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È permesso copiare col metodo degli
amanuensi
"Misure tecnologiche": qualcuno ne
abusa?
Con la tecnologia che avanza veloce, non si può tornare
indietro. Soluzioni evolutive non servono; e neppure facezie, come la recente
trovata del "copy or love". Quello che serve sono idee nuove e
ardite, che diano spazio e fiducia alla tecnica, sappiano creare vera
innovazione, sappiano staccarsi da luoghi comuni, dalle soluzioni comode che non
richiedono sforzo mentale, come gli inutili sequestri a tappeto, e la
ingiustificabile prigione sempre più lunga per chi viola precetti penali con
comportamenti che, di per sé, non compromettono alcun minimo etico ma spesso
incidono solo sull'utile a breve scadenza di società che mai hanno creato
qualcosa che contribuisse davvero al "progresso della scienza e delle arti
utili".
Pensare è di per sé esercizio faticoso. Gli uomini in
genere preferiscono non meditare seriamente, non analizzare obiettivamente, non
riflettere a fondo. Come disse Eliot, il "genere umano non è capace di
sopportare molta realtà".
A ben pensare, non è difficile convincersi che il diritto penale non è la
strada corretta per reprimere la "violazione" delle "misure tecnologiche".
L'azione penale, notoriamente obbligatoria, non dovrebbe
essere impiegata per colpire selettivamente. Se però si perseguissero tutti
coloro che violano misure tecnologiche per copiare e scambiare, servirebbero
subito - in Italia - cinquemila nuove prigioni per rinchiudervi cinque
milioni di criminali di nuova specie. Questo non è socialmente accettabile. Se
milioni di persone (in buona parte, ragazzi) "violano" la legge, vuol dire
che la legge non è appropriata. Come suggerì Churchill, se trecento persone
fumano sotto il cartello di divieto, la cosa saggia da fare è di togliere il
cartello.
Anche se il diritto americano non ci può insegnare granché,
è utile farvi qualche riferimento, se non altro perché in quel Paese le
patologie erompono spesso con grande violenza. Quale minimo etico si voleva
proteggere contestando a Dmitri Sklyarov cinque violazioni del DMCA con il
massimo della pena di 25 anni di prigione? Cosa aveva fatto di così orribile
Dmitri? Non aveva ucciso, non aveva violentato un bambino, non aveva tradito la
patria. Aveva presentato, in un convegno a Las Vegas, un software capace
di eludere le deboli protezioni - misure tecnologiche - della eAdobe.
E cosa dire del prof. Felten al quale si impedì la libertà
accademica di presentare i risultati della sua ricerca sulla Secure Digital
Music Initiative (SDMI) - dopo che la stessa industria gli aveva chiesto
di studiare la bontà delle proprie misure tecnologiche - solo perché l'analisi
del professore dimostrava che le "misure" erano inidonee allo scopo?
Violazione di misure tecnologiche, prigione fino a cinque anni per ciascun capo
d'accusa.
Si è perso il senso della proporzione fra gravità del reato
(se di reato si può parlare) e pena: tre anni di reclusione (come per il furto,
che però è pressoché depenalizzato, in Italia) per chi viola una misura
tecnologica (e potrebbe rivelarsi misura illegittima) e copia una canzone sono
ingiustificati. La mancanza di proporzione appare tanto più evidente e ingiusta
quando si tenta di razionalizzare, in diritto, enunciazioni come quella della
corte d'appello americana nel caso Corley: copiare esercitando il
diritto di fair use è lecito quando si punta la videocamera in direzione
del monitor, ma non lo è quando si esegue una copia digitale. Solo un
problema di circostanze aggravanti? Riferite a quale reato? Occorre ritrovare il
perduto senso della realtà.
Mi avventuro a questo punto a formulare qualche suggerimento
su cosa e come si dovrebbe fare, per rendere la fruizione dei diritti d'autore
più sicura, utile e armonica per tutti, in un quadro tecnologico adeguato ai
tempi.
La prima cosa da fare è togliere la sanzione penale
dal campo della violazione di misura tecnologica anti-copia. Di quale
fattispecie di reato si tratta, comunque, dato che la "proprietà" del bene
rimane ancora in capo al titolare, dopo la sottrazione? Si parla di sottrazione
di una parte di potenziali clienti, anche di quelli "non contemplati" (i
quali, privi di mezzi finanziari, o copiano o non comprano, come hanno sempre
fatto)? Un risarcimento per atto illecito (civile) in misura massima del doppio
del "prezzo di mercato" dell'opera copiata violando la misura tecnologica
dovrebbe essere sufficiente per soddisfare la pretesa di giustizia dei
danneggiati. (Ancora una volta, il diritto americano - DMCA - non è un buon
esempio: come si può stabilire in 150.000 dollari il "rimedio" per ogni
canzone copiata?).
