intravvedere un nuovo sistema di trasmissione via satellite in forma digitale, per cui le pagine di Internet si irradieranno come programmi TV da un computer trasmettitore a quelli collegati), l'analogia con l'attività comunicativa, intesa secondo il paradigma classico della manifestazione del pensiero in modo interpersonale, copre soltanto alcune delle funzioni attivabili in rete. Di qui, la necessità di un approccio, per così dire, sostanzialistico al problema in relazione appunto a tali diverse funzioni e conseguentemente la rinunzia ad ogni tentativo di reductio ad unum che pure renderebbe più agevole l'inquadramento dogmatico.

Ancora in altri termini, la corrispondenza biunivoca tra mezzo e attività esercitata, divenuta, del resto, critica anche per quanto riguarda altri più tradizionali mezzi informativi e comunicativi (si pensi alla TV commerciale e alle linee telefoniche del "144"), resta completamente esclusa nel nostro caso in corrispondenza, tra l'altro, di uno straordinario sviluppo del software operante in rete, ossia delle applicazioni (o, come si direbbe, nel gergo, delle tecnologie di navigazione), tale che persino il confronto con le tecnologie di utilizzo delle reti - locali (LAN) o anche territorialmente più estese (WAN) - risulta ormai, almeno nella loro configurazione e applicazioni "classiche", del tutto inadeguato.

2. Le principali funzioni della rete

Il flusso di dati - del più svariato genere (che giustifica, tra l'altro, il riferimento alla caratteristica di cd. "multimedialità") -, che si realizza in rete, può acquisire, dunque, valenze diverse in funzione dell'applicazione attivata. Da questo punto di vista, infatti, la connessione in Internet può risultare, in primo luogo, strumentale ad un'attività assai prossima a quella propria dell'invio di corrispondenza, vale a dire alla trasmissione a distanza di messaggi e al loro scambio. Messaggi, di cui - a differenza di quelli inviati via telefono - è necessario redigere il testo mediante tastiera e di cui è possibile (sia in trasmissione, sia in recezione) conservare, se del caso, il contenuto in apposite allocazioni di memoria: si tratta della c.d. electronic-mail o più semplicemente e-mail, che costituisce notoriamente l'attività più diffusa in rete ed anzi quella che ne ha determinato la nascita.
Una caratteristica strutturale analoga, in quanto basata anch'essa sull'invio di e-mail, possiede l'attività di dibattito che può svolgersi sulla rete, la cui logica è però con tutta evidenza assai diversa, assistendosi qui ad un coinvolgimento, talora a livello planetario, di una pluralità di soggetti interessati a specifici argomenti ed impegnati in qualche modo ad inserire in c.d. bacheche elettroniche le loro opinioni al riguardo (tra queste si segnala principalmente Usenet, una rete del tutto autonoma, ma così agevolmente raggiungibile da poter apparire come parte integrante di Internet). In questo stesso senso, dunque, i messaggi inviati non hanno per destinatari singoli e ben individuati soggetti, bensì s'indirizzano come newsgroup verso più o meno vaste aree di discussione.
Se poi, la discussione, grazie sempre a specifiche applicazioni informatiche (ad es., Internet Relay Chat), perviene a svolgersi "in tempo reale", cioè senza scontare i tempi di attesa che sono propri del mailing, allora si rivela del tutto appropriata l'analogia diffusamente proposta con la discussione tra soggetti convenuti fisicamente in un medesimo luogo, tipicamente una piazza: una piazza ovviamente del tutto "virtuale", dove il dialogo si attua sempre grazie alla tastiera e all'immediata apparizione in video della replica degli altri partecipanti (con caratteristiche, quindi, di cd. "interattività", quale risulta, per vero, presente anche in altre applicazioni della rete).

