di Giancarlo Fornari*
- 09.03.2000
Caro Manlio, vorrei permettermi qualche osservazione a margine del tuo articolo
del 2 marzo con il quale, dovendo criticare una recente risoluzione del
Ministero delle finanze sull'editoria elettronica, critichi lo stesso
Ministero per le procedure del cosiddetto fisco telematico, lo attacchi per gli
aggravi fiscali sugli atti giudiziari e - giacché ci sei - lo rimproveri
per la scarsa accessibilità delle sue fonti normative, con ciò cedendo a un
riflesso condizionato tipico: quello di scaricare sul fisco, di qualunque cosa
si tratti, tutta la carica di aggressività maturata nei rapporti con tale poco
amata e amabile istituzione. Trappola in cui cadono anche persone di
riconosciuto spirito, come ho personalmente constatato quella volta che ebbi ad
invitare ad un seminario sul "fisco in rete" Luciano De Crescenzo,
convinto che in quanto informatico, filosofo e umorista avrebbe potuto dare un
contributo stimolante al dibattito, e poi ebbi la delusione di vederlo impiegare
dieci minuti su undici per lamentarsi di un avviso di pagamento sbagliato
ricevuto anni prima.
Nel rallegrarmi, quindi, che tu non abbia approfittato dell'occasione per
denunciare anche una cartella pazza avuta nell'84 e un rimborso arretrato del
'92, vengo al punto principale, e cioè la risoluzione con la quale il mio
Ministero - e, per esso, la Direzione per gli affari giuridici e il
contenzioso - ha affermato che "la nozione di pubblicazione è limitata ai
prodotti cartacei". Se posso permettermi un giudizio personale, devo dire
che anche in me la lettura di questa risoluzione ha destato qualche
perplessità. Intanto, perché la scrittura dell'uomo attraverso i millenni ha
fatto un lungo cammino da un supporto all'altro - le tavolette di argilla o
di cera, la pietra, il bronzo, la tela, il papiro, la pergamena, la cartapecora,
la carta, da ultimo i nastri magnetici e i dischi ottici - e si è sempre
riconosciuto che la natura del documento non era in alcun modo influenzata dalla
natura del supporto che era stato utilizzato per conservarlo.
Nella fattispecie, poi, sostenere "oggi" che il concetto di
pubblicazione riguardi solo il documento cartaceo significa negare non solo l'evoluzione
tecnologica (siamo alle porte della rivoluzione dell'e-book) ma anche l'importante
processo che ha portato negli ultimi anni ad equiparare in modo completo il
documento digitale a quello informatico. Sembra strano che proprio nel momento
in cui si è arrivati a dematerializzare atti e contratti - liberandoli per
sempre dal loro contorno obbligatorio di carta intestata, firme con inchiostro
indelebile, timbri e quant'altro - si voglia rimanere prigionieri di un
concetto di pubblicazione indissolubilmente ancorato al vecchio supporto.
Presumo, avendo parlato con i colleghi della Direzione interessata, che la
fattispecie da cui ha avuto origine il quesito (distribuzione ad personam
di materiale informativo a carattere finanziario) abbia influenzato l'orientamento
della risoluzione. Una cosa è certa, comunque: tutta la materia di quella che
potremmo chiamare "la fiscalità digitale" è oggi sotto esame da
parte della Commissione europea. Non appena questa avrà emanato una direttiva
in proposito l'amministrazione finanziaria si adeguerà cercando di
disciplinare in modo il più possibile completo e coerente tutte le implicazioni
fiscali dell'utilizzo delle nuove tecnologie. E all'interno di questo quadro
sarà probabilmente oggetto di riesame anche il contenuto della risoluzione che
ha sollevato le tue critiche.
2. Molto meno d'accordo con te mi devo dichiarare per quanto riguarda il
giudizio sulle procedure del cosiddetto fisco digitale. Si tratta di una
operazione gigantesca che pur con alcuni ovvi limiti ha consentito di ricevere e
distribuire quasi in tempo reale agli enti destinatari (erario, enti
previdenziali, regioni) circa 600.000 miliardi, e di far pervenire all'anagrafe
tributaria i dati relativi a 27 milioni di dichiarazioni, trasmesse da 90.000
intermediari abilitati; con ciò realizzando l'obiettivo "zero
carta" che amministrazioni come quella statunitense, per molti versi più
avanti della nostra, contano di raggiungere solo fra cinque anni.
La condizione per arrivare a questo risultato è stata la definizione di
precise specifiche per la trasmissione, la creazione di una rete privata
virtuale aperta a 90.000 soggetti abilitati e la distribuzione di una firma
digitale che garantisce la riservatezza delle transazioni: secondo una procedura
parzialmente diversa da quella canonica disciplinata dall'AIPA ma altrettanto
sicura (nonché espressamente autorizzata, come tu sai meglio di me, dall'art.
62, comma 3, del D.P.C.M. 8 febbraio '99, in base al quale "restano salve
le disposizioni contenute nel decreto del Ministero delle finanze 31 luglio 1998
.concernente le modalità tecniche di trasmissione telematica delle
dichiarazioni, e successive modificazioni ed integrazioni").
Non capisco pertanto come tu possa disconoscere l'importanza quasi storica
di una operazione come quella del fisco telematico (e che a partire da quest'anno
prevederà anche la possibilità di compilazione on line della dichiarazione da
parte del comune contribuente e il suo inoltro diretto via Internet) affermando
che l'amministrazione finanziaria "rema contro" la firma digitale.
