Visti i risultati delle elezioni, può essere stimolante iniziare citando una
massima di Mao Tse Tung, che diceva più o meno così: "Non importa di che
colore è il gatto, l'importante è che mangi i topi".
Fuor di metafora, non importa chi ha vinto le elezioni, per quanto riguarda
l'innovazione tecnologica e le norme che la devono governare, ma che cosa farà.
Insomma, le tecnologie non sono né di destra né di sinistra. Conta solo
impiegarle bene.
Pare che non ci siano dubbi sul nome del prossimo ministro per l'innovazione:
Lucio Stanca, che ricoprì la stessa carica nel precedente governo di
centro-destra, dal 2001 al 2006. Non gli costerà molta fatica aggiornarsi sullo
stato dell'innovazione, perché la situazione è rimasta più o meno quella che
ha lasciato due anni fa. Sembra che si sia esaurito lo slancio innovativo che era iniziato molti anni fa
con i governi di centro-sinistra. Prima, nel '93, con le "Norme
in materia di sistemi informativi automatizzati delle amministrazioni
pubbliche" (il decreto legislativo n. 39,
che istituì l'Autorità per l'informatica). Poi, nel '97, con
l'introduzione della firma digitale (DPR
n. 513): l'innovazione italiana era all'avanguardia.
In un'ottica "di sistema" lo è ancora: basti pensare alla posta
elettronica certificata (DPR
68/05), un altro esempio di riuscito connubio tra tecnologia e diritto,
anche questo "inventato" in Italia.
Ma queste innovazioni sono rimaste in buona parte "sulla carta". La
burocrazia ha continuato a frenare il progresso, il legislatore non ha saputo
emanare norme chiare, coerenti, applicabili. Non si è diffusa una cultura
dell'uso delle tecnologie. Diffidenze e resistenze non sono state battute, anche
perché è mancata una qualsiasi politica di formazione dei dipendenti e
soprattutto dei dirigenti.
Il ministro dell'innovazione che si insedierà tra qualche settimana avrà
molto da fare. Proviamo a immaginare quale potrebbe essere la sua agenda
per il primo periodo del suo mandato.
Al primo posto, il codice dell'amministrazione digitale. Poco o nulla applicato,
sempre in attesa dei regolamenti tecnici, ancora afflitto da imprecisioni,
contraddizioni e incongruenze con le norme europee.
A questo proposito il dovere di cronaca impone di dare notizia di una denuncia
presentata alla Commissione europea per asserite inadempienze dello Stato
italiano in materia di firma elettroniche, posta certificata e fatturazione
elettronica. Il documento è alquanto confuso e non coglie con la necessaria
precisione i punti critici della normativa nazionale.
E' vero, e lo abbiamo scritto molte volte, che nelle norme italiane ci sono
diversi punti che non soddisfano le prescrizioni comunitarie. Abbiamo anche
proposto le poche modifiche che sarebbero necessarie per mettere le cose a
posto, senza dimenticare la necessità di eliminare alcune
"disarmonie" con lo stesso ordinamento italiano, che in futuro
potrebbero far sorgere questioni di incostituzionalità. Una commissione di
esperti, come quella che nel '97 preparò la prima normativa sulla firma
digitale, potrebbe sistemare le cose in breve tempo, con la proposta di alcuni
cambiamenti nel codice dell'amministrazione digitale
Sistemato il codice, si porrà il problema di emanare o aggiornare le norme
tecniche e coordinare tutta la normativa che riguarda la dematerializzazione,
iniziando dalle disposizioni sulla fatturazione elettronica. Un compito non
facile, ma che deve assolutamente essere portato a termine nel più breve tempo
possibile, altrimenti le nuove procedure "senza carta" resteranno nel
limbo delle buone intenzioni.
Lo stesso accadrà se si continuerà a ignorare l'esigenza di una campagna di
formazione a vasto raggio, che non coinvolga solo la pubblica amministrazione,
ma stimoli anche diffuse azioni formative nel settore privato.
Ma non basta. Ci sono altre componenti dell'innovazione che il ministro
dovrà affrontare. C'è lo scandaloso affaire della carta d'identità
elettronica. Un progetto contro il quale Lucio Stanca si è già battuto
inutilmente nel suo primo mandato (vedi Stanca:
ripensiamo la CIE? Pisanu: no!). Nel frattempo l'evoluzione degli accordi
internazionali (oltre che delle tecnologie) ha reso indispensabile una completa
revisione dello schema, che può essere reso molto più semplice ed economico. E
quindi più facile da realizzare.
C'è sempre l'annoso problema dell'accesso alle leggi, che abbiamo richiamato
solo una settimana fa (L'accesso alle norme deve essere un servizio
pubblico). Su questo punto siamo molto indietro rispetto ad altri paesi.
Senza contare gli Stati Uniti, che hanno incominciato prima di tutti, in Europa
ci sono, fra gli altri, Legifrance
in Francia e Her Majesty's Stationery
Office in Gran Bretagna, che sono ottimi esempi di servizio pubblico di
diffusione delle legge.
Forse oggi in Italia il problema riguarda soprattutto il futuro titolare della
Giustizia, visto che la parte tecnica (coordinata dal CNIPA) è a buon punto. Ma
resta sempre una questione di "innovazione e tecnologie".
Molti altri problemi riempiranno l'agenda del futuro ministro. Fra i tanti
deve essere citata un'innovazione rimasta al palo, ma che potrebbe avere
ricadute molto importanti sull'economia e sull'ambiente: il telelavoro. E'
indispensabile evitare che centinaia di migliaia di persone debbano spostarsi
per chilometri, con grande spreco di tempo e carburanti, solo per andare a
sedersi davanti a un computer e tornare a casa. Quando possono svolgere gli
stessi compiti restando a casa per alcuni giorni della settimana.
Le disposizioni emanate alla fine del secolo scorso (DPR 70/99) hanno finito col frenare il
telelavoro, invece di stimolarlo. E' necessario ripartire, con uno spirito
simile a quello che ha ispirato la "legge
Stanca" del 2004 sull'accesso dei disabili agli strumenti informatici.
Anche questa sarebbe un'innovazione utile per l'intera società.
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