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È permesso copiare col metodo degli
amanuensi
"Misure tecnologiche" due cose da fare subito
Nella seconda metà degli anni Novanta, l'industria dei contenuti (dello
spettacolo), a corto di inventiva - e anche priva della coscienza sociale che
avrebbe dovuto suggerire di trovare soluzioni tecnologiche equilibrate e
corrette per tutti - affidò le sue sorti al legislatore. Questi, compiacente
come al solito, non si preoccupò di "giocare la partita su un campo piano"
(quello che in America si chiama il level playing field): esso ricorse
invece all'unilaterale, e male esplorato espediente delle intoccabili "misure
tecnologiche di protezione", associando pesanti sanzioni penali per i
trasgressori.
Il via lo dette il WIPO Copyright Treaty del 1996 (art. 11), cui
seguirono, in America, il Digital Millennium Copyright Act del 1998 (DMCA), la direttiva europea 2001/29, e le relative leggi
di conversione (DLgs 9 aprile 2003, n. 68, in
Italia).
Nell'euforia della guerra ai "pirati" i legislatori non si posero vitali
domande; prima fra queste, come avrebbero potuto funzionare queste famose "misure
tecnologiche" nel caso in cui i diritti d'autore fossero scaduti (o prossimi
a scadere), quali fossero i rimedi immediati nel caso di misure abusive, e come
si potessero conciliare le misure con il godimento degli usi legittimi (fair
uses). Essi non si chiesero innanzi tutto come si sarebbe potuto, nell'era
digitale, portare ordine nel caos della struttura legislativa dei diritti d'autore
i quali oggigiorno esistono automaticamente con la pubblicazione dell'opera
lasciando spesso nel vago le informazioni sull'autore, l'inizio della
protezione, l'ambito della stessa, le licenze concesse, le vicissitudini
contrattuali dei diritti, e tutta la tematica relativa agli eredi.
Misure tecnologiche e severe punizioni per chi le viola: l'industria non
aspettava altro, era il momento di prendere tutto, "go massive, sweep it
all up, things related or not", non preoccuparsi dei dettagli ma avendo
cura di spargere "paura, insicurezza e dubbio" ("fud", come si
dice in inglese).
Le "misure tecnologiche" si sono prestate a inaudite esagerazioni. Il mondo
rise quando la società americana SunnComm chiese danni milionari e minacciò la
prigione (fino a cinque anni per ogni violazione) allo studente di Princeton,
Halderman, perché questi aveva scoperto (agevolmente), e comunicato su
Internet, che una misura tecnologica anti-copia proposta dalla SunnComm, e da
essa pubblicizzata come "sicura", poteva essere facilmente elusa premendo il
tasto "maiuscola" al momento dell'inserimento del CD. Secondo SunnComm,
Haldermann aveva eluso una misura tecnologica, e quindi aveva violato il
precetto del §1201 del DMCA. Anche Halderman rise. Allora la SunnComm
desistette.
La società Skylink, che produce telecomandi apri-garage pluriuso, si ritrova
a difendersi in un tribunale dell'Illinois, USA, contro l'accusa di
violazione di misura tecnologica. Una società che produce dispositivi
automatici di apertura di porte per garage la accusa di violazione del proprio
"diritto d'autore" sulla combinazione da essa adottata per l'apertura
della sua porta-garage. La rispettabile società danese Bang & Olufsen
irrita i suoi facoltosi clienti perché inserisce, senza dirlo, nei lettori
BeoCenter2, dispositivi che artificialmente limitano la lettura di DVD. (Il
BeoCenter2 legge solo i DVD acquistati nella "regione" in cui è stato
acquistato il lettore). B&O in verità spiega come stanno le cose nel
manuale di istruzione, ma questo si trova all'interno della confezione, gli
acquirenti difficilmente riescono a esaminarlo prima dell'acquisto. B&O
ritiene probabilmente di avere non solo il diritto di fare una scelta
commerciale intesa a segmentare l'ambito di copertura delle sue machine, ma di
godere anche di una fantomatica protezione di copyright contro chi
eludesse le sue misure tecnologiche a tutela dei blocchi regionali.
