L'anno zero del documento informatico
di Manlio Cammarata - 04.03.03
L'intervista con il capo dell'Ufficio legislativo
del Dipartimento per l'innovazione, che pubblichiamo in questo numero,
costituisce un punto di grande rilievo nel cammino del "sistema
Italia" verso la società dell'informazione. Perché dovrebbe ormai essere
chiaro che la firma digitale non è solo la soluzione tecnico-giuridica che, una
volta a regime, consentirà l'effettiva digitalizzazione di quasi tutte le
attività della pubblica amministrazione, ma costituisce l'unico strumento
possibile per risolvere una serie di problemi legati alla complessità del
tessuto socio-economico nel quale viviamo. Un settore per tutti: quello della
giustizia, i cui problemi hanno assunto dimensioni tali che nessuno strumento
tradizionale sembra capace di risolverli.
Naturalmente c'è una distanza enorme tra la semplice affermazione del
principio e sua concreta attuazione su vasta scala. Ma l'importante, in questa
fase, è vedere con chiarezza le difficoltà, affrontandole con decisione a mano
a mano che vengono alla luce. Le risposte dell'avvocato De Giovanni vanno in
questa direzione e indicano, se non altro, una visione a tutto campo delle
questioni da risolvere. Si può dissentire dall'una o dall'altra valutazione, si
può non condividere qualche proposta, ma oggi sappiamo qual è la direzione che
il Ministro per l'innovazione intende seguire per mandare avanti un processo
iniziato molti anni fa, ma che troppo spesso è apparso arenato tra le secche
della burocrazia e dell'incompetenza.
Ora diversi nodi vengono al pettine, proprio nel momento in cui la crescente
diffusione delle tecnologie e la spinta del Dipartimento attirano l'attenzione
del pubblico verso una materia che fino a oggi era nel dominio esclusivo degli
addetti ai lavori. Sembra di vedere una generale "fragilità" del
sistema, sotto diversi aspetti: normativo, organizzativo, tecnologico. Cerchiamo
allora di tracciare una rapida sintesi delle questioni aperte, con il proposito
di approfondire in seguito i diversi punti.
1. Il quadro normativo. Nell'intervista l'avvocato De Giovanni difende
il regolamento approvato dal Governo alla fine di gennaio, offre alcune
spiegazioni "illuminanti" sui suoi contenuti e si spinge a ipotizzare
importanti modifiche legislative in funzione delle tecnologie. Ma non convince
del tutto. E' vero che si devono rispettare i vincoli di una direttiva
comunitaria che è poco definire confusionaria, è vero che il regolamento non può prescindere dal quadro
definito dal decreto legislativo di attuazione della direttiva, ma è anche vero
che proprio nelle disposizioni di questo decreto sono stati commessi errori
pesanti, che dovranno in qualche modo essere corretti. Anche perché una
normativa di così difficile interpretazione non favorisce la crescita del
sistema.
Il primo l'aspetto da considerare è quello, solo apparentemente formale,
delle definizioni. De Giovanni spiega quello che tutti credevano di sapere prima
di leggere le norme: oggi c'è un solo sistema praticabile di validazione dei
documenti informatici, che è la firma digitale. Essa può essere
"leggera" o "forte", a seconda delle garanzie e dei sistemi
di sicurezza su cui è basata. Ma arrivare a questa elementare verità leggendo
le disposizioni attuali non è facile. Tanto più che la definizione della firma
"qualificata" non corrisponde ad alcuna soluzione oggi disponibile,
né ragionevolmente prevedibile in tempi brevi.
2. L'efficacia delle firme digitali. Qui è in gioco l'essenza stessa
del nuovo strumento. La normativa originaria considerava solo la firma
"forte" come equivalente alla sottoscrizione autografa, determinando
un parallelismo impeccabile: il documento firmato digitalmente aveva gli effetti
della scrittura privata, l'autenticazione della firma digitale produceva gli
stessi effetti dell'autenticazione tradizionale.
Ora si cerca di "promuovere" le due categorie di firme digitali:
quella "debole" (insicura sia dal punto di vista della certificazione
sia da quello della generazione) dovrebbe avere il valore della firma autografa,
mentre quella "forte" sarebbe almeno in qualche misura più
"forte" della firma autografa.
Ma negli ultimi tempi abbiamo scoperto che la firma digitale può non essere
così affidabile come i tecnici ce l'avevano descritta all'inizio: la sicurezza
intrinseca del procedimento è fuori discussione, ma è il contorno che non
convince. Qualche negligenza dei certificatori, qualche debolezza delle
applicazioni e la vulnerabilità dei sistemi informatici più diffusi fanno
sorgere non pochi dubbi sulla tenuta complessiva del sistema, almeno nella sua
fase iniziale. Incominciamo a intuire quali potranno essere le vicende
processuali dei documenti informatici, a capire in che cosa potranno consistere
le perizie tecniche, o su quali basi potranno essere avanzate le querele di
falso. Ma proprio alla luce di queste considerazioni gli indispensabili
aggiornamenti normativi dovranno essere improntati alla massima prudenza,
evitando pericolose fughe in avanti.
3. Le vulnerabilità del sistema. Questo è un punto estremamente
critico. A oggi sono stati clamorosamente scoperti due "bachi", il
primo legato a una disattenzione generale nell'attuazione della normativa, il
secondo a una grave disattenzione di un certificatore. Non illudiamoci: altri
problemi si presenteranno, come è logico che accada nelle fasi iniziali di ogni
cambiamento. Ma l'importante è che questi "incidenti" siano gestiti
in maniera corretta. Sono necessarie regole più stringenti per il comportamento
dei certificatori, sono necessari controlli continui e approfonditi, è
indispensabile un quadro sanzionatorio severo per ogni comportamento che possa
mettere a rischio non solo l'affidabilità materiale del documento informatico,
ma anche e soprattutto la fiducia dei potenziali utilizzatori.
4. La "cultura digitale". Si è tanto parlato e si parla
ancora di "alfabetizzazione informatica". Intanto il problema si sta
risolvendo da sé, con la conversione (anche forzata) degli utenti e soprattutto
con la progressiva irruzione delle nuove generazioni nel mondo del lavoro. Ma
non basta. Occorre uno sforzo per diffondere la "cultura" dello
strumento informatico, cioè la consapevolezza delle sue potenzialità e dei sui
limiti, dei suoi vantaggi e dei suoi pericoli. Il che significa anche, e i in
primo luogo, cultura della sicurezza.
Solo su questa base il documento informatico, e tutte le sue applicazioni,
potranno decollare e diventare uno strumento di sviluppo. Altrimenti tutto si
ridurrà a una smart card da lasciare al commercialista per evitare la fatica di
doversi spostare per andare a firmare i documenti. Con tutte le
conseguenze del caso, quando i disonesti si accorgeranno di come sia facile
commettere illeciti di ogni genere approfittando della "verità"
offerta dai bit, in contrapposizione alla evidente falsità di un segno
tracciato sulla carta.
Oggi, finalmente, abbiamo una visione abbastanza chiara di tutti questi
problemi. Probabilmente era necessario un periodo di "rodaggio", anche
perché le norme del '97 erano anche troppo lungimiranti e davano per scontate e
sicure alcune soluzioni che ancora adesso appaiono instabili.
Ma ora che sappiamo a che cosa andiamo incontro, possiamo incominciare a
lavorare sul serio per realizzare quel quadro innovativo che a suo tempo fu
definito, non a torto, come rivoluzionario.
Possiamo dire che siamo all'anno zero del documento informatico. Ed è già
importante saperlo.
|