In entrambe le ipotesi da ultimo considerate, viene comunque sicuramente in rilievo l'ulteriore tratto costituito dalla caratterizzazione comunitaria o collettiva del fenomeno, che, mentre rinvia al non dissimile tratto che connota i momenti dell'associazione o della riunione (che godono, non meno delle relazioni comunicative interpersonali, di specifiche garanzie costituzionali), pare prestarsi a sottendere nella più ampia nozione di formazione sociale, cui allude l'art. 2 Cost., anche la molteplicità dei soggetti interconnessi in rete.
Peraltro, ancora una parte considerevole e via via sempre crescente (per le ragioni di natura economica che vi sono implicate) del traffico in rete risulta assorbita dall'attività di ricerca di materiali attinenti ai più disparati campi d'interesse (scientifico, letterario, informativo, commerciale, ludico, etc.), nello stesso tempo che, all'esito positivo di tale ricerca, resta possibile far seguire un'attività di acquisizione di quanto reperito anche in siti assai distanti mediante tecniche di trasferimento dei files sul proprio elaboratore (cd. donwload). Per converso, con tecniche simmetriche (cd. upload), è possibile a chiunque di mettere a disposizione degli altri "cibernauti" (com'è invalso di definire - sulla falsariga di una nota letteratura fantascientifica - chi intraprenda ricerche attraverso la rete ovvero il c.d. ciberspazio), materiale proprio, ma anche servizi o anche soltanto la promozione pubblicitaria di quelli che potranno essere resi nelle forme consuete.

A questo proposito, anzi, un particolare rilievo stanno assumendo non solo i servizi di carattere informativo forniti dagli stessi editori della c.d. carta stampata, così che la "pubblicazione in rete" viene ad affiancarsi, quale attività informativa, a quella svolta attraverso i canali tradizionali, ma soprattutto quelli a carattere d'impresa, con la possibilità che le attitudini interattive già accennate ricomprendano vere e proprie transazioni commerciali accompagnate dall'accredito, mediante il trasferimento elettronico dei fondi necessari, delle somme corrispondenti agli eventuali obblighi di pagamento assunti.
In tutti i casi (e, dunque, non solo nei settori appena indicati), una notevole accelerazione all'attività di ricerca in rete è stata impressa dall'impiego dei linguaggi di trascrizione ipertestuale al fine di redigere home pages particolarmente attraenti e allettanti, idonee a contraddistinguere i diversi "siti", nonché da quella sorta di riorganizzazione della rete prodotta dal nuovo protocollo di gestione delle informazioni noto come World Wide Web e dalle corrispondenti tecnologie di navigazione ipermediale (ma il settore appare già in via di evoluzione grazie al nuovo sistema Java che, tra l'altro, rende disponibili sul Web non solo informazioni ma anche applicazioni).

3. La rilevanza costituzionale della "navigazione" in Internet

Questa succinta e, per molti versi, approssimativa carrellata delle funzioni assolte da Internet dovrebbe però almeno aver fornito l'idea del formidabile intreccio di problematiche, che solo sul piano giuspubblicistico, vi sono correlate (a tale piano non potrebbe essere ritenuto propriamente estraneo nemmeno il profilo attinente al cd. "telelavoro" e alle sue implicazioni in ordine alla libertà sindacale e alla tutela dei "telelavoratori": profilo che, tuttavia, a motivo dell'estrema sintesi che caratterizza quest'esposizione, si omette qui di considerare, insieme a quello di carattere più privatistico, concernente la sicurezza delle transazioni in rete: per il primo profilo, cfr. comunque, S. COFFERATI, Anche il sindacato è pronto: oggi accetta il lavoro a distanza, in Telèma, inverno 1995/96, 64 e s.).
In tale quadro, dovrebbe anche essere risultata evidente l'oscillante valenza della connessione in rete tra la "forma di comunicazione" e il "mezzo di diffusione" del pensiero, così da postulare comunque la sussumibilità del regime giuridico d'Internet all'interno delle garanzie costituzionali, di volta in volta, in concreto rilevanti. Se si condivide questa premessa, il punto di omologazione con altri strumenti informativi e comunicativi non può, dunque, che collocarsi sul piano della libertà in via di principio di accesso al mezzo (possibilità di collegamento alla rete), laddove anzi, a differenza delle trasmissioni via etere su scala nazionale, non sarebbe nemmeno frapponibile al dispiegamento della garanzia di cui all'art. 21, 1ø comma, Cost., una qualche difficoltà di ordine tecnologico, nel momento stesso che l'attenzione riservata dall'art. 15 Cost. esclusivamente alle "modalità" comunicative sconta evidentemente una precondizione di indiscriminata libertà di accesso alle "forme" della comunicazione stessa.

