Un momento significativo per la
società dell'informazione
di Manlio Cammarata - 26.09.03Non ci saranno novità sostanziali nella
disciplina comunitaria dei brevetti, se saranno confermate le prime, sommarie
interpretazioni degli emendamenti con i quali è stata approvata in prima
lettura la proposta di direttiva comunitaria sulla brevettabilità delle invenzioni attuate per mezzo
di elaboratori elettronici. Non dovrebbe cambiare nulla, a parte la definizione
di limiti più chiari nella politica dell'Ufficio europeo dei brevetti.
Ma allora perché tanto clamore?
Una lettura superficiale della Proposta di
direttiva del Parlamento europeo relativa alla brevettabilità delle invenzioni attuate per mezzo
di elaboratori elettronici non rivelava argomenti tali da giustificare un
pandemonio come quello che nei mesi scorsi ha mosso la Rete contro il testo. Ma
uno studio attento dei "combinati disposti" e delle astute
formulazioni di alcuni passaggi indicava chiaramente una linea di continuità
con la tendenza alla "iper-protezione" della proprietà
intellettuale e all'affermazione dei monopoli, con la corrispondente limitazione
delle opportunità di sviluppo del mercato e dei diritti degli utenti. Vale la
pena di esaminare sotto questa luce un'altro testo in preparazione, la proposta
di direttiva "relativa alle misure e
alle procedure volte ad assicurare il rispetto dei diritti di proprietà
intellettuale": qui l'impostazione repressiva si rivela con maggiore
evidenza.
Insomma, l'accusa di voler introdurre l'inaccettabile principio del
"brevetto sulle idee" e di voler sommare la protezione brevettuale a
quella autorale sul software era tutt'altro che infondata, tale da giustificare
le accanite prese di posizione dei sostenitori del software libero e di non
pochi, importanti protagonisti della società dell'informazione. In effetti la
vera novità non è tanto nella sostanza delle disposizioni approvate, quanto
nel fatto che il legislatore europeo ha prestato orecchio alle voci della
comunità telematica e di alcuni dei suoi più autorevoli esponenti. Forse è la
prima volta, in questo cruciale settore, che la "voce della Rete" ha
coperto quella dei lobbysti al servizio delle rapaci multinazionali del software
e dell'intrattenimento.
Resta poi da vedere come il testo comunitario sarà recepito a livello
nazionale: abbiamo già diversi esempi significativi di come il legislatore
nazionale possa essere "più realista del re" e attuare nel modo più
restrittivo le disposizioni europee. I nostri parlamentari e i nostri governi si
sono troppo spesso mostrati più attenti alle voci suadenti dei lobbysti
che a quelle, purtroppo disordinate, che si sono levate dalle reti telematiche e
dalle aule universitarie, per reclamare il rispetto dei diritti di tutti.
Ma, alla fine dei conti, per noi utenti che cosa cambia?
Nulla. Continueremo a non poter vedere e ascoltare legalmente DVD che non sono
destinati alla nostra "area geografica" , e perderemo quindi la
possibilità di avere qualche informazione importante, di conoscere qualcosa di
interessante su una cultura diversa dalla nostra (vedi Il
sistematico disprezzo dei diritti degli utenti di Andrea Monti). Alla
faccia di questa grande "società dell'informazione", che dovrebbe
realizzare per ogni individuo "il diritto... di cercare, ricevere e
diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a
frontiere" (art. 19 della Dichiarazione
universale dei diritti dell'uomo, 1948).
Continueremo a non poter usare il sistema operativo o il software che già
abbiamo e di cui siamo più o meno soddisfatti, perché il produttore ha deciso
che dobbiamo comperarli nuovi, con funzioni che non ci interessano. E dovremo
perdere tempo per capire dove ha nascosto i comandi a cui siamo abituati, magari
dovremo acquistare anche un nuovo computer, perché questo non ce la fa a
sostenere il peso di tante nuovi e inutili funzionalità.
Continueremo a pagare cifre da rapina per acquistare legalmente un CD
musicale. Poi cercheremo di farne una copia, alla quale abbiamo diritto (art. 71-sexies della legge sul diritto
d'autore), per poterlo ascoltare in macchina senza correre il rischio di
rovinarlo o di perderlo. Per questo pagheremo una tassa sul supporto
registrabile e una per l'apparecchio di registrazione (art. 71-septies). Ma non funzionerà,
perché il titolare dei diritti avrà legittimamente apposto una protezione
contro la copia (art. 102-quater).
E se un amico ci darà il mezzo per far valere il nostro diritto alla copia,
eludendo la protezione, commetterà un reato (art. 171-ter).
Potremmo continuare a lungo. E continueremo, perché non finiscono qui i
mille ostacoli che i legislatori disseminano, accogliendo i
"suggerimenti" delle grandi corporazioni per limitare i diritti degli
utenti, la circolazione delle idee, il progresso.
C'è qualcosa di paradossale in questo stato di cose. Da una parte si proclamano
le meravigliose possibilità offerte dalla società dell'informazione, dalla
libertà offerta a chiunque di dare e ricevere informazioni senza limiti e senza
confini, e nello stesso tempo si alzano cancelli e steccati giuridici per
lasciare in poche mani le informazioni e le idee, cioè le materie prime del
progresso.
Ma la stessa società dell'informazione, o meglio la Rete che ne costituisce
la struttura fondamentale, questa volta ha reagito, ha alzato la voce e ha
ottenuto un primo successo: la direttiva sui brevetti è stata modificata, ha
perso una parte del suo potenziale distruttivo. E' un segnale importante, un
momento significativo di un futuro che potrebbe essere almeno un po' diverso da
quello che hanno progettato per noi nelle stanze non tanto segrete del potere
economico.
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