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Le modifiche non cambiano i termini del problema
di Andrea Monti* - 30.10.03

L'approvazione del testo emendato della proposta di direttiva sulla brevettabilità del software risalente allo scorso 24 settembre è stata possibile grazie a curiose trasversalità politiche (dall'impegno dei Radicali, ai Verdi, ai DS e fino ad AN) e ha suscitato reazioni abbastanza diverse. C'è chi - come Pietro Folena (appartenente, in Europa, al PSE, lo stesso raggruppamento politico della proponente McCarthy) - parla di "un risultato importante" e chi - Fiorello Cortiana - non si abbandona a facili entusiasmi promettendo di non abbassare la guardia.

Benché moderatamente migliorato, infatti, il nuovo testo della futura direttiva non risolve le questioni di fondo e "dimentica" il ruolo rivestito dell'Ufficio Europeo dei Brevetti nel sistematico e strumentale "ampliamento interpretativo" della regolamentazione internazionale che pure vietava (e vieta tutt'ora) esplicitamente la brevettabilità del software.

Ecco perché è quanto meno prematuro commentare il risultato ottenuto dicendo che "è andata bene" perché "l'idea di brevettare le idee è stata sconfitta" e che "adesso potranno essere brevettati solo apparecchi e non i programmi ivi contenuti. Un risultato importante"(da Punto Informatico). Sarebbe molto ingenuo pensare che l'avere stabilito alcune limitazioni definitorie impedisca ai "malintenzionati" di raggiungere ugualmente il risultato.

Del resto, è la stessa situazione di fatto che ha portato alla proposta di direttiva a dimostrarlo. A prescindere da quanto era stabilito per legge (no alla brevettabilità del software come tale) l'Ufficio Europeo dei Brevetti ha "stirato" norme e procedure garantendo protezione a ciò che, con buona probabilità, non poteva essere protetto. Certo, è vero che teoricamente si sarebbe potuta chiedere la nullità di brevetti rilasciati in questo modo. Ma è un procedimento lungo, costoso e complesso già per una sola contestazione, figuriamoci per le migliaia e migliaia di "casi sospetti".

Date queste premesse, allora, la riflessione da fare è abbastanza evidente: essendo già successo una volta che una norma abbastanza chiara venisse piegata ad altre necessità, cosa consente di escludere il ripetersi della situazione, magari quando le acque si saranno calmate e l'Ufficio Europeo dei Brevetti non sarà più sotto i riflettori?
La risposta è: nulla, visto che nel testo della proposta di direttiva non ci sono limitazioni esplicite alla discrezionalità dell'UEB (che è ancora libero di comportarsi come prima). Per non parlare del fatto che quanto più chiari sono i limiti imposti a un certo comportamento, tanto più è agevole trovare eccezioni o "zone grige".

Limitare i poteri - o quantomeno la discrezionalità - degli uffici brevetti (per esempio garantendo alle NGO un ruolo di controllo o anche solo consultivo nel procedimento di brevettazione, in modo da verificare, di volta in volta, la regolarità del comportamento degli uffici brevetti), è quindi una questione importante che, speriamo, diventi un ulteriore elemento della benemerita campagna internazionale a supporto della libertà del software. Che ha avuto, fra gli avversari, non solo potentati e lobbisti di varia estrazione ma anche le stesse istituzioni comunitarie.

Come ricorderete, nella fase preparatoria che ha preceduto la discussione del 24 settembre venne promossa una consultazione pubblica per conoscere l'opinione sul punto degli addetti ai lavori. La consultazione ebbe un certo riscontro in termini numerici e sicuramente la maggior quantità di osservazioni provenne dal mondo del software libero. E' interessante, a questo proposito, riportare per esteso un passaggio della relazione alla proposta McCarthy che si riferisce ai risulitati della consultazione pubblica. Si legge a pagina 4 della relazione che Prevalgono numericamente le risposte dei sostenitori del software libero. ... Reazioni sostanzialmente favorevoli all'approccio del documento di consultazione sono invece giunte da organizzazioni regionali o settoriali rappresentanti numerose società di ogni dimensione, oltre a grandi organizzazioni, altre associazioni di categoria e operatori nel campo della proprietà intellettuale. Anche se queste ultime risposte sono state numericamente assai inferiori a quelle favorevoli al software libero, non sembrano esserci molti dubbi sul fatto che la bilancia del peso economico, tenendo conto del totale dei posti di lavoro e degli investimenti in gioco, pende a favore dell'armonizzazione secondo le linee suggerite nel documento (enfasi aggiunta).

Detta in altri termini: voi del software libero sarete pure tanti, ma le vostre opinioni non contano poi un granché. E poi, perché non dovremmo ascoltare chi produce ricchezza e posti di lavoro invece di ascoltare voi puristi che vi baloccate con i computer e avete tempo da perdere in manifestazioni di piazza?(curiosamente il tema "software proprietario e occupazione" è ricorrente anche nelle campagne di BSA, che lamenta spessissimo la messa in pericolo di posti di lavoro per via della duplicazione non consentita di software proprietario. A quanto pare, tuttavia, non ci sono evidenze oggettive del collegamento fra duplicazione abusiva e perdita di posti di lavoro).