Su un altro, non secondario versante, la configurazione assunta dall'interconnessione in rete ha finito per privilegiare anche altri aspetti del complesso fenomeno informativo, per cui anche le altre figure giuridiche implicate dal diritto d'informazione, dal punto di vista sia della ricerca, sia della ricezione dell'informazione stessa, paiono, grazie ad Internet, avere assunto, come non mai in precedenza, un rilievo operativo e concreto, dando luogo, nello specifico, a ciò che si potrebbe chiamare polivalenza dell'accesso e del suo corrispondente diritto. Si tratta, com'è noto, di figure, la cui fisionomia trova incerte giurisprudenza della Corte e dottrina solo in ordine al loro preciso valore fondante (se lo stesso art. 21 Cost., con riferimento alla libertà di manifestazione del pensiero, o addirittura la stessa caratterizzazione democratica e partecipativa dell'ordinamento costituzionale), ma del cui spessore costituzionale non pare più lecito dubitare (cfr. diffusamente in P. COSTANZO, Informazione nel diritto costituzionale, in Digesto IV ediz., Torino, 1993).

4. A proposito di democrazia e cittadinanza "elettroniche"

Non casualmente quindi i risvolti attinenti alla partecipazione politica sono parsi finora quelli maggiormente messi in tensione nel nostro Paese nel dibattito su Internet, mettendosi, tra l'altro, in auge espressioni e formule come "democrazia elettronica" e "cittadinanza elettronica".
Sotto entrambi questi aspetti, invero, è stata posta al centro dell'attenzione la capacità della rete di mettere in crisi i corrispondenti referenti classici. Così la possibilità di ciascuno di esprimere, magari comodamente seduto nella sua postazione di lavoro, voti e preferenze è parsa giocare non solo contro il modello della democrazia rappresentativa in quanto fondata, in ultima analisi, su soggetti intermediari, che la rete provvederebbe ad eliminare, ma persino contro i collaudati schemi della democrazia diretta, privi come sarebbero di quella caratteristica di "consultazione permanente e interattiva " (una democrazia perennemente on line, come si direbbe: cfr. F. COLOMBO, Confucio nel computer, Roma, 1995, 277 e ss.) resa possibile invece dalla rete. Con riferimento alla cittadinanza, poi, non è mancato chi ha notato come il relativo vincolo, in quanto correlato al concetto di appartenenza territoriale, sarebbe messo in crisi dal prevalere di un altro sentimento di appartenenza, fondato, questa volta, sulla partecipazione alle attività di rete (cfr. P. OSTELLINO, Nella rete planetaria c'è un problema; la libertà, in Telèma, 3/95, 4).

Per vero, sull'opposto e prevalente versante, la configurazione della cittadinanza elettronica come un nuovo status di (auto)separatezza dalla società civile e politica (per la cd. fuga nelle reti, come una nuova frontiera dell'immaginario collettivo, cfr. CENSIS, Rapporto sulla situazione sociale del Paese 1995, cit. da S. PILLON, La novità, il futuro, la realtà virtuale, in MCmicrocomputer, febbraio 1996, 231) appare nei fatti del tutto recessiva a fronte di una diversa nozione di cittadinanza elettronica, vista piuttosto come una nuova "condizione" in grado di arricchire e, anzi, di portare sostanza alla cittadinanza tradizionale. Quanto invece alle supposte valenze incrementative della democrazia derivanti dall'attività di rete, il concetto di "democrazia elettronica" è già stato posto al centro di avvertite analisi critiche che hanno particolarmente evidenziato, in una rigorosa analisi dei costi e dei benefici, i rischi della cd. iperdemocrazia (cfr., esemplarmente, A. DI GIOVINE, Democrazia elettronica: alcune riflessioni, in Diritto e Società, 1995, 399 e ss. ed ivi anche significativi riferimenti a contributi di G. ZAGREBELKY e S. RODOTA'; ma, a quanto pare, in un analogo ordine di idee, cfr. lo stesso B. GATES, La strada che porta a domani, trad. it., Milano, 1995, 349, che si riferisce al "valore aggiunto" che l'intermediazione di delegati può offrire alla democrazia; sul potere di fare le domande in un sistema di democrazia interattiva, ha richiamato l'attenzione poi ancora S. RODOTA', nel suo intervento alla Conferenza internazionale sul futuro dell'informazione, visibile su http://ansa.it; per una persuasiva critica alla democrazia plebiscitaria cui darebbe luogo la cd. democrazia elettronica, cfr. anche E. MENDUNI, L'Italia da cablare, il Mulino, 1995, 620).

