La tutela giuridica delle banche dati della
pubblica amministrazione
di Daniela Redolfi e Fabrizio Veutro*
- 14.10.99
Il dibattito sull'accesso alle informazioni
pubbliche e sull'interconnessione delle banche dati appartenenti alla pubblica
amministrazione si arricchisce oggi delle considerazioni che si sviluppano a
seguito dell'emanazione del recente decreto
legislativo 6 maggio 1999 n. 169 relativo
alla tutela giuridica delle banche dati.
Le ormai diffuse contestazioni alla "logica proprietaria" con la quale
le amministrazioni pubbliche gestiscono le proprie banche dati e regolano
l'accesso dei terzi alle stesse, disciplinando spesso in modo restrittivo anche
l'utilizzo delle informazioni ottenute (si veda a questo proposito, ad esempio,
il regolamento per l'accesso alle informazioni del PRA, o quello sulle
conservatorie immobiliari o sul catasto) sono in via di principio del tutto
condivisibili, ma vanno riviste, coordinate e per quanto possibile meglio
sostanziate con riferimento a quanto disposto dal decreto legislativo suddetto
di recepimento della direttiva 96/9/CE.
Il decreto legislativo estende alle banche dati,
intese come raccolte di opere, dati o altri elementi indipendenti
sistematicamente e metodicamente disposti ed invidualmente accessibili mediante
mezzi elettronici o in altro modo, la tutela del diritto d'autore e a tale scopo
integra e completa quanto disposto dalla legge 22 aprile 1941 n. 633.
Oltre evidentemente a tutto quanto più volte richiamato dalla dottrina in
merito alla normativa sul diritto di accesso e sull'interconnessione dei sistemi
informatici pubblici, è quindi a questa disciplina che si deve fare riferimento
per verificare se possano trovare giustificazione le limitazioni e i vincoli
alla consultazione dei dati, all'utilizzo delle informazioni, alla loro
rielaborazione e al loro reimpiego a fini di business.
Purtroppo il legislatore, nel recepire la
direttiva comunitaria, non ha tenuto in alcun conto del suddetto dibattito con
la conseguenza che il decreto legislativo non distingue in nessun modo tra
banche dati pubbliche e banche dati private, riconoscendo alle stesse,
indipendentemente dal soggetto che le ha poste in essere, la tutela del diritto
d'autore.
Conferma di ciò si ha all'articolo 11 della legge 633/41 che dispone che
"alle amministrazioni dello Stato, alle province e ai comuni spetta il
diritto d'autore sulle opere create e pubblicate sotto il loro nome e a loro
conto e spese". In considerazione del fatto che tra le opere protette dal
diritto d'autore gli articoli 1 e 2 della legge, integrata dal decreto
legislativo di recente emanazione, comprendono anche le banche dati,
evidentemente si deve ritenere almeno in via di principio che anche le banche
dati della pubblica amministrazione possano essere tutelate dal diritto
d'autore.
Tale tutela è però riconosciuta a condizione
che la banca dati possa considerarsi per la scelta o la disposizione del
materiale una creazione intellettuale dell'autore.
A questo proposito, è bene però rilevare che per la maggior parte delle banche
dati pubbliche (pensiamo al registro delle imprese o ai registri delle
conservatorie immobiliari, o al PRA) è la stessa legge che stabilisce la
tipologia di informazioni che debbono essere raccolte e le modalità di
organizzazione e di accesso alle stesse.
In questi casi, l'amministrazione che si fosse limitata a realizzare la banca
dati ottemperando a quanto disposto dal dettato normativo, non potrebbe
considerarsi autrice della stessa.
Qualora l'amministrazione realizzasse la banca dati in completa autonomia
potrebbe, invece, a rigore considerarsi autrice. In ragione di ciò, avrebbe il
diritto di impedire la riproduzione della banca dati, una diversa disposizione o
modificazione della stessa, la sua distribuzione o comunicazione al pubblico.
Come è noto, accanto a tali diritti, il decreto
legislativo ha però introdotto in capo al costitutore della banca dati, cioè a
colui che ha realizzato l'investimento necessario, il diritto (definito sui
generis) di vietare le operazioni di estrazione o di reimpiego della
totalità o di una parte sostanziale della banca dati.
Tale diritto, tuttavia, è riconosciuto dal decreto solo ai cittadini di uno
stato membro dell'Unione europea e alle imprese e società costituite secondo la
normativa di uno Stato membro dell'Unione. Non è quindi riconosciuto alle
pubbliche amministrazioni.
In ragione di ciò, le amministrazioni non hanno alcun diritto di impedire
l'estrazione o il reimpiego delle informazioni contenute nelle banche dati da
esse costituite; evidentemente, a meno che ciò non sia disposto da un'altra
fonte primaria.
La "logica proprietaria" con cui spesso
le amministrazioni pubbliche gestiscono le proprie banche dati impedendo
l'estrazione delle informazioni e il loro riutilizzo per fini commerciali non ha
quindi nella maggior parte dei casi alcun preciso fondamento giuridico.
In particolare, non ne hanno quelle disposizioni, di natura contrattuale o
regolamentare, purtroppo piuttosto frequenti, che vietano o limitano
l'elaborazione, la commercializzazione, la riproduzione di dati estratti da
registri dei quali il dettato normativo chiarisce la funzione di pubblicità,
concedendone a chiunque l'accesso.
In tali casi, infatti, l'amministrazione difficilmente può far valere la
titolarità del diritto d'autore e al contempo in via generale non le è
riconosciuto l'esercizio del cosiddetto diritto sui generis.
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Avvocati in Milano
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