Dieci anni fa l'Italian Crackdown, in anticipo sui tempi, rappresentò
una vera e propria summa dei problemi giuridici, ma soprattutto politici,
sollevati dalla diffusione di sistemi alternativi di comunicazione.
Già allora si manifestarono palesemente nell'ambiente giudiziario tendenze
fortemente repressive (ma per fortuna minoritarie) e orientate alla
teorizzazione di un'eccessiva responsabilità del sysop, (vedi Problemi terminologici e responsabilità del sysop
di Carlo Sarzana di S. Ippolito), alla
"pericolosità" della crittografia, alla limitazione della libertà di
espressione, all'adozione di tecniche di indagine inutilmente vessatorie come
il sequestro
di interi computer in luogo di quello dei soli dati .
Dal canto suo, la politica di ogni colore e orientamento, spaventata da un
mezzo non controllabile e adeguatamente fomentata dalle lobby di settore, dava
inizio a un esteso processo di ipernormazione unilateralmente diretta a tutelare
interessi di parte.
E' il caso, per esempio, delle continue modifiche alla
legge sul diritto d'autore; dell'ipocrita legislazione (e delle ancor
più ipocrite indagini giudiziarie) in materia di pornografia minorile ; del tentativo di
impadronirsi della gestione del registro dei nomi a
dominio .it (ora nuovamente lasciato a una gestione sostanzialmente
autarchica di un dipartimento del CNR); della data retention
e del recepimento prossimo venturo del trattato sul
crimine informatico.
Il tutto è ancora più evidente se si scorrono le pagine di InterLex e del
sito di ALCEI, che in questo decennio hanno puntualmente denunciato - voces
clamantes in deserto - gli abusi e le violazioni delle libertà
individuali che si stavano commettendo in nome di questo o quello "interesse
superiore".
Fortunatamente, in questi anni, nonostante la disinformazione e l'isteria di
chi vaticinava apocalissi informatiche, la magistratura ha spesso
controbilanciato le tendenze repressive e liberticide. È pur vero, da un lato,
che a parte due o tre casi continua lo scandalo della legittimazione dei
sequestri di computer come strumento di indagine. Ma è anche vero che ci sono
state sentenze coraggiose.
Come quella del pretore di Cagliari del dicembre 1996 che, per prima,
introdusse importanti distinguo sulla configurabilità del reato di duplicazione
abusiva di software, ritenendo sanzionabili penalmente solo le condotte dirette
a fare commercio della duplicazione. O quella della Corte di cassazione sui limiti dell'attività sotto
copertura delle forze di polizia nelle indagini in materia di pornografia
minorile . O la decisione del tribunale del riesame di Bolzano sulle modifiche alle Playstation.
Vista l'incapacità (autoprocurata?) del legislatore, spetta ai pratici del
diritto cercare di limitare i danni. E' compito di magistrati e avvocati
attrezzarsi non solo tecnicamente, ma soprattutto culturalmente, per
contemperare l'applicazione della legge con il rispetto dei diritti. E ciò
implica necessariamente sfrondare la riflessioni giuridica da sovrastrutture
concettuali (virtualità, cyberspazio.) e tenere separati il dominio del
diritto e quello della tecnologia. Evitando così confusioni e aberrazioni
giuridiche, come pure assurdità tecniche.
Perché l'Italian Crackdown rimanga solo un brutto ricordo.
|