In un caso e nell'altro, la sensazione che comunque si ricava è che il maggior pericolo - peraltro secondo una vicenda che si appresta a divenire ricorrente nel nostro Paese - possa derivare dalla perdurante latitanza (anche culturale) del legislatore ad occuparsi dei problemi messi in campo dalla diffusione di Internet, con l'ulteriore rischio che un tardivo intervento, invece di dar luogo a soluzioni equilibrate, possa produrre l'una o l'altra delle due opposte radicali soluzioni costituite o da una "disciplina-fotografia", che si limiterebbe appunto a ratificare gli assetti affermatisi in via di fatto secondo i rapporti di forza del mercato (ma inguaribilmente ottimista circa l'impossibilità che, attraverso il controllo tecnico di Internet, possano passare anche forme di controllo politico, si dimostra N. NEGROPONTE, Internet, una rivoluzione democratica, MondOperaio, 1995, 32) oppure da una disciplina a tutto campo e assolutamente pervasiva secondo la logica dei cd. "lacci e lacciuoli".

Ora, se è vero quanto in precedenza affermato circa la messa in gioco, nell'attività di rete, di situazioni costituzionalmente garantite, ci pare che la soluzione corretta debba passare invece attraverso il modello della libertà di accesso, alla quale, da un lato, dovrebbe accordarsi anche una tutela "sostanziale", e, dall'altro lato, dovrebbero essere apposte, ove richieste da principi e valori costituzionali eventualmente confliggenti, proporzionate limitazioni assistite peraltro da adeguate garanzie (le problematiche della libertà di informazione e di comunicazione in rete e delle contrapposte esigenze di controllo hanno trovato, com'è noto, un singolare campo d'incontro nelle questioni attinenti sia all'anonimato di chi si serve della rete per realizzare i propri interessi informativi e comunicativi, sia alla crittografia vista non solo come tecnica di trasmissione riservata dei messaggi, ma anche come mezzo per evitare il controllo di tipo politico o comunque forme più o meno dirette di censura; in particolare, per quanto riguarda l'asserita libertà di crittografia, si è assistito nel 1994 alla vicenda legata al tentativo dell'amministrazione Clinton di obbligare, col Digital Telephony Bill, i costruttori americani di hardware ad inserirvi un piccolo chip denominato Clipper, contenente un algoritmo di codifica dei dati e destinato a rendere gli stessi dati sicuri e non intercettabili da parte solo di osservatori o ascoltatori indiscreti, ma non da parte delle agenzie di investigazione governativa pur se previamente autorizzate dal magistrato: iniziativa fallita per la vivace reazione prodottasi tra singoli e associazioni, tra cui, particolarmente, la battagliera Electronic Frontier Foundation: cfr. F. CARLINI, Chips & Salsa, Roma, 1995, cit., 223 e s.).

5. Condizioni dell'accesso e "governo" della rete

In questa prospettiva, se l'affermazione della libertà di accesso in rete non sembra richiedere, sul piano dei principi, che una semplice presa d'atto (non tale però da rendere inutile - ma non solo per questo nuovo strumento - un aggiornamento dello stesso art. 21 Cost., come è venuto sostenendo - ma solo recentissimamente - S. RODOTA': cfr. l'intervento sul tema Internet e poi, durante l'incontro dedicato alle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione tenutosi a Roma il 1. febbraio 1996, in occasione della presentazione del libro di F. CARLINI, Chips & Salsa, già cit.; d'altro canto, il gap giuridico-culturale che, in materia, distanzia la nostra Costituzione dalle consimili esperienze di democrazia occidentale era già percepibile circa mezzo secolo fa' nel confronto con la previsione recata dall'art. 5 del Grundgesetz, secondo cui "ognuno ha il diritto di esprimere e diffondere liberamente le sue opinioni con parole, scritti e immagini, e di informarsi, senza essere impedito, da fonti accessibili a tutti"), un po' più impegnativa risulta invece la ricognizione delle condizioni capaci di rimuovere, anche in questo caso, gli ostacoli che, limitando di fatto quella libertà, ne impedirebbero a tenore dell'art. 3, 2ø comma, Cost., il pieno ed effettivo dispiegamento.

