Cosa pensereste se, all’esame finale dell’Accademia di
Belle Arti, vi dicessero che per creare il vostro elaborato pittorico potete
usare i pennelli purché vi sia inibito l’accesso alla cassetta dei colori? O
se, all’esame per il rilascio della patente, vi dicessero che potete
effettuare la prova di guida utilizzando solo autovetture sulle quali fosse
inibito il collegamento tra serbatoio del carburante e motore?
Sono anni che da queste colonne ironizzo sulla ahimé sempre crescente
sciatteria del nostro legislatore, quando nelle norme che emana fanno capolino
elementi scientifici o tecnologici, ma mai avrei pensato che sarebbe stato
possibile raggiungere vette di nonsense così sublimi come quella di cui
mi occupo oggi.
La notizia era già stata prontamente segnalata nell’editoriale
del precedente numero di InterLex (Effetti perversi di una legge
"degradata" di Manlio Cammarata), ma per i distratti o i
ritardatari riporto comunque anche in questa sede la meravigliosa “perla”
prodotta dal nostro Parlamento. Si tratta di una legge tanto concisa quanto attesa, in quanto
teoricamente pensata per sanare uno storico anacronismo nelle modalità di
svolgimento dell’esame di idoneità professionale per gli aspiranti
giornalisti; e come tale è stata approvata con inusitata celerità da entrambi
i rami del Parlamento, dimostrando uno zelo commovente e un’unanimità bipartisan
degna di miglior causa.
Il testo definitivamente approvato, e pronto per la promulgazione da parte del
Presidente della Repubblica, reca il titolo “Modifica all’articolo 32 della legge 3 febbraio
1963, n. 69. Introduzione dell’uso dell’elaboratore elettronico (personal
computer) nello svolgimento della prova scritta dell’esame di idoneità
professionale per l’accesso alla professione di giornalista”. Esso si
compone di un solo articolo, questo:
Art. 1
1. All’articolo 32 della legge 3 febbraio 1963, n. 69, è aggiunto, in fine,
il seguente comma: «Per lo svolgimento della prova scritta è consentito l’utilizzo
di elaboratori elettronici (personal computer) cui sia inibito l’accesso alla
memoria secondo le modalità tecniche indicate dal Consiglio nazionale dell’Ordine
dei giornalisti, sentito il Ministero della giustizia».
2. Entro un mese dalla data di entrata in vigore della presente legge, il
Governo provvede, con apposito provvedimento, ad apportare le modifiche
necessarie al regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 4
febbraio 1965, n. 115, e successive modificazioni, al fine di adeguarlo alle
disposizioni di cui all’articolo 32 della legge 3 febbraio 1963, n. 69, come
modificato dal comma 1 del presente articolo.
La mente vacilla. Santo cielo, cos’è un computer «cui sia
inibito l’accesso alla memoria»?
Non c’è bisogno di scomodare le buonanime di Turing o Von Neumann per
rammentare al colto pubblico e all’inclita guarnigione come la “memoria”
sia una componente essenziale ed imprescindibile di ogni modello astratto di “macchina
da calcolo” concepibile, in quanto dedicata a mantenere lo “stato logico”
nel quale in ciascun istante si trova la macchina stessa. Scendendo assai più
terra terra, ciò significa che ogni computer realmente costruito o costruibile
funziona in quanto, oltre al “processore” (colui che fa i calcoli) vi è una
“memoria” nella quale sono immagazzinati non solo i dati su cui
vengono effettuati i calcoli ed i risultati prodotti, ma lo stesso programma
(inteso come “sequenza di istruzioni”) che dice al processore cosa deve fare
e come debba farlo.
In ogni computer esistente, dunque, la memoria serve per
caricarvi innanzitutto un’immagine del sistema operativo (Windows o
Linux tra i più noti, ma ve ne sono anche altri), che è quella sorta di “programma
fondamentale” che mette il computer in grado di funzionare; poi per caricare i
programmi applicativi, che sono gli strumenti che utilizziamo per
svolgere i compiti che ci siamo prefissi (ad esempio: scrivere un documento,
mandare una e-mail, navigare su Internet); ed infine per memorizzare
temporaneamente i dati necessari al funzionamento di tutto il sistema ed
i risultati ottenuti mediante la nostra attività. Che la memoria sia una
componente fondamentale ce ne accorgiamo anche dal fatto che i moderni personal
computer ne hanno bisogno in quantità sempre più ampie: se infatti ai tempi
del buon vecchio DOS ne bastavano poche centinaia di migliaia di byte, oggi un
computer con Vista ne vuole almeno due miliardi per poter funzionare in maniera
appena accettabile.