Nel campo delle misure tecnologiche non è necessario che lo
Stato eserciti la sua potestà punitiva. L'affermazione che l'elusione di
una misura tecnologica comprometta quel minimo etico per la cui salvaguardia il
popolo (italiano) ritenga necessario dotarsi di norma penale che commini lunga
detenzione in carcere, non ha credibilità. In fin dei conti, non si tratta di
un "bene" che interessi la società nella sua interezza, si tratta
semplicemente di un espediente utile per l'interesse commerciale di alcune
(poche) società private. Per di più, lo Stato ha altri compiti vitali cui
dedicare urgentemente le sue migliori risorse: la Guardia di finanza, la Digos,
le Procure della Repubblica, i tribunali. Sono i compiti di contrastare i grandi
reati che hanno potenziale di scuotere la compagine sociale: il crimine
organizzato, i sequestri di persona, la pornografia minorile, lo spaccio di
droga, l'immigrazione clandestina.
La seconda cosa da fare è mettere ordine, il che si
traduce nel concetto chiave che il blocco protettivo - con misure tecnologiche
- debba essere autorizzato solo per materiale che, previa verifica "tecnica",
costituisce veramente un diritto d'autore, e solo nei limiti in cui vengono
violati i diritti di chi è effettivamente titolare del diritto (v. Universal
City Studios, Inc. v. Corley).
Una buona gestione dei diritti d'autore non può lasciare al singolo individuo
l'anarchica decisione di inserire, a suo piacimento, misure tecnologiche in
opere dell'ingegno, senza controllo di legittimità e di legittimazione. E una
buona gestione di questi diritti presuppone la conoscenza adeguata dei dati di
fatto essenziali.
Chi intende proteggere con misure tecnologiche i propri
diritti d'autore deve legittimarsi, non deve interferire con i diritti altrui,
deve rispettare gli usi legittimi. Deve cioè attenersi all'antico principio
del "neminem laedere, suum cuique tribuere". Espresso in modo più
generale, il concetto è, in sintesi, che le misure tecnologiche non dovranno
impedire l'utilizzabilità, in qualsiasi modo, di materiale libero da copyright,
di materiale estraneo al copyright, di materiale la cui copia è permessa
dalla legge, e non dovranno impedire l'esercizio degli usi legittimi.
Come lo si può fare?
1. Chi intende avvalersi di misure tecnologiche dovrebbe
innanzi tutto egli stesso non violare la norma penale; non dovrebbe accedere
abusivamente al disco rigido degli utenti, cercarvi la presenza di software,
spesso regolarmente acquistato, che potrebbe sia eludere le misure sia
permettere altri tipi di uso (quello dell'"emulazione", per esempio,
potrebbe essere l'uso meno significativo).
2. Chi intende avvalersi di "misure tecnologiche"
dovrebbe registrare preventivamente il suo titolo. Lo si potrà fare con un
archivio centralizzato contenente: a) l'anagrafe, cioè i dati dell'autore,
dei suoi eventuali cessionari o eredi, gli estremi dell'opera protetta, i
termini di scadenza, la data di morte dell'autore quando questo evento si
verifica; b) il titolo legale, cioè l'indicazione che si tratta di protezione
di un diritto d'autore riservato, e la correlativa esclusione da protezione a
ogni altro titolo, sia per gli aspetti che siano liberi da protezione (anche,
per esempio, porzioni di opere libere incluse in quella protetta), sia per
quelli che non si possono proteggere (perché non rientrano nel novero dei
diritti d'autore).
A questo fine, il codice dovrà contenere un meccanismo di
eliminazione (bypass) dei blocchi abusivi (per esempio le restrizioni per
aree regionali) e, se tale blocco non è possibile perché la limitazione è
parte della macchina, non modificabile con software, complete istruzioni per
modificare lo hardware; c) i parametri relativi agli usi permessi, cioè la
percentuale copiabile (per ogni opera o parte di opera), la verifica interna di
utilizzo di questa percentuale, l'ordine di blocco di ulteriori incrementi
della parte copiabile una volta raggiunta la percentuale massima consentita.
Non ci si dovrebbe scandalizzare, né gridare alla "burocratizzazione".
Di certe "burocrazie" non si può fare a meno in una società ordinatamente
funzionante. Esiste l'anagrafe di marchi e brevetti; perché non dovrebbe
esserci, se ciò è indispensabile per la certezza del diritto, l'anagrafe di
quegli autori che si spingono - in sostanza senza controllo - nel campo
minato di chi vuol farsi "giustizia da sé"?
