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 Attualità

Il problema è la vulnerabilità delle reti
di Manlio Cammarata - 02.10.03

Il black out elettrico di domenica 28 settembre, che ha lasciato l'Italia senza corrente per parecchie ore, ripropone ancora una volta il tema della "società vulnerabile". In otto anni lo abbiamo affrontato spesso su queste pagine e chiedo scusa ai lettori di vecchia data se ancora una volta inserisco un link al convegno del '95 dal quale è nata questa rivista: Comportamenti e norme nella società vulnerabile.

Secondo la ricostruzione oggi più accreditata, il primo colpevole del disastro energetico dei giorni scorsi sarebbe un vecchio albero di una vallata svizzera, i cui rami avrebbero toccato una linea ad alta tensione, provocando un corto circuito. Con il previsto "effetto domino" (ma dopo qualche fase intermedia non ancora chiara) i sistemi informatici di protezione delle reti avrebbero rapidamente spento le nostre centrali elettriche. Scrive la Repubblica del 30 settembre, riportando le parole di un tecnico "credetemi, ha fatto tutto il computer". Così, ancora una volta, il colpevole di una situazione di disagio è presto individuato in un sistema informatico. E aumenta la diffidenza diffusa nei confronti delle tecnologie.

Il bello, anzi il brutto, è che tutto questo è vero. O almeno verosimile, anche se in molti non riescono a crederci. La sostanza, in parole povere, è questa: se in una rete elettrica viene a mancare improvvisamente una significativa quantità di energia, i sistemi interconnessi che restano in funzione registrano un sovraccarico che potrebbe determinare danni gravissimi. Quindi si spengono automaticamente. E' vero dunque che il black out generale è l'effetto della decisione di un sistema informatico, ma è una decisione prevista e voluta per evitare che le centrali vadano in fumo. In questo caso i computer hanno fatto il loro dovere, scongiurando un danno enormemente più grave.

Isolato il guasto, la rete può riprendere a funzionare. Ma l'avviamento dei generatori richiede un certo tempo, e poi non si possono rimettere in funzione tutti insieme. Infatti, nel momento in cui un generatore inizia a riversare energia nella rete, si verifica un momentaneo squilibrio di tutto il sistema, non molto diverso da quello causato da un generatore che si spegne. Così si deve procedere gradualmente, per evitare uno sconquasso che riporterebbe la situazione al punto di partenza. Ecco perché occorrono molte ore per rimediare a un inconveniente durato forse qualche secondo. Però nessuno lo ha detto con chiarezza.

Perché fin dalle prime ore le spiegazioni si sono perdute nell'esplosione delle polemiche, delle accuse e controaccuse, dei battibecchi da mercatino rionale. Se ne è avuto un saggio illuminante nel Porta a porta di lunedì 29, quando le voci sopra le righe dei politici, cercando di sopraffarsi a vicenda, hanno sopraffatto le voci dei tecnici, sicché alla fine nessuno può dire di aver capito qualcosa. E non ha avuto lo spazio che avrebbe meritato il più grande dei "tecnici", il premio Nobel Carlo Rubbia, ammesso per ultimo al salotto mediatico e lasciato praticamente in un angolo. Sicché alla fine in molti spettatori deve essere rimasto un interrogativo irrisolto: ma il black out è di destra o di sinistra?

Un'altra curiosità, fino a ora insoddisfatta, riguarda la propagazione dell'interruzione di corrente: posto che lo spegnimento delle centrali che fanno parte di una rete è la conseguenza necessaria di un improvviso calo dell'energia disponibile sulla rete stessa, non è possibile programmare un sezionamento del sistema, in modo che il black out interessi solo alcuni settori? Sul prossimo numero della rivista ospiteremo l'intervento di un esperto che ci spiegherà come stanno esattamente le cose. Ora a noi interessa partire da questo interrogativo per richiamare ancora una volta l'attenzione sulla vulnerabilità di un sistema globale che funziona "in rete" (e oggi non può funzionare diversamente).

Tutto quello che è successo il 28 settembre ha mostrato con grande chiarezza i limiti delle strutture interconnesse e la necessità di porre rimedio ai prevedibili rischi. Gli ospedali, il servizio radiotelevisivo pubblico e le strutture di emergenza hanno funzionato perché si sono disconnessi dalla rete e hanno utilizzato l'energia dei generatori autonomi (e la Protezione civile ha provveduto, con grande efficienza, al tempestivo rifornimento del combustibile per farli funzionare per tutto il tempo necessario). I cittadini hanno ricevuto le informazioni essenziali dalle radio portatili e da quelle delle automobili, che non devono prelevare energia dalla rete elettrica.

