Due argomenti di primo piano si confrontano nella prima pagina di questo numero: il
primo è la vicenda scandalosa dell'altolà imposto dalla Presidenza del
consiglio dei ministri alla discussione sulla riforma della legge sul diritto
d'autore; il secondo è l'apertura di una "consultazione" presso il
Dipartimento dell'innovazione sulla revisione delle norme del Codice
dell'amministrazione digitale che riguardano le firme elettroniche.
Questi due temi sono legati da un filo, per nulla sottile, che riguarda il
meccanismo di formazione delle leggi nel nostro Paese. Un meccanismo i cui
effetti sono facilmente visibili nel "tormentone" che da mesi la prima pagina InterLex infligge ai suoi lettori:
un delirio di parole privo di qualsiasi significato.
E' evidente che siamo di fronte a un caso limite, ma è altrettanto evidente
che negli ultimi anni sono state emanate troppe norme che mal si conciliano col
senso comune, prima ancora che col senso giuridico.
E' il caso delle più recenti modifiche introdotte alla normativa sul diritto
d'autore, da ultimo con il "decreto Urbani", convertito in legge tra
mille polemiche e con l'incredibile ammissione, da parte dello stesso ministro
Urbani e del Parlamento, che il testo approvato non andava bene (vedi Da Passigli a Urbani l'arroganza del legislatore).
Ma perché era stato emanato un decreto-legge, poi convertito con poche
modifiche, che non suscitava tante critiche? La risposta - confermata da un
parlamentare - è nella pressione delle lobby dei distributori di
contenuti (le major dell'intrattenimento, della musica e del cinema, i
grandi editori) e del monopolista italiano della riscossione dei diritti sui contenuti, la
SIAE - Società italiana degli autori e degli editori.
Ora non entriamo del dettaglio delle "richieste" di questi soggetti
(molti articoli sull'argomento sono nelle pagine di InterLex dedicate al diritto d'autore), richieste che in prospettiva appaiono autolesionistiche.
Quello che
conta è rilevare che ne risultano norme che proteggono molto più i
"padroni delle idee" che i cittadini. Questi sono stretti in una morsa
di norme, in qualche caso contraddittorie, che limitano oltre misura i diritti
di chi legittimamente acquisisce i contenuti e puniscono con sanzioni
spropositate chi li acquisisce o distribuisce illegalmente.
Tali sono state le critiche alla "Urbani" che il Governo ha
insediato una commissione presso il Dipartimento per l'innovazione, con il
compito di formulare proposte "anche normative" per risolvere i
problemi dei "diritti digitali". Nessun risultato su questo punto,
solo un paio di costose pubblicazioni patinate che descrivono le questioni sul
tappeto e riportano diversi pareri.
Intanto, però un altro gruppo si è messo al lavoro: il Comitato consultivo
permanente sul diritto d'autore, istituito dall'art. 190 della legge 633 del 1941 (forse il
testo più "rattoppato" del nostro ordinamento!). Ora è
presieduto da un esperto della materia, il professor Giuseppe Corasaniti, che ha
alle spalle una preziosa esperienza di pubblico ministero nel campo dei reati
informatici. Corasaniti elabora una bozza di riforma della legge del '41. Il testo
contiene alcune proposte di buon senso giuridico, come il riconoscimento della
legittimità del peer-to-peer e la procedibilità per i
reati in materia "a querela di parte" (e non,come adesso "d'ufficio"
- vedi il comunicato di ALCEI) . E
organizza una consultazione con gli esperti del
settore.
Chi legge il testo - riservatissimo - sobbalza: i "poteri forti"
dell'industria dei contenuti non accetteranno una simile apertura. E dalla Presidenza del consiglio parte il secco "stop" a
Corasaniti, con la lettera di Mauro Masi
(ex-commissario straordinario della SIAE). Ora è anche vero che la legge non
prevede che il Comitato debba formulare proposte legislative, ma è anche vero
che un testo preparato da persone di indubbia competenza merita di essere
valutato e, se del caso, adottato da chi ha il potere di proporre le leggi.
Passiamo al secondo argomento, le modifiche al Codice
dell'amministrazione digitale (DLgs 82/05), varato in marzo, ma destinato
a entrare in vigore dopo ben dieci mesi perché, anche in questo caso, ci si è
resi conto che il testo è "difettoso". Le disposizioni in materia di
firme elettroniche sono confuse (anche se correggono alcuni evidenti errori
della normativa in vigore). Eppure l'ufficio legislativo del ministro Stanca,
diretto dall'avvocato dello Stato Enrico De Giovanni, aveva compiuto un paziente
lavoro di messa a punto del testo, anche con la collaborazione di diversi
esperti della materia.
Ma il testo partorito dal Consiglio dei ministri è cambiato rispetto a
quello concepito negli uffici del Dipartimento per l'innovazione: anche in
questo caso c'è stato qualche intervento "collaterale" che ha
scompaginato tutto, con i risultati che conosciamo.
Ora De Giovanni ci riprova e convoca di nuovo gli esperti, questa volta in via
ufficiale, affinché resti una traccia delle posizioni di ciascuno. L'obiettivo
è di costruire un testo chiaro e coerente, blindato contro colpi di
mano dell'ultimo momento. Ci riuscirà?
Il processo di formazione delle leggi, in tutti i Paesi democratici, è
complesso e richiede l'intervento di molte parti. Può facilmente essere
paragonato alla fabbricazione di prodotti di alto contenuto tecnologico, con
l'impiego di competenze specialistiche e di una "manodopera"
qualificata. Il progetto complessivo deve essere coerente in tutti i suoi
dettagli, altrimenti i prodotti non funzionano e il "mercato" li rifiuta. Invece
nella "fabbrica delle leggi" i progetti sono spesso modificati dall'intervento
di soggetti esterni alla fabbrica stessa, che guardano solo ai propri
interessi e non all'interesse collettivo che deve essere regolato dai
"prodotti" legislativi. Si potrebbero fare molti esempi, anche in
campi diversi dal nostro. Per esempio, nelle norme sui prodotti alimentari: con
l'apparente scopo di proteggere i consumatori, si fanno norme che favoriscono
solo le grandi industrie: pensiamo al cioccolato "impuro", al divieto
di indicare nelle etichette l'origine delle materie prime, ai prodotti
artigianali che diventano poco igienici per direttiva europea...
Perché, come si dice, "tutto il mondo è paese".
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