In tal senso, dunque, occorre in primo luogo rimarcare come l'accesso ad Internet si realizzi perlopiù attualmente secondo le modalità proprie di un servizio reso al cittadino-utente: infatti, a parte il settore della telematica pubblica collegata al circuito universitario, tale accesso può avvenire tramite il collegamento o ad uno dei tanti BBS (Bulletin Board Systems), ossia ad un sistema di informazioni in linea gestito a livello, per così dire, amatoriale (anche se non mancano quelli di carattere commerciale), oppure ad un access provider, vale a dire ad un fornitore del servizio che agisce in regime d'impresa (si coglie qui l'occasione per rammentare come, in ogni caso, il provider non faccia altro, salvo l'erogazione di servizi complementari, che consentire ai propri abbonati di utilizzare le linee dedicate che egli stesso ha "noleggiato" presso il gestore della rete telefonica, attraverso cui, come si diceva all'inizio, viaggiano le informazioni in rete).
Si tratta, pertanto, nella maggior parte dei casi, di una situazione complessa nella quale il provider rappresenta per l'utente una sorta d'interfaccia rispetto alla rete, dando luogo, per quest'aspetto, ad un rapporto di carattere privatistico (non immune peraltro da peculiari risvolti problematici, che attengono perlopiù alla reale capacità del provider di fornire un servizio adeguato, in ordine, ad es., alla capacità di linee dedicate disponibili in rapporto al numero degli abbonati oppure alla competenza tecnica e all'affidabilità sul piano della sicurezza del sistema): rapporto che concorre, dal suo canto, a conformare la libertà di accesso in termini soprattutto di costo del servizio (di solito, una quota annuale con la quale il provider intende rivalersi sull'utente del costo fatto pagare dal gestore del servizio telefonico per il "noleggio" delle linee dedicate).

In realtà, l'esperienza ha tuttavia dimostrato come il vero "collo di bottiglia" non sia costituito da tale costo (di cui anzi sembra potersi cogliere una tendenza al ribasso in corrispondenza dell'ingresso sul mercato di nuovi providers), quanto piuttosto dal costo del collegamento telefonico, sia che esso si realizzi sulle linee teleselettive o interurbane settoriali (qualora il Point of Presence del fornitore non sia situato nella propria rete urbana), sia che sia assoggettato alla cd. T.U.T. (tassazione urbana a tempo, qualora il P.O.P. si trovi invece nella rete urbana di zone le cui conversazioni telefoniche urbane scontano una tariffa differenziata).
Attengono, poi, allo stesso piano problematico, anche se (apparentemente) non per i ridetti motivi economici, le difficoltà frapposte all'accesso dalla diffusione non omogenea della rete, la quale tende a concentrarsi (appunto) nelle zone di alta densità demografica e (dunque di) maggior potenzialità economica (non può peraltro sottacersi neppure l'opposto rischio del cd. sovraccarico informativo, destinato col tempo vieppiù ad aggravarsi, su cui richiamano l'attenzione particolarmente A. BERRETTI e V. ZAMBARDINI, Avviso ai naviganti, Roma, 1995, 39).

Tutto ciò, se, immediatamente rinvia - ancora una volta - alla problematica della gestione del servizio telefonico ed alla sua configurazione giuridica (cui dovrebbe però offrire soluzione a breve l'assoggettamento ad una disciplina antitrust), mostra però quali siano le più vaste implicazioni sociali e politiche del fenomeno, rinviando pertanto al più generale problema del "governo della rete", così che la tutela sostanziale dell'accesso in rete si rivela strettamente connessa (e pregiudicata) dall'assetto che, sul piano econonomico ed organizzativo, potrebbe derivare da scelte "non regolative", indifferenti cioè al problema sia della "proprietà dei cavi", sia delle concentrazioni multimediali, o, all'opposto, da scelte "regolative" (pur se con le caratteristiche di equilibrio sovra menzionate), indotte da una preliminare presa di coscienza della portata non solo economicista di Internet (per cui qui, non meno che per il settore radiotelevisivo, le regole di antitrust non dovrebbero avere di mira, solo o semplicemente, la tutela della concorrenza), ma latamente istituzionale (privilegiandosi quindi la rete come nuovo strumento di pluralismo informativo e culturale), e addirittura, nel rapporto verticale tra cittadino e poteri pubblici, come mezzo di riconfigurazione del rapporto con i governanti e l'amministrazione (come, del resto, possono già comprovare in qualche modo le ormai molteplici esperienze delle cd. reti civiche: cfr. su tali esperienze, anche con riferimento all'esperienza d'oltreoceano, M. P. MAZZOCCHI e L. TOGNOLI, Rispieghiamo Internet per chi era assente, Roma, 1995, 43; inoltre, sull'opportunità che le stesse autorità locali abbiano voce in capitolo nella concessione delle licenze per la "cablazione" del loro territorio e siano coinvolte nella fornitura di informazioni di servizio, pur se in un quadro di democrazia aggiuntiva e non sostitutiva, cfr. E. MENDUNI, L'Italia da cablare, cit., 625).