Sarebbe abbastanza grave se veramente la Commissione europea considerasse il valore di un'idea come una funzione diretta della "presentabilità" di chi la sostiene. Una posizione - come dimostrano le "biografie" dei free-Unix e del progetto GNU - antistorica, antieconomica e profondamente incivile. Così come è fuori dal mondo pensare che l'open source e il free software siano irrilevanti dal punto di vista economico e occupazionale. Anzi, è assolutamente vero il contrario: grazie a questi movimenti un gran numero di persone ha avuto accesso a strumenti di formazione e di lavoro che hanno consentito loro di cominciare a lavorare a livelli prima d'ora impensabili. Dunque le opinioni di chi opera in questo settore, anche dal punto di vista economico e occupazionale, oltre che culturale, sono degne della massima considerazione.

Fatto sta che in sede di votazione lo snobismo è venuto meno, non solo per la correttezza delle tesi di fondo che si oppongono a una visione strumentale della tutela del software ma anche - sospetto - perché il volume delle voci che si è levato dalla società civile era tale da non poter essere soffocato dai muri insonorizzati della burocrazia comunitaria e dei lobbisti.

Definito il contesto politico della vicenda, è ora possibile analizzare nel dettaglio gli emendamenti apportati alla proposta di direttiva, non prima, però, di ricordare schematicamente cosa sia un brevetto e quali ne siano le caratteristiche.
Il brevetto è la forma di protezione che la legge accorda a chi si dichiara inventore di un certo prodotto, garantendogli un monopolio temporaneo sulla produzione e sullo sfruttamento del "trovato" (così si dice nel gergo di chi si occupa di queste cose).
Esistono vari tipi di brevetto, ma ai fini che ci interessano è sufficiente indicare quello per invenzione (appena descritto), quello per modello di utilità industriale (cioè un procedimento che rende macchine o parti di macchine già esistenti utilizzabili più comodamente) e quello per le topografie dei semi conduttori (cioè la rappresentazione tridimensionale degli strati di cui è composto un semiconduttore).

Perchè il trovato possa essere considerato un'invenzione deve:
- avere il carattere della novità,
- individuare un metodo per consentire il superamento di un ostacolo allo stato dell'arte non noto,
- essere tenuto segreto,
- essere adatto ad una applicazione industriale.
Una volta concesso, il brevetto dura per 20 anni e non è rinnovabile (a differenza del diritto d'autore che rimane per decine e decine d'anni dopo la morte dell'autore).

Un'altra differenza con il diritto d'autore è che il brevetto tutela l'idea e non la forma espressiva. Attenzione, però, perché la parola "idea" non va riferita astrattamente a qualsiasi cosa sia possibile immaginare. Al contrario, l'idea brevettabile è l'attuazione di un principio che, infatti, è "libero" per legge, insieme a scoperte, teorie scientifiche, metodi matematici, creazioni estetiche, piani, metodi per attività intellettuali, giochi o attività commerciali e presentazioni di informazioni o che utilizza le forze naturali per trasformare la realtà. In questo senso, contrariamente alle affermazioni di qualche politico, le idee non erano e non sono brevettabili. Ciò non toglie che, essendo la legge la più "malleabile" delle materie è stato possibile, di fatto, brevettare indirettamente il software includendolo in apparati fisici.

La precedente versione della direttiva era tutt'altro che chiara sul punto e dunque gli sforzi dei gruppi contrari alla proposta di direttiva si sono orientati nel restringere, a livello di principi generali, le definzioni dei concetti di "invezione realizzata tramite computer", "contributo tecnico", "settore tecnico" e "industriale".
Secondo la nuova formulazione, anche se un software è uno dei componenti di un'invenzione tecnologica, questo non trasforma automaticamente il programma in un componente tecnologico e dunque non lo rende brevettabileViene cosi' aggirato l'espediente del "brevetto indiretto".(Viene così aggirato l'espediente del "brevetto indiretto"). In questi casi il brevetto può essere concesso soltanto se il software incorporato nel prodotto produce un effetto tecnologico.

Per limitare ulteriormente le possibilità di interpretazioni teoriche difformi dalla scelta di fondo la nuova proposta di direttiva esclude espressamente dalla brevettabilità il trattamento dei dati e le innovazioni in questo settore.
Infine, viene scluso che la circolazione, pubblicazione e scambio di informazioni possano essere considerati atti di violazione del brevetto.

Volendo trarre alcune conclusioni - e rinviando l'analisi di dettaglio della proposta di direttiva al prossimo numero - si può essere senz'altro soddisfatti del riconoscimento da parte delle istituzioni europee dello status di interlocutore alla coalizione per la libertà del software e del risultato strategico raggiunto. Ma il difficile comincia ora, perché è necessario dare continuità all'azione, il che richiede risorse non banali. Non ci si può permettere di perdere questa chanche.