Siamo forse la prima amministrazione al mondo che applica su scala di massa i
principi della firma digitale, e tu ci dici che remiamo contro? E' chiaro che
la tua critica deriva dal fatto che tu per firma digitale intendi solo quella
complicata e complessa procedura codificata dall'AIPA, punto e basta. Ma
sappiamo tutti che che di sistemi di firme digitali ce ne saranno diecine, o
forse centinaia, tutti più o meno agili, tutti più o meno provvisti di
analoghe caratteristiche di sicurezza/insicurezza, e quello scelto dall'Aipa
non è che uno fra i tanti. Se noi avessimo dovuto attendere prima l'emanazione
delle regole tecniche da parte dell'AIPA e poi tutto lo sviluppo delle
conseguenti operazioni tra cui l'entrata in funzione delle autorità di
certificazione, la consegna delle smart card, la distribuzione dei
certificati e la pubblicazione delle chiavi pubbliche staremmo ancora a
domandarci quando possiamo cominciare. Il progresso tecnico incommensurabile che
abbiamo realizzato - una intera annualità di dichiarazioni "zero
paper" - sarebbe stato bloccato.
Tra l'altro, non bisogna dimenticare che la recente direttiva
dell'Unione europea si rivela molto più aperta e flessibile della
nostra normativa: mentre quest'ultima prevede l'adozione tassativa
della crittografia a chiavi asimmetriche, la Direttiva adotta un sistema
tecnologicamente neutro; e anche laddove prevede l'adozione di una c.d. firma
elettronica sicura o "avanzata" (equivalente, in pratica, a quella
disciplinata dalle nostre norme) non vincola tale strumento all'adozione della
tecnologia a chiavi asimmetriche. Inoltre, viene formalmente escluso che la
firma elettronica possa essere considerata inammissibile come prova in un
giudizio unicamente a causa del fatto che "non sia creata da un dispositivo
per la creazione di una firma sicura". Altre discordanze emergono in
materia di certificazione, in quanto la normativa italiana (che subordina la
possibilità di esercizio di tale funzione all'iscrizione nell'apposito
registro dell'AIPA) appare anche qui più prescrittiva di quanto non lo sia la
Direttiva dell'Unione europea, che esclude qualunque necessità di
autorizzazione preventiva.
Stando così le cose è da presumere che il legislatore italiano non potrà
che prendere atto delle indicazioni provenienti da una fonte normativa superiore
e adeguare in tal senso la normativa attuale. Con il che il problema da te
sollevato sarà automaticamente risolto. Ma se badiamo alla sostanza, e non
facciamo i guardiani delle forme giuridiche telematiche, dobbiamo convenire che
la grande quantità di soggetti e di dati coinvolti dal fisco telematico
(pensiamo alla necessità di attivare le procedure della firma digitale per 20
milioni di contribuenti) richiede procedure di validazione dell'identità
rapide da attivare, poco costose, poco macchinose.
3. Un'ultima osservazione riguarda il giudizio, a mio avviso ingeneroso,
che hai dato sul sito Internet del ministero. Proprio tu, che sei membro
autorevole del Comitato dei Garanti (e non so quante istituzioni abbiano dato
vita a un simile organismo) dovresti sapere che se c'è una preoccupazione
costante in chi ha il compito della gestione del sito, è quella di far sì che
questo possa essere uno strumento per aumentare al massimo la trasparenza della
amministrazione. E il problema delle norme in rete è uno di quelli che ci siamo
posti sin dall'inizio (anche a partire da quel convegno di cui parlavo prima).
Oggi nell'archivio del sito ci sono le circolari e le risoluzioni (non so come
tu abbia potuto trovare solo una parte della circolare 328, io ho provato a
cercarla il giorno dopo e l'ho potuta stampare tutta) ma ci sarebbero anche i
decreti e le altre fonti normative se la Sogei non avesse trovato degli ostacoli
nel rispettare i tempi previsti per questi inserimenti. Quando, mi auguro tra
pochi mesi, questo lavoro sarà compiuto, tutto il vasto materiale giuridico
informativo contenuto nella banca dati proprietaria oggi a disposizione degli
operatori dell'amministrazione finanziaria sarà gratuitamente reso
disponibile per tutti i navigatori del Web.
* Direttore dell'Ufficio per l'informazione del
contribuente del Ministero delle finanze
Ringrazio Giancarlo Fornari per la tempestiva replica, che - al di là dei
rapporti personali - testimonia l'attenzione del Ministero per la "voce
della Rete". Altre amministrazioni oppongono un odioso muro di gomma,
mentre le Finanze non si sottraggono al dialogo e cercano di migliorare i
rapporti col pubblico, come prova il "Comitato dei garanti" del sito
del fisco.
Mi sembra che sul primo punto, relativo alla definizione dell'editoria come
esclusivamente cartacea, siamo d'accordo.
Per quanto riguarda la trasmissione telematica degli atti e l'eliminazione della
carta, nell'articolo ho usato l'avverbio "meritoriamente" e lo scritto
di Fornari illustra con comprensibile e giustificato orgoglio i risultati
dell'innovazione.
Resta la questione della firma digitale. Il problema ha due facce: la
prima è di ordine generale, perché ora che il documento informatico
"valido e rilevante a tutti gli effetti di legge" è una realtà da
sostenere e promuovere, non giova mantenere in vita vecchie soluzioni che si
affiancano a quelle che dovrebbero diventare di uso universale.
Il secondo aspetto è strettamente giuridico e riguarda l'intricata
sovrapposizione delle norme italiane, alle quali si aggiungono le confuse
disposizioni comunitarie. Un problema che affronteremo presto su queste pagine.
(Manlio Cammarata)