Diffusione capillare della rete e promozione dell'accesso, specie sul piano economico, hanno già, d'altro canto, costituito oggetto di attenzione da parte dei governanti in altri ordinamenti, specie dell'area occidentale (appartiene al programma elettorale del presidente francese Chirac la promessa di favorire un'ampia rete di comunicazioni interattive, mentre ancor più noto risulta il progetto del vicepresidente degli Stati Uniti Al Gore in materia di Information SuperHighway), essendosi evidentemente intraviste per tempo le potenzialità della rete per l'ulteriore sviluppo della società in senso liberaldemocratico (connotazioni, queste, che, a stare alle notizie di stampa, non sarebbero nemmeno sfuggite ad altri regimi politici illiberali - esemplarmente l'Iraq -, i quali hanno già tentato di porre in atto una strumentazione repressiva del fenomeno legato ad Internet, laddove, contando invece su di una sorta di eterogenesi dei fini, la dissidenza cinese sarebbe oggi convinta di riuscire a coinvolgere più vaste masse, sfruttando il progetto governativo Cernet, che si propone appunto il collegamento in rete delle scuole e delle università).

6. Profili regolativi dell'erogazione dei servizi di rete

Da tutti questi punti di vista, il ritardo italiano appare, dunque, ingiustificato, nel tempo stesso che l'unico intervento normativo di una qualche attinenza sembra essersi realizzato, dando luogo a più di un problema interpretativo: circostanza, questa, che sarebbe persino comprensibile, se si rivelassero fondati i dubbi espressi circa la reale volontà del legislatore d'intervenire nel settore.
Il d.lgs. 17 marzo 1995, n. 103 (di recezione della direttiva 90/388/CEE in tema di concorrenza nei mercati dei servizi di telecomunicazioni), a cui qui precisamente ci si riferisce non si occupa per vero espressamente di Internet; occorre, peraltro, tenere presenti anche i successivi interventi di rango attuativo costituiti dal d.p.r. del 4 settembre 1995, n. 420 e dal d.m. del Ministero delle Poste del 5 settembre 1995: in relazione, dunque, a tale disciplina, i providers, ma anche i B.B.S. non puramente amatoriali, in quanto fornitori di servizi diversi dalla telefonia vocale, nell'erogazione dei servizi - oltre a dover utilizzare strumenti tecnici omologati e a dover osservare determinate prescrizioni tecniche - dovrebbero restare soggetti all'obbligo della richiesta della preventiva autorizzazione - di tipo oneroso - da parte del Ministero delle Poste e delle Telecomunicazioni, se avvalentisi di linee dedicate o all'obbligo della semplice notificazione - a carattere gratuito - se operanti su linee commutate (ma per i punti di più dubbia interpretazione, quali ad es. il regime delle connessioni SLIP/PPP o dei collegamenti tra service providers e P.O.P., cfr. gli interventi al Forum Multimediale sul tema Una rete di norme per il mondo in rete di
G. BUONOMO del 15 ottobre 1995, di M. CAMMARATA del 20 dicembre 1995 e di A. MONTI del 27 dicembre 1995.

In realtà, in questa stessa ottica di tipo amministrativo, una non minore urgenza dovrebbe annettersi al problema dell'individuazione della disciplina eventualmente applicabile al fenomeno di più rilevante portata attualmente in corso di svolgimento su Internet: vale a dire al già descritto World Wide Web, attraverso le cui tecniche viene a realizzarsi la diffusione di messaggi audiovisivi non troppo dissimili da quelli irradiati dalla televisione.
Ebbene, è tale caratteristica idonea ad assoggettare il titolare di un "sito" il cui server sia attivo in Italia al regime concessorio previsto dalla legge n. 223 del 1990 per l'effettuazione di trasmissioni radiotelevisive? O privilegiando piuttosto le caratteristiche "editoriali" del Web, dovrebbe farsi invece riferimento al regime della stampa? E, in ogni caso, l'attività di tipo notiziale dovrebbe essere ragguagliata a quella, rispettivamente, delle "testate" televisive e dei periodici (specie per quanto riguarda la sussistenza di un soggetto responsabile, l'obbligo della registrazione e, per quanto riguarda i terzi, la sussistenza di un vero e proprio diritto di rettifica)? Che dire ancora della possibilità d'intervento del Garante o, se si preferisce, di quella nuova authority che dovrebbe essere istituita dalla futura legge generale sulla protezione delle persone nei confronti del trattamento dei dati?

