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Diritto d'autore

"Misure tecnologiche": due cose da fare subito

di Nicola Walter Palmieri*- 16.12.04

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Con la tecnologia che avanza veloce, non si può tornare indietro. Soluzioni evolutive non servono; e neppure facezie, come la recente trovata del "copy or love". Quello che serve sono idee nuove e ardite, che diano spazio e fiducia alla tecnica, sappiano creare vera innovazione, sappiano staccarsi da luoghi comuni, dalle soluzioni comode che non richiedono sforzo mentale, come gli inutili sequestri a tappeto, e la ingiustificabile prigione sempre più lunga per chi viola precetti penali con comportamenti che, di per sé, non compromettono alcun minimo etico ma spesso incidono solo sull'utile a breve scadenza di società che mai hanno creato qualcosa che contribuisse davvero al "progresso della scienza e delle arti utili".

Pensare è di per sé esercizio faticoso. Gli uomini in genere preferiscono non meditare seriamente, non analizzare obiettivamente, non riflettere a fondo. Come disse Eliot, il "genere umano non è capace di sopportare molta realtà".
A ben pensare, non è difficile convincersi che il diritto penale non è la strada corretta per reprimere la "violazione" delle "misure tecnologiche".

L'azione penale, notoriamente obbligatoria, non dovrebbe essere impiegata per colpire selettivamente. Se però si perseguissero tutti coloro che violano misure tecnologiche per copiare e scambiare, servirebbero subito - in Italia - cinquemila nuove prigioni per rinchiudervi cinque milioni di criminali di nuova specie. Questo non è socialmente accettabile. Se milioni di persone (in buona parte, ragazzi) "violano" la legge, vuol dire che la legge non è appropriata. Come suggerì Churchill, se trecento persone fumano sotto il cartello di divieto, la cosa saggia da fare è di togliere il cartello.

Anche se il diritto americano non ci può insegnare granché, è utile farvi qualche riferimento, se non altro perché in quel Paese le patologie erompono spesso con grande violenza. Quale minimo etico si voleva proteggere contestando a Dmitri Sklyarov cinque violazioni del DMCA con il massimo della pena di 25 anni di prigione? Cosa aveva fatto di così orribile Dmitri? Non aveva ucciso, non aveva violentato un bambino, non aveva tradito la patria. Aveva presentato, in un convegno a Las Vegas, un software capace di eludere le deboli protezioni - misure tecnologiche - della eAdobe.

E cosa dire del prof. Felten al quale si impedì la libertà accademica di presentare i risultati della sua ricerca sulla Secure Digital Music Initiative (SDMI) - dopo che la stessa industria gli aveva chiesto di studiare la bontà delle proprie misure tecnologiche - solo perché l'analisi del professore dimostrava che le "misure" erano inidonee allo scopo? Violazione di misure tecnologiche, prigione fino a cinque anni per ciascun capo d'accusa.

Si è perso il senso della proporzione fra gravità del reato (se di reato si può parlare) e pena: tre anni di reclusione (come per il furto, che però è pressoché depenalizzato, in Italia) per chi viola una misura tecnologica (e potrebbe rivelarsi misura illegittima) e copia una canzone sono ingiustificati. La mancanza di proporzione appare tanto più evidente e ingiusta quando si tenta di razionalizzare, in diritto, enunciazioni come quella della corte d'appello americana nel caso Corley: copiare esercitando il diritto di fair use è lecito quando si punta la videocamera in direzione del monitor, ma non lo è quando si esegue una copia digitale. Solo un problema di circostanze aggravanti? Riferite a quale reato? Occorre ritrovare il perduto senso della realtà.

Mi avventuro a questo punto a formulare qualche suggerimento su cosa e come si dovrebbe fare, per rendere la fruizione dei diritti d'autore più sicura, utile e armonica per tutti, in un quadro tecnologico adeguato ai tempi.

La prima cosa da fare è togliere la sanzione penale dal campo della violazione di misura tecnologica anti-copia. Di quale fattispecie di reato si tratta, comunque, dato che la "proprietà" del bene rimane ancora in capo al titolare, dopo la sottrazione? Si parla di sottrazione di una parte di potenziali clienti, anche di quelli "non contemplati" (i quali, privi di mezzi finanziari, o copiano o non comprano, come hanno sempre fatto)? Un risarcimento per atto illecito (civile) in misura massima del doppio del "prezzo di mercato" dell'opera copiata violando la misura tecnologica dovrebbe essere sufficiente per soddisfare la pretesa di giustizia dei danneggiati. (Ancora una volta, il diritto americano - DMCA - non è un buon esempio: come si può stabilire in 150.000 dollari il "rimedio" per ogni canzone copiata?).