Generatori autonomi hanno fatto funzionare buona parte delle reti telefoniche e anche l'internet è rimasta sostanzialmente in piedi, grazie all'intervento automatico dei generatori di emergenza. Ma i computer domestici, che dipendono dalla rete elettrica, ha dato forfait. E, almeno finché hanno retto le batterie dei portatili, non è stato possibile trovare sul web informazioni sufficienti a capire che cosa stesse accadendo. Ricordiamo che l'11 settembre 2001 la struttura dell'internet, dopo un iniziale tracollo, ha resistito, ma è stata la televisione che ha "coperto" i tragici avvenimenti con la maggiore efficacia (vedi Questa volta non sono "effetti speciali").

Anche nel black out italiano del 28 settembre, in una situazione molto meno drammatica, la grande struttura telematica non ha svolto un ruolo informativo degno di nota. La radio si è rivelata il medium più efficace e gli "speciali" di Radio 1 hanno realizzato un "Tutto il buio minuto per minuto" che (a parte qualche strana omissione), ha dato un quadro abbastanza chiaro della situazione.
La rivincita delle vecchie radioline, hanno detto i media. Vero, ma è stata soprattutto la rivincita dei sistemi non interconnessi e la dimostrazione della fragilità delle reti, dove un guasto apparentemente insignificante può avere conseguenze catastrofiche. Da noi è successo nella notte tra sabato e domenica e la giornata festiva ha ridotto il disagio, ma il black out che si è verificato negli Stati Uniti in agosto ha mostrato quali conseguenze possa avere la caduta delle reti elettriche in giorni normali: pensiamo a quante persone sarebbero rimaste imprigionate nelle metropolitane di Roma e Milano, se il black out si fosse verificato in un'ora di punta.

Un mondo "non interconnesso" è impensabile. Lo sviluppo reticolare della società appare oggi come una linea di tendenza inevitabile, il che comporta la necessità di considerare le conseguenze della vulnerabilità dei sistemi in rete. E quindi è necessario predisporre non solo le difese preventive, ma anche le procedure di emergenza. Perché dovrebbe essere chiaro che non serve a nulla controllare tutte le comunicazioni che si svolgono in rete (come cercano di fare gli americani) per prevenire attacchi terroristici, se basta un colpo di vento che piega i rami di un albero per lasciare al buio un'intera nazione.
Occorrono sistemi ridondanti, controlli continui, misure di sicurezza sempre aggiornate, procedure di disaster recovery su scala continentale, per non dire mondiale. E poi sempre più giù, dalle grandi alle piccole strutture, fino alle scorte domestiche di pile e di candele.

Una nota "di colore" per chiudere: le rassicurazioni più importanti che le autorità hanno ritenuto di dare ai cittadini il 28 settembre sono state due. La prima che il black out non era la conseguenza di un atto di terrorismo e la seconda che le partite di calcio sarebbero state giocate regolarmente.
Già, il pallone non si può fermare per un albero che tocca una linea elettrica su una montagna svizzera, vogliamo scherzare?

A proposito: le questioni che riguardano i diritti di trasmissione delle partite non interessano solo il nostro Paese (vedi Il diritto di cronaca sulle partite di calcio di R. Manno e Calcio-spettacolo e diritto di cronaca di D. Coliva). Riferisce infatti Baker & McKenzie che in Danimarca l'autorità antitrust ha aperto un procedimento contro l'operatore telefonico H3G per l'esclusiva sulla trasmissione delle partite e  per l'obbligo imposto agli abbonati di dotarsi di un software apposito. Il problema è serio, perché riguarda il diritto dei cittadini all'informazione su argomenti di interesse generale, come è nel nostro Paese il campionato di calcio. Ora, nel caso del back out del 28 settembre, i cittadini avevano il diritto di essere informati sulla situazione e questo diritto è stato soddisfatto in primo luogo dalla radio. Ma anche i telefonini, riferiscono i media, hanno "sparato" messaggini di interesse generale.

A ben guardare, il "diritto di cronaca", che tradizionalmente viene attribuito ai giornali e ai giornalisti, in primo luogo è un diritto dei cittadini. Appare discutibile che esso possa essere riservato a qualcuno per contratto. Sicurezza a parte, c'è qualcosa che non va nella società dell'informazione.