Il 30 maggio 2004 è stato annunciato un nuovo intervento legislativo che (si
dice) modifica la L.128/04 (che attua il “decreto Urbani”) per eliminarne
alcuni dei più palesi errori – e per tentare di “placare” le estese
proteste suscitate da quelle disposizioni. Se e come questa ennesima “pezza”
modificherà la giungla normativa si potrà capire solo dopo che il testo sarà
stato pubblicato (e dopo l’iter parlamentare di una sua eventuale definitiva
conversione in legge). E’, comunque, forte, la sensazione che l’annunciata
modifica serva soltanto a soddisfare gli interessi delle major escluse,
piuttosto che a correggere, come sembra illudersi l’opposizione, le storture
di principio della legge.
Tutti questi episodi, che continuano a complicare un quadro già molto
confuso, rientrano in un percorso che era già iniziato prima del crackdown di
cui, pochi giorni fa, si è ricordato il
decennale – e che è continuamente complicato dall’incrocio delle leggi
italiane con (spesso discutibili) norme internazionali.
Senza qui ricostruire tutto quel, percorso, né ricordarne le molte complessità
e contraddizioni – si limita a tracciare, in sintesi, il percorso di ciò che
è accaduto nel breve periodo di tre mesi - dal marzo al maggio 2004.
Con fretta immotivata e incoerenza ingiustificabile, le modifiche introdotte
alla Camera durante i lavori di conversione del DL
72/04 nella L.128/04, se da un lato hanno
parzialmente alleggerito gli oneri per gli internet provider (che non sono più
obbligati a denunciare gli utenti) e limitato l’ampiezza dei poteri di polizia
(che non può più oscurare siti senza il controllo del magistrato), dall’altro
hanno introdotto nuovi balzelli e pericolosi principi.
In estrema sintesi, la L.128/04 stabilisce:
- una modifica all’art.171-ter
della legge sul diritto d’autore (LDA), con la sostituzione, nel reato di
duplicazione/diffusione abusiva di opere dell’ingegno, dello scopo di lucro in
fine di profitto, e
l’aggiunta, nella stessa norma, della lettera a)bis che criminalizza
specificamente l’uso della tecnologia peer-to-peer,
- il “prelievo coatto” a favore della SIAE di una parte del prezzo di
supporti apparati e software di masterizzazione,
- l’obbligo, per l'immissione in un sistema di reti telematiche di un'opera
dell'ingegno, di fornire un idoneo avviso sull'avvenuto assolvimento degli
obblighi derivanti dalla normativa sul diritto d'autore e sui diritti connessi,
- un non meglio precisato ruolo di “raccordo” nella raccolta delle
segnalazioni sulle violazioni di legge del Dipartimento di pubblica sicurezza
del Ministero degli interni,
- l’obbligo, per gli ISP, dietro richiesta dell’autorità giudiziaria, di
fornire tutte le informazioni in loro possesso utili all'individuazione dei
gestori dei siti e degli autori delle condotte segnalate,
- l’obbligo per i soli ISP (i carrier sono esclusi) di porre in essere,
per ordine dell’autorità giudiziaria, tutte le misure dirette ad impedire
l'accesso ai contenuti dei siti o a rimuovere i contenuti medesimi,
- una sanzione amministrativa da 50.000,00 a € 250.000,00 per gli ISP che non
cooperano con l’autorità giudiziaria.
Il “decreto Urbani” è stato approvato a tappe forzate che hanno
evidenziato una paradossale e inqualificabile gestione dei lavori, culminata
nella incredibile richiesta di approvare la legge così come è, per poi
modificarla successivamente.
Il governo si è trovato fra il martello della pressione delle major dell’audiovisivo/editoria
e l’incudine di un provvedimento antipopolare. Ne sono prova le dichiarazioni
confuse dei suoi esponenti sul non volersela “prendere con i giovani” ma
solo “colpire i pirati”, alle quali hanno fatto eco le proteste dell’industria
di settore che, fuori da ogni ipocrisia, non tollerava questa “impunità”.
Dal canto suo, l’opposizione ha dato spettacolo con un vero e proprio “balletto”
fatto di questioni di costituzionalità ed emendamenti, prima presentati e poi
ritirati in cambio della “promessa di cambiare la legge”. Ma si è fatta
passare sotto il naso la fondamentale modifica del dolo specifico nel reato
previsto e punito dall’art.171-ter della legge sul diritto d’autore, da
lucro in profitto, che punisce le azioni illecite commesse a danno di opere
audiovisive.
