Un’altra legge persecutoria contro l'internet mette a rischio i diritti delle persone e la società civile
Chi copia una musica, un film o un software deve essere trattato come un terrorista?
Il decreto legge recante interventi urgenti in materia di beni ad attività culturali
(“decreto Urbani”) approvato dal governo il 11 marzo 2004 si aggiunge a una lunga serie di leggi e norme che, con i più svariati pretesti, infieriscono contro l’internet e contro la libertà e i diritti delle persone.
Un’analisi dei molteplici difetti e problemi di questo decreto-legge si trova su
http://www.alcei.it/documenti/copyright/p2panalisi.htm (testo riportato qui su InterLex, ndr)
All’origine questo decreto riprendeva alcuni temi ed errori di quello
n. 354/03 sulla data-retention emesso il 24 dicembre 2003 e divenuto legge il 26 febbraio 2004 dopo un infruttuoso dibattito parlamentare che ha solo marginalmente attenuato alcuni dai suoi molti difetti (vedi http://www.alcei.it/documenti/dataret/dataretcom.htm) Nel corso di elaborazione del nuovo decreto sono stati eliminati i riferimenti alla “conservazione obbligatoria dei dati” (la cosiddetta data
retention). Ma si è andati, assurdamente, a “innovare” sulla già distorta e impropria normativa sul cosiddetto “diritto d’autore”. Introducendo nuovi vincoli, nuove repressioni, nuove violazioni di diritto e di fatto.
In sostanza si tratta di un’ennesima legge-papocchio inutile, inefficace e pericolosa. In cui si mescolano, in un intruglio indigesto e velenoso, temi diversi e non connessi fra loro, come il terrorismo e la duplicazione di musica, video o software.
È inutile perché non
fornisce alcuno strumento utile per la prevenzione del crimine (e in particolare di delitti gravi come il terrorismo o altre forme di violenza).
È inefficace perché è farraginosa e mal concepita, quindi atta a produrre dispersione di attività, procedimenti a carico di innocenti, sovraccarico di indagini senza capo né coda, a scapito di attività seriamente utili per combattere le attività criminali.
È pericolosa perché introduce, in materie ove è totalmente insensato, il concetto di “processo alle intenzioni” cioè di punibilità non di un fatto, ma della supposta inclinazione a farlo. (Se questa violazione di un principio fondamentale del diritto può essere ammissibile in situazioni estreme come il terrorismo, è inaccettabile che possa essere estesa a situazioni in cui non c’è alcun rischio per la vita e la sicurezza delle persone e delle istituzioni).
Come altre (troppe) leggi e norme rivela, con le sue affermazioni ridondanti e inutili, una specifica volontà di repressione dell’internet e della libertà di comunicazione e di informazione offerta dalla rete.
La perversa assurdità dell’impostazione è rivelata da alcune specifiche disposizioni.
Con l’entrata in vigore del “decreto Urbani”, la DIGOS, oltre a occuparsi di criminalità organizzata, terrorismo e sicurezza dello Stato avrà il compito di tutelare in via preventiva gli interessi di un ristretto gruppo di (potenti) imprenditori dello spettacolo, dell’editoria e dell’informatica (che già con le leggi esistenti sono assurdamente favoriti dal fatto che la duplicazione di musica, immagini o software è considerata una responsabilità penale).
Questo decreto stabilisce di fatto la “responsabilità oggettiva” dei provider, che hanno l’obbligo di monitoraggio e denuncia dei propri utenti e sono multati pesantissimamente se non denunciano.
Per la prima volta si stabilisce che un certo uso della crittografia è, di per sé, illecito. (Sembra di ritornare a quelle disposizioni americane sul controllo della crittografia come strumento militare che tanto scandalo avevano suscitato dieci anni fa).
Si instaura, insomma, qualcosa che somiglia molto a uno “stato di polizia”, con la persecuzione delle intenzioni, l’obbligo di delazione, la violazione della vita privata e della comunicazione. E tutto questo non per combattere i terroristi (che possono essere solo favoriti dalla confusione e dalla dispersione di energie create da leggi come questa) ma per soddisfare il protagonismo di questo o quell’altro uomo politico (“voglio anch’io una mia legge contro l’internet”) e le potenti lobby delle case discografiche o di software, cui poco importa se leggi come questa siano applicabili o funzionali, ma piace “terrorizzare” chi non asseconda i loro avidi interessi.
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ALCEI (Associazione per la Libertà nella Comunicazione Elettronica Interattiva) è l’associazione che dal 1994 si batte, a livello nazionale e internazionale per il rispetto dei diritti del cittadino nell’uso delle reti telematiche. E’ founding member della Global Internet Liberty Campaign
(GILC)
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