Un computer senza memoria, o al quale l’accesso alla
memoria “sia inibito” (qualsiasi cosa ciò significhi in pratica), non è
dunque nient’altro che un pezzo di ferro completamente inattivo e del tutto
inutilizzabile: per la precisione non è neppure in grado di accendersi,
figuriamoci se può far girare un qualsiasi programma! Ora, non serve una laurea
in ingegneria informatica per saperlo: basta possedere un personal computer, o
avere un figlio che lo possiede e continua a chiederci i soldi per comprare le
ulteriori schedine di RAM necessarie per far girare l’ultimo fantasmagorico
gioco appena uscito.
La norma dunque è palesemente assurda e fallace nella sua apodittica
formulazione. Tanto valeva dire agli aspiranti giornalisti che possono redigere
il loro tema mediante matite purché prive di mina, o penne purché prive di
inchiostro, o fogli di carta sui quali sia inibita la possibilità di scrivervi
sopra.
Detto ciò, rimangono aperti due interessanti problemi. Il
primo è: che senso ha in realtà (ammesso che ne volesse avere uno…) una
norma così congegnata? In altri termini: al di là di ciò che purtroppo il
legislatore ha realmente messo per iscritto, cosa effettivamente aveva in mente
quando si è accinto a stilare un provvedimento legislativo di riforma delle
modalità di effettuazione della prova di idoneità dei giornalisti? Il secondo
invece è: come ha fatto una norma formulata in maniera così palesemente
assurda e folle a superare l’iter legislativo ed essere approvata dai due rami
del Parlamento senza suscitare perplessità in alcuno degli astanti?
Andiamo con ordine, e vediamo se riusciamo a sciogliere almeno uno dei due
misteri che ci attanagliano.
Per investigare a fondo la questione mi sono procurato,
grazie all’eccellente sito di documentazione del Senato, gli atti relativi all’intero
iter parlamentare della legge. Questa dunque nasce come progetto di legge di
iniziativa parlamentare, numero 3273, presentato il 13 novembre 2007 da un
gruppo di deputati avente come primo firmatario l’onorevole Pino Pisicchio.
Licenziato con parere favorevole dalla 7ª Commissione permanente (cultura,
scienza e istruzione) cui era stato assegnato (con buona pace della scienza…),
e superato rapidamente il vaglio di altre due commissioni parlamentari (affari
costituzionali e giustizia), il progetto di legge viene approvato dalla Camera
il 12 dicembre e trasmesso al Senato il 19 successivo; qui viene discusso il 9
gennaio 2008 ed approvato definitivamente lo stesso giorno senza alcuna modifica
od osservazione. Viene quindi inviato alla Gazzetta Ufficiale, dove è
attualmente in attesa di pubblicazione.
Scorrendo dunque la proposta originale di Pisicchio e le
trascrizioni della sua discussione si scopre parte dell’arcano, ottenendo
almeno chiarezza in merito agli intenti dell’iniziativa. Tutto nasce dalla
considerazione che la prova di idoneità per gli aspiranti giornalisti, normata
da una legge del 1963 e da un regolamento attuativo del 1965, si svolge con
modalità oramai obsolete, le quali provocano gravi ambasce nei candidati e
perfino un increscioso onere logistico ed amministrativo nell’Ordine. Infatti
il regolamento obbliga di fatto i candidati a svolgere il compito usando
antiquate macchine da scrivere meccaniche o al più elettromeccaniche, che oltre
ad essere scomode da usare (ad esempio non consentono agevolmente di tenere
conto delle dimensioni del testo redatto), debbono addirittura essere prese a
noleggio dall’Ordine in occasione degli esami in quanto nessuna redazione o
privato ne è più abitualmente dotato. L’idea venuta al Parlamento è dunque
quella di consentire ai candidati di svolgere l’esame utilizzando il proprio
personal computer, rendendone così lo svolgimento più adeguato ai tempi, oltre
che più agevole ed economico.
Per far ciò sorge tuttavia un problema. Dice infatti il
regolamento vigente, nella sua più recente modificazione, che il candidato non
può portare con sé all’esame «mezzi di comunicazione portatili o macchine
per scrivere elettroniche con memorie» (il corsivo è mio). Ecco il
punto! Il senso ultimo di tale norma, in linea con la più antica e sempre
valida proibizione per il candidato di portare con sé libri, quaderni o
appunti, è quella di impedire a quest’ultimo ogni indebita interferenza con l’esterno,
evitando in particolare che egli possa surrettiziamente portare con sé
elaborati già svolti in precedenza o testi che comunque possa utilizzare per
integrare il suo compito d’esame.
Occorre a questo punto ricordare che, al tempo in cui fu
effettuata la precedente revisione del regolamento, i personal computer
portatili non erano ancora disponibili; erano invece di uso più comune,
soprattutto presso i giornalisti, piccole macchine da scrivere elettroniche in
grado di memorizzare su apposite cassette o dischetti il testo redatto per
riutilizzarlo in seguito. Il regolamento dunque stabiliva che tali macchine da
scrivere non fossero idonee in quanto potenzialmente consentivano al candidato
di portare con sé in sede d’esame testi già redatti, violando la norma
generale.