Allineando l’articolo al precedente 171-bis
(che si occupa specificamente di software) la modifica rende punibili gli
illeciti compiuti “per trarne profitto” (prima si parlava, più
restrittivamente, di azioni commesse “a scopo di lucro”). In pratica questo
significa che prima della modifica era, sostanzialmente, punito chi vendeva
copie abusive. Ora può essere punito anche chi compie il reato per fini diversi
dall’arricchimento economico.
Viene poi specificato che la norma si applica, esplicitamente, a chi “comunica
al pubblico immettendola in un sistema di reti telematiche… un’opera dell’ingegno
protetta dal diritto d’autore”.
Ma siccome l’art.171-ter ancora dice esplicitamente che non c’è alcun
reato se il fatto è commesso per uso personale, vuol dire che tutte le
modifiche della legge Urbani non si applicano con l’ampiezza che la SIAE e il
ministro avevano immaginato. In pratica, non sono reato tutte quelle azioni, pur
descritte nell’articolo in questione, i cui effetti rimangono all’interno
della sfera privata del soggetto. Così, se è illecito mettere a disposizione
di chiunque opere protette (ma non c’era bisogno di modificare la legge per
ottenere questo risultato), era e rimane lecito effettuare copie private pur non
possedendo l’originale, perché le duplicazioni sono effettuate su supporti
per i quali, a monte, si paga già l’equo compenso (impropriamente definito la
“tassa”).
E, a proposito di “equo compenso”, dal marasma parlamentare spuntano
anche una nuova “tassa” sui supporti e sui software di masterizzazione,
oltre che l’obbligo di apporre una sorta di “bollino digitale” su tutte le
opere dell’ingegno. Cioè una dichiarazione che attesti l’avvenuto pagamento
dei diritti SIAE, con l’indicazione delle sanzioni per chi viola la legge sul
diritto d’autore.
E’ appena il caso di notare che, a prescindere dalla fattibilità
tecnologica, si tratta di una norma vessatoria per gli autori indipendenti e
culturalmente incivile, che aumenta lo strapotere della SIAE e segna un
ulteriore avanzamento nell’attribuzione a questa struttura del diritto di
stabilire cosa sia “arte” e cosa no. Sempre in base al principio che chi usa
un computer è “delinquente presunto” e che quindi userà questi oggetti per
duplicare abusivamente opere protette, la “tassa” è stata estesa anche ai
masterizzatori e ai software di masterizzazione. Andando quindi a colpire anche
utenti – la maggioranza, per la verità – che impiegano questi strumenti per
lavorare e non per registrare canzonette o film che durano meno di una stagione.
Ma l’aspetto più grave dei contenuti della L.128/04 è il trattamento
riservato ai provider. Da un lato, infatti, è stato eliminato l’obbligo per
gli ISP di denunciare i propri utenti, che è stato annacquato eliminando il
riferimento diretto agli operatori. Nello stesso tempo, però, la legge prevede
che:
- il Dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero degli interni raccolga le
“segnalazioni di interesse” per la prevenzione e la repressione dei reati in
materia di diritto d’autore,
- a fronte di un provvedimento della magistratura l’ISP deva fornire tutte le
informazioni in proprio possesso sulle condotte segnalate.
Entrambe le norme non sono accettabili nel principio ancora prima che nella
formulazione tecnica.
Quella che trasforma il Ministero degli interni in un “collettore di
segnalazioni” è ambigua e probabilmente incostituzionale perché attribuisce
al potere esecutivo (un ministero) funzioni di raccolta di denunce penali
(perché di questo si tratta) che invece spettano esclusivamente alla
magistratura).
Quella che impone agli ISP l’obbligo di cooperazione crea una vera e
propria falla nel diritto alla difesa. Perché così come è scritta significa
che l’ISP dovrà, in piena autonomia e sopportandone i costi, eseguire
complesse attività di indagine sui propri sistemi (analisi dei log, incrocio
dei dati ecc.) e fornire direttamente i risultati alla magistratura. Che dunque
potrà limitarsi a “prendere per buono” quello che dice l’ISP senza
preoccuparsi se i dati siano effettivamente attendibili.
Il risultato pratico è che gli ISP sono rimasti “investigatori a mezzo
servizio” e che quindi dovranno strutturarsi autonomamente per dare puntuale
riscontro alle richieste della magistratura e rischiando comunque di pagare
elevatissime sanzioni amministrative (da 50.000 a 250.000 Euro).
E’ evidente, a questo punto, che le preoccupazioni espresse nella richiesta
di apertura di procedimento per violazione della direttiva 98/34 presentata alla
Commissione europea, rispetto alla creazione di disparità per la prestazione di
servizi della società dell’informazione erano e sono tutt’altro che
pellegrine. E che questa deficienza della legge potrà essere rilevata in tutti
i processi nei quali saranno invocate le nuove norme a “difesa” del diritto
d’autore.
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