(Vedi anche Decreto
Urbani et similia: tre mesi di papocchi, dieci anni di delirio di ALCEI)
Si è fatto un grande baccano intorno al decreto Urbani, recentemente
trasformato in legge con modifiche dell'ultimo momento che ne avrebbero mutato
radicalmente la struttura ed inasprito il regime sanzionatorio. Si è tacciato
il Ministro di incompetenza e di aver favorito in maniera eccessiva le major
del cinema e della musica, a scapito degli utenti domestici. Ma è davvero
andata così? Vale a dire, si è effettivamente inasprito il regime a carico di
chi scarica da casa ad uso esclusivamente privato file musicali o film? La
chiave di lettura non dovrebbe essere nell'interpretazione, a mio parere,
affrettata, che ne hanno dato i (pochi) giornali che se ne sono occupati.
Bisogna leggere attentamente la legge Urbani in relazione alle altre, già
vigenti, e a cui si fa un rimando. In particolare, bisogna riferirsi alla legge
18 agosto 2000 n. 248, in vigore dal 1 settembre 2003. La legge 248/2000 apporta
sostanziali modifiche alla disciplina della legge n. 633 del 1941. Si legga la
modifica all'art. 171-ter: L'art. 171-ter della legge 22 aprile 1941, n.
633, è sostituito dal seguente: Art. 171-ter.- 1. E' punito, se il fatto è
commesso per uso non personale, con la reclusione da sei mesi a tre anni e con
la multa da cinque a trenta milioni di lire chiunque a fini di lucro:
a) abusivamente duplica, riproduce, trasmette o diffonde in pubblico con
qualsiasi procedimento, in tutto o in parte, un'opera dell'ingegno destinata
al circuito televisivo, cinematografico, della vendita o del noleggio, dischi,
nastri o supporti analoghi ovvero ogni altro supporto contenente fonogrammi o
videogrammi di opere musicali, cinematografiche o audiovisive assimilate o
sequenze di immagini in movimento.
Si legga ora l'art. 1, n. 2 e 3 della legge Urbani: Al comma 1 dell'art.
171-ter della legge 22 aprile 1941 n. 633 e successive modificazioni, le parole:
"a fini di lucro" sono sostituite dalle seguenti: "per trarne profitto".
3. Al comma 2 dell'articolo 171-ter della legge 22 aprile 1941, n. 633, e
successive modificazioni, dopo la lettera a) è inserita la seguente:
"a-bis) in violazione dell'articolo 16, per trarne profitto, comunica al
pubblico immettendola in un sistema di reti telematiche, mediante connessioni di
qualsiasi genere, un'opera dell'ingegno protetta dal diritto d'autore, o
parte di essa;".
Ebbene, se è vero che la locuzione "a fini di lucro" è stata sostituita
con quella più ampia di "per trarne profitto", tuttavia non è stato
toccato l'aspetto più importante: il fatto è punito solo quando commesso
per un uso non personale. Questo dovrebbe mantenere la liceità della copia
privata, inclusa quella ottenuta tramite internet, in quanto ad uso personale.
Il reato si commette e viene giustamente punito, quando dal fatto di ottiene in
ingiustificato profitto per fini non personali, si pensi ad esempio a chi
commercia CD o DVD falsi. A mio parere quindi, nonostante il grande clamore, chi
da casa utilizza sistemi di condivisione, non commette un illecito penale (e ci
sarebbe da discutere anche sul versante amministrativo, infatti nella legge n.
248/2000 e nella legge Urbani, non sono specificate sanzioni amministrative a
carico di chi compie il fatto per uso personale), posto che comunque una parte
dei proventi derivanti dall'aumento dei supporti digitali e dei masterizzatori,
andrebbe a carico di un fondo per il diritto d'autore (il cosiddetto equo
compenso).
Più preoccupati dovrebbero essere (e lo sono) i prestatori di servizi della
società dell'informazione, gravati da sanzioni sproporzionate e a cui sono
attribuiti compiti di vigilanza e delazione alquanto dubbi. Esenti da ogni
gravame, i fornitori di connettività, cui è riservato un trattamento di
favore. Altro aspetto, se vero, che desterebbe preoccupazione semmai sarebbe
quello che delega alla Digos il compito di raccogliere le segnalazioni e
effettuare i controlli, cosa assolutamente enorme, posto che sicuramente in
prima fase di applicazione della legge ci saranno sicuramente problemi di
interpretazione anche circa l'effettivo ruolo di un organismo deputato alla
prevenzione di crimini gravi.
In sostanza, nessuno può essere punito penalmente se si scarica musica o
film da internet ad uso personale, posto che nel nostro ordinamento giuridico l'interpretazione
della legge penale è rigida. Amministrativamente la cosa non dovrebbe
comportare sanzioni (da una lettura rapida del sistema di norme non mi sembra a
prima vista di scorgerne).
Inoltre è molto interessante l'orientamento dei giudici italiani, che
soprattutto in occasione di una sentenza, per alcuni aspetti simile all'argomento
trattato, in quanto riguardante soprattutto i programmi di gioco, (n. 320/03 del
18 marzo 2003, tribunale di Arezzo), assolveva il reo di essersi procurato e
aver diffuso via internet (addirittura ponendo in commercio!), materiale ludico
e sonoro (reato commesso prima del 24 agosto 2001). Interessanti perché nella
stessa direzione di altre corti straniere, che tendono a legittimare il
comportamento dell'utente domestico.
Questa tendenza deve far riflettere sul fatto che i nuovi orizzonti della
tecnica hanno ormai travolto tutti i settori dell'arte e dell'ingegno, e
chiedono una soluzione diversa da quella meramente repressiva, con misure da
stato di polizia da più parti insistentemente richieste. La legittimazione dei
comportamenti degli utenti domestici deve corrispondere al riconoscimento in
costoro della qualifica di clienti di materiale discografico e cinematografico,
e non di ladri e deve richiedere alle case discografiche e di distribuzione uno
sforzo concreto per modificare, alla luce di internet, il sistema dei compensi
agli artisti, che corrisponda anche al reale valore dell'opera e delle
esigenze delle nuove generazioni.
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