Si tratta, come s'intende agevolmente, di quesiti la cui soluzione non appare meccanicamente trasponibile da altri campi "mediatici", richiedendo invece un intervento legislativo quanto più possibile organico e mirato, attesa anche la circostanza che, per la comunicazione in rete, la catena dei soggetti coinvolti può registrare la presenza anche dei sovra menzionati providers: sarebbe, dunque, possibile ascrivere alla responsabilità di tali soggetti (che si limitano a gestire tecnicamente i cd. nodi di accesso, senza magari sapere quali siano i contenuti che transitano in rete) gli illeciti eventualmente perpetrati grazie alla nuova tecnologia telematica? (si noti che la soluzione positiva accolta dal Communication Decency Act adottato in U.S.A il 9 febbraio 1996 ha suscitato la vivace reazione dei piccoli gestori statunitensi di nodi Internet e l'oscuramento per protesta di circa 1500 "siti"; da noi, il problema ha costituito invece materia di dibattito durante il Forum multimediale su "Comportamenti e norme nella società vulnerabile" tenutosi il 28 giugno 1995 presso la LUISS, durante il quale si è infatti valutata la possibilità del sysop - od operatore del sistema - di controllare preventivamente il contenuto non solo dei messaggi immessi nelle aree pubbliche, ma persino nelle caselle private di e-mail).

7. La "navigazione ipermediale" tra limiti propri e limiti generali

Ma, se gli aspetti regolativi dell'accesso risultano in ogni caso preliminari per la sua conformazione nei termini di un vero e proprio diritto, di non minor portata sostanziale si appalesa la risoluzione delle problematiche connesse con la possibilità che limiti siano apposti, questa volta, ai contenuti della comunicazione multimediale.
Infatti, anche se siffatte problematiche attengono peculiarmente all'aspetto "attivo" dell'informazione in rete, pare evidente che, particolarmente attraverso la loro corretta soluzione, si realizza un "polivalente" (comprensivo cioè delle altre figure soggettive sopra accennate) diritto di accesso in senso sostanziale, dove tuttavia l'ottica attraverso la quale traguardare l'intervento regolatore non può che essere rovesciata, trattandosi non più di allestire le condizioni di esercizio del diritto, ma di far valere la pretesa ad un atteggiamento dei poteri pubblici garantista sulle modalità di esercizio e astensionista sui contenuti, secondo il modello che si riflette, com'è noto, negli artt. 15 e 21 della Carta costituzionale. Un equilibrio, evidentemente, di non facile raggiungimento a fronte della necessità di tutela di altre esigenze costituzionalmente rilevanti, che possono attenere, nel nostro caso, non solo alla protezione di valori diffusi nella società e fatti propri, direttamente od indirettamente, dalla Costituzione, come, ad es., quello del buon costume, ma addirittura a condizioni di "manutenzione" dello stesso ordinamento costituzionale, come nel caso delle possibili attività criminali agevolate dalla rete (anche rispetto a tali problematiche non sono mancate iniziative di qualche clamore in esperienze ordinamentali esterne: cfr., in particolare, il già citato Communication Decency Act, accusato peraltro di eccessivo puritanesimo e tendenze censorie, e comminante ammende fino a 250.000 dollari e pene detentive fino a due anni di reclusione per i contravventori).

In questo senso, dunque, potrebbe persino comprendersi anche la preoccupazione del cd. movimento cyberpunk per l'assetto giuridico del sistema dell'informazione (preoccupazione che, come è stato rilevato, le altre correnti politiche stentano ad avvertire: cfr. M. NACCI e P. ORTOLEVA, Tecnopolitica. Il cyberpunk e le ideologie di fine millenio, il Mulino, 1995, 1121), dovendosi prevedibilmente mettere nel conto una radicalizzazione sempre più forte di tale movimento, tendente a sfruttare la stessa tecnologia informatica per contrastare tutto ciò che possa essere considerato una forma di controllo opprimente sulla società e per promuovere l'indiscriminata libertà di navigazione in rete.
In questo quadro, per quanto riguarda la libertà d'informazione attiva e passiva, quale si esercita con la connessione in rete, se è vero che non dovrebbe avvertirsi il bisogno di regole nuove rispetto ai più tradizionali "media", essendo il dettato costituzionale ampiamente orientato verso una configurazione liberale della manifestazione del pensiero, non può però negarsi che un mancato specifico intervento del legislatore finirebbe per far scontare anche alla rete l'attuale mancanza di una disciplina univoca ed organica per la protezione almeno di quell'unico valore in base al quale la Costituzione sicuramente autorizza a "giocare di anticipo", vale a dire la difesa dei minori nei confronti della manifestazioni pornografiche e violente.