Se è vero, come probabilmente è, che i diritti d'autore - e la proprietà
intellettuale in genere - sono diventati il maggiore capitale nella società
industriale contemporanea, occorre pur fare quanto necessario per dare a questo
capitale stato di certezza e affidabilità, e assicurare che i titolari - o
sedicenti titolari - di questi diritti non approfittino del disordine per
commettere abusi.
Con le recentemente introdotte regole sulle misure
tecnologiche non è più possibile lasciare la titolarità dei diritti d'autore
allo sbando. I mezzi moderni - in primo luogo Internet - permettono di
tenere un archivio, come quello qui delineato, snello ed efficiente, liberamente
accessibile a tutti per consultazione e verifica. I costi, probabilmente
modesti, di tenuta dell'archivio potranno essere finanziati dai contributi
degli interessati. Anche di questo non c'è di che scandalizzarsi. "Non c'è
mai un invito a pranzo senza un costo" dicono gli americani.
L'informazione in archivio dovrebbe essere liberamente
accessibile al pubblico, dovrebbe essere continuamente aggiornata, e la
veridicità delle registrazioni dovrebbe essere soggetta a verifiche e
controlli, anche da parte del pubblico (con procedura, si spera, più efficiente
e meno costosa di quella dei brevetti). L'obbligo di aggiornamento dovrebbe
valere per tutti gli autori che desiderassero utilizzare misure tecnologiche,
indipendentemente da dove risiedono, perché quello che conta è il luogo dove
le misure spiegano il loro effetto.
3. Chi intende avvalersi di misure tecnologiche dovrebbe
inserire nel software della misura stessa - o nello hardware se in esso è
incorporata la misura - un codice (alfanumerico, biometrico, o altro)
contenente le informazioni essenziali relative ai suoi diritti. Questo codice è
facilmente programmabile (non c'è bisogno di un quindicenne geniale - come
fu il creatore del programma DeCSS - per farlo). Non essendo probabilmente
possibile - con le conoscenze attuali - aggiornare direttamente tale codice
(senza violare la norma penale del divieto di accesso abusivo), la verifica di
correttezza-aggiornamento dovrebbe poter essere fatta direttamente dall'utilizzatore:
inviando all'archivio il codice estratto dalla misura tcenologica otterrà in
risposta i dati aggiornati.
4. Servirebbero modifiche legislative sia in Italia sia a
livello europeo.
In Italia occorrerebbe conformare la legge dei diritti d'autore (LDA). Fra le
modifiche necessarie vi sarebbe l'obbligo a carico di chi intende proteggere
la sua opera con misura tecnologica, di appropriatamente legittimarsi, di non
commettere atti non autorizzati, o che si presumono non autorizzati dagli
utenti, di non violare la norma penale relativa all'accesso abusivo (e le
altre a difesa dei diritti degli utenti). E si dovrebbe aggiungere una norma,
speculare a quella che autorizza le misure tecnologiche da parte dei titolari di
copyright, che autorizzasse gli utenti a mettere in opera anti-misure
tecnologiche quando queste si prestassero al sospetto, o si rivelassero abusive
o illegittime (art. 102-quater LDA).
Le leggi devono essere comprensibili per il comune cittadino.
Non lo sono quando persino i parlamentari (che le fanno) si confondono con "lucro"
e "profitto", come è avvenuto durante le delibere della legge 21 maggio
2004, n. 128. Allora, si dovrebbe modificare
l'art. 171-ter LDA
eliminando alla fine del primo paragrafo, senza sostituzione, le parole "per
trarne profitto". Non bastano le parole "per uso non personale"? Il popolo
capisce che è vietato copiare "per fare commercio", per "comprare e
vendere - o scambiare - per denaro". Occorre dirlo con chiarezza quando l'utente
è autorizzato a eludere una misura tecnologica, e quando e in quale misura è
autorizzato a copiare, e scambiarsi la copia con altri senza fare commercio.
A livello europeo, sarebbero necessarie modifiche alle
direttive che trattano la materia (in particolare la 2001/29). La proposta qui delineata potrebbe
costituire la base dei consideranda di una nuova direttiva. Il processo
legislativo si svolgerebbe in direzione opposta a quanto è avvenuto nel recente
passato in materia di diritti d'autore. Gli ordini di marcia della revisione
del diritto d'autore verrebbero questa volta dall'Europa. Da qui l'America
e le organizzazioni internazionali potrebbero ispirarsi, se lo volessero.
Come europei, non potremmo che rallegrarci di cogliere questa
opportunità. Sarebbe un piccolo ma importante passo nello sforzo di mantenere
la promessa che l'Europa si è imposta a Lisbona, cioè di "fare della
Unione europea l'area più competitiva e dinamica del mondo, basata su
innovazione e conoscenza, capace di incrementare i livelli della crescita
economica con... maggiore coesione sociale".
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