La Recording Industry Association of America (RIAA) si considera
probabilmente titolare di un diritto "naturale" che le permette di imporre
barriere digitali, specialmente nella difesa a oltranza contro i condivisori. Ne
sa qualcosa lo studente Joseph Nievelt, dell'Istituto di Tecnologia del
Michigan: si trovò a dover rispondere in tribunale - citatovi dalla RIAA -
a una domanda di risarcimento per 90 miliardi di dollari (un quinto del deficit
federale americano), $150.000 x 600.000 copie abusive di canzoni (stimate).
Visto come funziona il sistema giudiziario americano, c'è poco da ridere.
I più pensano che sia aneddotica la sentenza da 2,9 milioni di dollari cui una
giuria condannò la società McDonald per avere essa venduto, al banco per
clienti in automobile, una coppa di caffè bollente a una anziana signora la
quale, nel levare il coperchio (in macchina), versò parte del caffè sul suo
corpo, e riportò ustioni all'addome e alle gambe. Non è un aneddoto.
Un tempo, i diritti d'autore dovevano essere registrati, e si doveva pagare
una tassa, come si fa ancora oggi con marchi e brevetti. Non c'è nulla di
male nel tenere un archivio, e fare pagare chi ne trae vantaggio. Archivi
ordinati fanno parte delle esigenze di una società organizzata e funzionante.
Qualche decennio fa si pensò che nel caso del copyright si sarebbe
potuto fare a meno degli ingombranti "scaffali"; e senza pensare troppo alle
conseguenze, si eliminarono gli obblighi di registrazione. Il risultato fu che
- è il sistema oggi in vigore - tutti sono protetti, basta che "pubblichino"
la loro opera. Nessuna registrazione, nessun pagamento. La novità piacque
specialmente a chi fa bilanci a breve; e agli sprovveduti. Alla lunga, non
poteva funzionare. Il sistema mostrò fin dall'inizio incolmabili lacune.
Le "misure tecnologiche" introdotte dal DMCA (pedissequamente copiate un
po' ovunque - non ancora in Canada, ma la ministra della cultura ha
annunciato che provvederà quanto prima), hanno ora reso improcrastinabile il
ritorno a struttura e ordine. La grande vittoria dell'industria dei contenuti,
racchiusa nella "invenzione" delle misure tecnologiche, sta diventando la
sua nemesi.
Quali sono i problemi? Saltano all'occhio: 1) l'identificazione dei
parametri del diritto (titolari del diritto, inclusi cessionari ed eredi; inizio
e fine della protezione), 2) la "protezione" di pretese non rientranti nell'ambito
dei diritti d'autore, 3) i blocchi illegittimi (violazioni di fair uses,
opere non proteggibili, software libero, creative commons,
inclusione di parti di opere altrui, protezione oltre i termini di legge).
Non si può continuare con un sistema incapace di identificare con rapidità
e certezza, a richiesta di chiunque - dato che ormai i mezzi tecnici lo
permettono - chi siano, in ogni istante, gli eredi di Margaret Mitchell, in
quale misura partecipino ai diritti della loro dante causa, a chi abbiano
concesso licenza, a quali termini, in ultima analisi, chi abbia il diritto di
inserire misure tecnologiche per sbarrare la possibilità di estrarre, e fare
copia ad uso studio, di parti non significative di "Via col vento", o chi
possa legittimamente impedire ad Alice Randall di pubblicare il suo libro "Il
vento se n'è andato", una parodia dell'opera della Mitchell come vista
dalla prospettiva degli schiavi africani.
Con il sistema di copyright fuori controllo oggi in vigore, tutti
possono improvvisarsi titolari di diritti e sbarrare l'ingresso a chi vuole
accedere alle opere, con misure sia legittime sia illegittime. Gli utenti non
hanno un mezzo, ragionevolmente agibile, per verificare i loro diritti. Certo,
ci sono le salvaguardie... specialmente quelle del diritto penale, dieci anni
per avere la sentenza (definitiva).
Studiosi - specialmente americani - avvertono da tempo il disagio, indicando
possibili soluzioni. Persino il giudice Kaplan, non certo amico dei consumatori
"diffusori di epidemia", nelle sue stesse parole, lo ha notato nella
sentenza Universal City Studios v. Corley.
Il sistema normativo dei diritti d'autori ha raggiunto lo stadio acuto
della crisi; le "misure tecnologiche", con il loro potenziale di permettere
la più avida esagerazione, e abusi clamorosi, sono l'elemento che ne sta
determinando il collasso.
Cosa si può fare? Ne parliamo sul prossimo numero.
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