Con riferimento, poi, al piano determinato dalla libertà d'informarsi (e lasciando ad altri specifici contributi l'approfondimento dei risvolti propriamente attinenti alla protezione della proprietà intellettuale con riguardo ai programmi, alle interfacce grafiche e agli altri elaborati che circolano in rete), non possono non venire in rilievo anche le esigenze collegate alla protezione della persona umana, della sua dignità e riservatezza, nei confronti del trattamento dei dati (inteso questo, come impone la recente direttiva europea 95/46/CE, come comprensivo di tutte le attività connesse ed anche pertanto dell'acquisizione e del trasferimento dei dati stessi). Anche in questo campo, tuttavia, ci si trova costretti a rimarcare una forte inerzia legislativa, laddove, oltre tutto, l'unico tentativo (seppure certamente non mirato ex professo alle applicazioni di Internet), concretatosi nell'approvazione da parte della Camera del deputati del disegno di legge n. 1901-ter, è rimasto travolto dalla fine anticipata della legislatura (applicabile ad Internet avrebbe potuto probabilmente considerarsi la previsione recata dall'art. 15 del d.l.l., per cui si rilasciava al potere regolamentare del Governo l'adeguamento periodico delle misure minime di sicurezza "in relazione all'evoluzione tecnica del settore e all'esperienza maturata"; ma sull'esigenza che per i BBS venissero emanate norme specifiche, cfr. G. BUTTARELLI in Sicurezza obbligatoria, Il Sole-24 Ore del 1ø dicembre 1995).

Ma, a parte questi specifici profili, sembra di poter ribadire come le problematiche legate alla circolazione delle informazioni in rete non siano in definitiva suscettibili di soluzioni molto diverse da quelle elaborate per altri "media" (ad es., con riferimento alla tutela dell'onore personale o alla strumentalizzazione della rete per la commissione di reati dentro e fuori di essa), dovendosi, piuttosto, appurare con la massima precisione a quale regime giuridico occorra, di volta in volta, fare preciso riferimento.
Restando ancora in questo stesso ordine di idee, non può infine tacersi la caratteristica propria di Internet, per cui può verificarsi che fattispecie illecite si realizzino, in tutto o in parte, a livello extranazionale, laddove processualmente la competenza dell'autorità giudiziaria italiana si radica, salvo ipotesi del tutto particolari, sulla nozione di territorialità dei reati. Ma anche scontando le difficoltà così frapponibili alla persecuzione dei reati, persino eventuali iniziative volte a far cessare i comportamenti criminosi in questione sembrerebbero destinate ad uno scarso successo, dato che l'unico intervento concepibile sarebbe l'interdizione dell'attività di ricerca e di ricezione dei dati incriminati: propositi, come s'intuisce, di difficile attuazione sul piano pratico (anche se occorre ricordare come, a seguito di una decisione resa dalla magistratura di Monaco di Baviera a carico dell'affiliata tedesca di uno dei massimi providers statunitensi, Compuserve Information Service, si sia reso possibile bloccare l'accesso a circa duecento newsgroup di carattere pornografico: cfr. A. MASSARENTI, Anche su Internet la libertà vuole regole, Il Sole-24 Ore del 30.12.95).

Da quest'ultimo punto di vista, dunque, anche l'allestimento di soluzioni legislative, qualora ancorate ad una prospettiva meramente interna, rischierebbe di risultare inidoneo o velleitario, apparendo invece chiara la necessità dell'apprestamento di una normativa internazionale, allargata al maggior numero possibile di ordinamenti (su tale falsariga, sembra del resto essersi mosso il vertice del G7 tenutosi a Bruxelles, insieme alla Commissione europea, nel febbraio 1995, nella direzione, cioè, di un impegno nei confronti della società globale dell'informazione, comprensivo non solo dello sviluppo delle cd. Information Superhighways, ma anche della tutela della privacy e della sicurezza dei dati).