Nel campo delle misure tecnologiche non è necessario che lo Stato eserciti la sua potestà punitiva. L'affermazione che l'elusione di una misura tecnologica comprometta quel minimo etico per la cui salvaguardia il popolo (italiano) ritenga necessario dotarsi di norma penale che commini lunga detenzione in carcere, non ha credibilità. In fin dei conti, non si tratta di un "bene" che interessi la società nella sua interezza, si tratta semplicemente di un espediente utile per l'interesse commerciale di alcune (poche) società private. Per di più, lo Stato ha altri compiti vitali cui dedicare urgentemente le sue migliori risorse: la Guardia di finanza, la Digos, le Procure della Repubblica, i tribunali. Sono i compiti di contrastare i grandi reati che hanno potenziale di scuotere la compagine sociale: il crimine organizzato, i sequestri di persona, la pornografia minorile, lo spaccio di droga, l'immigrazione clandestina.

La seconda cosa da fare è mettere ordine, il che si traduce nel concetto chiave che il blocco protettivo - con misure tecnologiche - debba essere autorizzato solo per materiale che, previa verifica "tecnica", costituisce veramente un diritto d'autore, e solo nei limiti in cui vengono violati i diritti di chi è effettivamente titolare del diritto (v. Universal City Studios, Inc. v. Corley).
Una buona gestione dei diritti d'autore non può lasciare al singolo individuo l'anarchica decisione di inserire, a suo piacimento, misure tecnologiche in opere dell'ingegno, senza controllo di legittimità e di legittimazione. E una buona gestione di questi diritti presuppone la conoscenza adeguata dei dati di fatto essenziali.

Chi intende proteggere con misure tecnologiche i propri diritti d'autore deve legittimarsi, non deve interferire con i diritti altrui, deve rispettare gli usi legittimi. Deve cioè attenersi all'antico principio del "neminem laedere, suum cuique tribuere". Espresso in modo più generale, il concetto è, in sintesi, che le misure tecnologiche non dovranno impedire l'utilizzabilità, in qualsiasi modo, di materiale libero da copyright, di materiale estraneo al copyright, di materiale la cui copia è permessa dalla legge, e non dovranno impedire l'esercizio degli usi legittimi.

Come lo si può fare?

1. Chi intende avvalersi di misure tecnologiche dovrebbe innanzi tutto egli stesso non violare la norma penale; non dovrebbe accedere abusivamente al disco rigido degli utenti, cercarvi la presenza di software, spesso regolarmente acquistato, che potrebbe sia eludere le misure sia permettere altri tipi di uso (quello dell'"emulazione", per esempio, potrebbe essere l'uso meno significativo).

2. Chi intende avvalersi di "misure tecnologiche" dovrebbe registrare preventivamente il suo titolo. Lo si potrà fare con un archivio centralizzato contenente: a) l'anagrafe, cioè i dati dell'autore, dei suoi eventuali cessionari o eredi, gli estremi dell'opera protetta, i termini di scadenza, la data di morte dell'autore quando questo evento si verifica; b) il titolo legale, cioè l'indicazione che si tratta di protezione di un diritto d'autore riservato, e la correlativa esclusione da protezione a ogni altro titolo, sia per gli aspetti che siano liberi da protezione (anche, per esempio, porzioni di opere libere incluse in quella protetta), sia per quelli che non si possono proteggere (perché non rientrano nel novero dei diritti d'autore).

A questo fine, il codice dovrà contenere un meccanismo di eliminazione (bypass) dei blocchi abusivi (per esempio le restrizioni per aree regionali) e, se tale blocco non è possibile perché la limitazione è parte della macchina, non modificabile con software, complete istruzioni per modificare lo hardware; c) i parametri relativi agli usi permessi, cioè la percentuale copiabile (per ogni opera o parte di opera), la verifica interna di utilizzo di questa percentuale, l'ordine di blocco di ulteriori incrementi della parte copiabile una volta raggiunta la percentuale massima consentita.

Non ci si dovrebbe scandalizzare, né gridare alla "burocratizzazione". Di certe "burocrazie" non si può fare a meno in una società ordinatamente funzionante. Esiste l'anagrafe di marchi e brevetti; perché non dovrebbe esserci, se ciò è indispensabile per la certezza del diritto, l'anagrafe di quegli autori che si spingono - in sostanza senza controllo - nel campo minato di chi vuol farsi "giustizia da sé"?
Se è vero, come probabilmente è, che i diritti d'autore - e la proprietà intellettuale in genere - sono diventati il maggiore capitale nella società industriale contemporanea, occorre pur fare quanto necessario per dare a questo capitale stato di certezza e affidabilità, e assicurare che i titolari - o sedicenti titolari - di questi diritti non approfittino del disordine per commettere abusi.

