Occorre pensare a nuove forme di
distribuzione legale
di Manlio Cammarata - 15.05.03
E' stata bersaglio di dure critiche ancora prima di essere emanata. Dal 29
aprile scorso la direttiva 2001/29/CE
"sull'armonizzazione di taluni aspetti del diritto d'autore e dei
diritti connessi nella società dell'informazione" (EUCD) è legge anche
nel nostro Paese, essendo stata recepita con il decreto
legislativo 9 aprile 2003, n. 68. E in Italia le critiche sono sempre più
accese, anche perché alcune disposizioni della rinnovata legge n. 633 del
1941 appaiono ancora più "protettive" delle disposizioni di
armonizzazione (vedi L'attuazione va oltre le indicazioni
comunitarie di D. Minotti). Dall'altra parte dell'Atlantico le cose non
vanno meglio: il Digital Millennium Copyright Act (DMCA) costituisce
sotto molti aspetti il modello della EUCD.
Due partiti si contrappongono: quello dell'industria dell'intrattenimento
(musica, cinema ecc.) da una parte, quello degli utenti dall'altra. Il perché
di tanto accanimento polemico è subito chiaro se si riflette sul fatto che
nella società dell'informazione i contenuti sono un bene di enorme importanza
economica. L'industria cerca di difendere i suoi profitti con ogni mezzo,
cercando di contrastare il diffusissimo fenomeno della cosiddetta
"pirateria", cioè dell'acquisizione illegale dei contenuti sia
attraverso l'internet sia con il traffico dei supporti contraffatti. Le nuove
disposizioni cercano di contrastare questi fenomeni con un imponente apparato
repressivo. Ma sul versante opposto c'è l'enorme divario tra il prezzo che si
deve sborsare per acquisire legalmente i contenuti e il costo della copia
ottenuta illegalmente, in qualche caso vicino allo zero.
Si dovrebbe aggiungere un altro fattore "incoraggiante" alla
pirateria: la asserita mancanza di percezione dell'illegalità di certi
comportamenti, soprattutto da parte dei giovani. Forse questa visione non
corrisponde esattamente alla realtà; si dovrebbe piuttosto considerare che il
prezzo elevato dei contenuti acquistati legalmente viene visto come
un'ingiustizia, per non dire come una specie di furto, che giustifica sul
piano etico il comportamento formalmente illegittimo. Insomma, una forma di
autodifesa.
Ma è necessario considerare il problema anche sotto un altro angolo visuale. Il
diritti in gioco, che dovrebbero costituire l'oggetto principale della tutela
legislativa, non sono solo quelli degli autori, ma anche quelli degli utenti,
che si aspettano di poter fare ciò che vogliono dell'opera acquistata a caro
prezzo, nel loro ambito privato. Invece ecco i mezzi di protezione dalla copia
e i balzelli sui supporti, che penalizzano proprio l'utente privato (legittimo
acquirente di una parte dei diritti), ma che non preoccupano i professionisti
della copia abusiva, la vera e propria "industria parallela" dei
contenuti. E' questa, con ogni probabilità, a produrre il maggior danno agli
editori.
Sull'entità di questo danno è necessaria una riflessione. Se per
quantificare i mancati introiti degli editori musicali si prende come punto di
partenza il prezzo dei CD, si ottengono cifre fuori dalla realtà. Facciamo un
esempio molto semplice. Se Tizio acquista regolarmente un CD, lo paga 20 euro,
poi ne fa due copie che regala agli amici, il danno per l'industria non è di
40 euro, perché i 20 euro del prezzo di vendita sono in molti casi
un'enormità rispetto al costo reale del prodotto. Si può addirittura
aggiungere che in una non trascurabile percentuale di casi il danno è nullo,
perché i destinatari del regalo non avrebbero mai acquistato l'opera in
negozio. Quindi di fatto non c'è un mancato introito per la catena di
produzione e distribuzione. Però, forse, se lo stesso CD costasse 10 euro,
nella catena distributiva entrerebbero non 20, ma 30 euro...
Il vero problema è un altro. Con l'internet (e, in generale, con la
convergenza dei media verso una sempre più forte tendenza alla distribuzione on
line dei contenuti) si diffonde sempre di più la tendenza del pubblico ad
abbandonare il tradizionale acquisto nei negozi. Tutti i tentativi di
proteggere il mercato dei prodotti "fisici" sono destinati al
fallimento. L'impatto delle nuove sanzioni, i complicati e contraddittori
schemi normativi sulle protezioni, per non parlare delle azioni intimidatorie
delle associazioni dell'industria, avranno un effetto limitato sulla pirateria
dei contenuti.
E qui vale la pena di leggere l'intervento di Enzo
Mazza, direttore della Federazione dell'industria musicale italiana, che
segue la linea "terroristica" praticata da anni anche dai produttori
di software. Nel collegamento tra la protezione degli interessi degli editori
(perché in tutto questo i diritti degli autori c'entrano poco) con le nuove
regole sulla responsabilità dei provider, emerge con chiarezza un disegno
globale di carattere conservatore dello status quo. Nel testo di Mazza,
anche senza considerare le evidenti forzature
nell'interpretazione delle norme, possiamo facilmente individuare in controluce le
azioni di lobbying che inducono i legislatori di tutto il mondo a
emanare disposizioni che si rivelano
invariabilmente più efficaci per limitare i diritti degli acquirenti onesti
che per reprimere le illegalità sistematiche.
Se è vero che si devono tutelare i diritti degli autori e gli interessi
dell'industria, è vero anche che si devono proteggere gli utenti e
assecondare le loro tendenze verso nuovi forme di acquisto. Il problema non è
colpire gli eredi di Napster, ma trasformarli il canali legittimi e
redditizi. Occorre pensare a nuove forme di distribuzione legale dei
contenuti, come ha fatto Steve Jobs (Apple), forse il più grande innovatore
del mondo delle tecnologie: patti chiari, limitazioni ragionevoli, eccoti il
contenuto che cerchi al modestissimo prezzo di un dollaro. Forse meno di
quello che ti costerebbe il download illegale, a pensarci bene.
Ne riparleremo presto.
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