Nella discussione della proposta Pisicchio, in effetti, il
problema viene correttamente esposto e si suggerisce come soluzione la
possibilità di far svolgere la prova di esame sul personal computer del
candidato stesso, utilizzando un apposito software predisposto dall’Ordine dei
giornalisti che trasformi di fatto tale PC in un «semplice strumento di
scrittura, restandone impedito l’accesso alla memoria permanente.»
(anche in questo caso il corsivo è mio). L’idea dunque è quella di far
utilizzare al candidato il proprio personal computer come se fosse una pura e
semplice macchina per scrivere, utilizzando allo scopo un apposito software che
impedisca l’accesso a quelle che un tecnico chiamerebbe più propriamente “memorie
di massa” (hard disk, floppy disc, CD e DVD, chiavette USB, …) in modo da
far rispettare lo spirito del regolamento e scongiurare così ogni tentativo di
frode da parte del candidato stesso.
Questa lodevole iniziativa perde tuttavia di efficacia solo
poche righe dopo, quando gli estensori della proposta di legge concludono
dicendo che essa è «volta a correggere l’anacronismo denunciato
predisponendo una norma che indica la possibilità di utilizzare sistemi di
scrittura su supporti elettronici cui sia inibito l’accesso alla memoria.»
(il corsivo è sempre mio). Come si vede, a parte l’aver introdotto il
meraviglioso concetto di “supporto elettronico” di cui nessuno sa ovviamente
nulla, per qualche strano motivo ora nel testo si è perso l’aggettivo “permanente”
riferito alla capacità di memorizzazione del personal computer, che ai nostri
onorevoli deputati appariva evidentemente come un tecnicismo pleonastico e
volgare. E così è avvenuto anche per il testo della proposta di legge, che al
comma 1 del suo unico articolo si riferisce come abbiamo visto alla “memoria”
tout court e non alla “memoria permanente”: cose ben diverse tra
loro, come sanno tutti quanti tranne evidentemente i nostri parlamentari.
Purtroppo (o per fortuna…) nella nostra pur bistrattata
lingua gli aggettivi ancora contano, perbacco. Nel caso in questione, l’omissione
di quel “permanente” cambia drammaticamente il significato della norma, e
non è un semplice cavillo od uno sterile tecnicismo. “Memoria” e “memoria
permanente” sono cose tra loro così diverse quanto lo sono il “tetto” ed
il “tetto coniugale” o il “tasso” ed il “tasso di sconto”, checché
ne pensino i nostri governanti!
Spiegato dunque il primo arcano, rimane tuttavia inspiegato
ed inspiegabile il secondo: come ha fatto un simile testo ad essere approvato
tal quale nonostante tutte le commissioni e le verifiche cui è stato
sottoposto? Possibile che fra Camera e Senato non sia trovato, non dico uno
scienziato, ma anche semplicemente un commesso (per non parlare di un deputato o
di un senatore…) che masticasse quel minimo di informatica ruspante
sufficiente per accorgersi dell’orrore? Mi risulta ad esempio che il Servizio
informatica della Camera impieghi un’ottantina di straordinari esperti, tutti
dotati di invidiabili curriculum accademici o professionali, selezionati
mediante rigorosi concorsi tra i migliori informatici del Paese; ed immagino che
al Senato le cose non siano troppo diverse. Proprio a nessun deputato o
senatore, presidente o segretario di commissione, è passato un attimo per la
mente di sottoporre, anche informalmente, ad un esperto che passasse di lì una
proposta di legge recante contenuti tecnici, tanto per vedere cosa ne pensasse?
Eppure c’è stato tempo e modo di sottoporre formalmente la proposta
addirittura alla Commissione per gli affari costituzionali, che veramente non
sembra aver molto a che fare con la norma in oggetto!
E pensare che, per ironia della sorte, esiste perfino una
Associazione Parlamentari Amici delle Nuove Tecnologie! Fondata dal deputato
Franco Grillino nel novembre 2007, sembra vi abbiano entusiasticamente aderito
oltre un centinaio di membri del Parlamento autodefinitisi “appassionati del new
tech, di internet e di telefonia cellulare.”. Ne è presidente onorario,
“eletto per acclamazione con un lungo applauso” come recita l’enfatico
comunicato stampa, nientemeno che il senatore a vita Francesco Cossiga, da
sempre appassionato ed esperto di ogni forma di nuova tecnologia informatica e
delle telecomunicazioni. Vicepresidente dell'associazione è invece Antonio
Palmieri, autore di una proposta di legge volta ad istituire una commissione
bicamerale per le nuove tecnologie.
Chissà dov’erano tutti quanti quando, nelle rispettive aule, si è votata la
proposta Pisicchio…
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