Con le recentemente introdotte regole sulle misure tecnologiche non è più possibile lasciare la titolarità dei diritti d'autore allo sbando. I mezzi moderni - in primo luogo Internet - permettono di tenere un archivio, come quello qui delineato, snello ed efficiente, liberamente accessibile a tutti per consultazione e verifica. I costi, probabilmente modesti, di tenuta dell'archivio potranno essere finanziati dai contributi degli interessati. Anche di questo non c'è di che scandalizzarsi. "Non c'è mai un invito a pranzo senza un costo" dicono gli americani.

L'informazione in archivio dovrebbe essere liberamente accessibile al pubblico, dovrebbe essere continuamente aggiornata, e la veridicità delle registrazioni dovrebbe essere soggetta a verifiche e controlli, anche da parte del pubblico (con procedura, si spera, più efficiente e meno costosa di quella dei brevetti). L'obbligo di aggiornamento dovrebbe valere per tutti gli autori che desiderassero utilizzare misure tecnologiche, indipendentemente da dove risiedono, perché quello che conta è il luogo dove le misure spiegano il loro effetto.

3. Chi intende avvalersi di misure tecnologiche dovrebbe inserire nel software della misura stessa - o nello hardware se in esso è incorporata la misura - un codice (alfanumerico, biometrico, o altro) contenente le informazioni essenziali relative ai suoi diritti. Questo codice è facilmente programmabile (non c'è bisogno di un quindicenne geniale - come fu il creatore del programma DeCSS - per farlo). Non essendo probabilmente possibile - con le conoscenze attuali - aggiornare direttamente tale codice (senza violare la norma penale del divieto di accesso abusivo), la verifica di correttezza-aggiornamento dovrebbe poter essere fatta direttamente dall'utilizzatore: inviando all'archivio il codice estratto dalla misura tcenologica otterrà in risposta i dati aggiornati.

4. Servirebbero modifiche legislative sia in Italia sia a livello europeo.
In Italia occorrerebbe conformare la legge dei diritti d'autore (LDA). Fra le modifiche necessarie vi sarebbe l'obbligo a carico di chi intende proteggere la sua opera con misura tecnologica, di appropriatamente legittimarsi, di non commettere atti non autorizzati, o che si presumono non autorizzati dagli utenti, di non violare la norma penale relativa all'accesso abusivo (e le altre a difesa dei diritti degli utenti). E si dovrebbe aggiungere una norma, speculare a quella che autorizza le misure tecnologiche da parte dei titolari di copyright, che autorizzasse gli utenti a mettere in opera anti-misure tecnologiche quando queste si prestassero al sospetto, o si rivelassero abusive o illegittime (art. 102-quater LDA).

Le leggi devono essere comprensibili per il comune cittadino. Non lo sono quando persino i parlamentari (che le fanno) si confondono con "lucro" e "profitto", come è avvenuto durante le delibere della legge 21 maggio 2004, n. 128. Allora, si dovrebbe modificare l'art. 171-ter LDA eliminando alla fine del primo paragrafo, senza sostituzione, le parole "per trarne profitto". Non bastano le parole "per uso non personale"? Il popolo capisce che è vietato copiare "per fare commercio", per "comprare e vendere - o scambiare - per denaro". Occorre dirlo con chiarezza quando l'utente è autorizzato a eludere una misura tecnologica, e quando e in quale misura è autorizzato a copiare, e scambiarsi la copia con altri senza fare commercio.

A livello europeo, sarebbero necessarie modifiche alle direttive che trattano la materia (in particolare la 2001/29). La proposta qui delineata potrebbe costituire la base dei consideranda di una nuova direttiva. Il processo legislativo si svolgerebbe in direzione opposta a quanto è avvenuto nel recente passato in materia di diritti d'autore. Gli ordini di marcia della revisione del diritto d'autore verrebbero questa volta dall'Europa. Da qui l'America e le organizzazioni internazionali potrebbero ispirarsi, se lo volessero.

Come europei, non potremmo che rallegrarci di cogliere questa opportunità. Sarebbe un piccolo ma importante passo nello sforzo di mantenere la promessa che l'Europa si è imposta a Lisbona, cioè di "fare della Unione europea l'area più competitiva e dinamica del mondo, basata su innovazione e conoscenza, capace di incrementare i livelli della crescita economica con... maggiore coesione sociale".
  

* Avvocato - New York, Montreal 

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