Sul numero scorso abbiamo criticato uno studio dell'Università Mediterranea
di Reggio Calabria su una asserita "vulnerabilità" della firma
digitale (vedi Un "baco" che non c'è e una scorciatoia per i
disonesti e La luna, il pozzo, la
bufala di Corrado Giustozzi). Il professor Buccafurri, coordinatore dello
studio, non l'ha presa bene. Ci chiede di pubblicare la sua replica , peraltro già visibile sul sito
dell'università al posto del paper oggetto della discussione. Solo
alcune osservazioni per chiudere la questione. Il professore forse non ha letto
con attenzione il pezzo, se afferma che il passaggio: Il problema del documento che cambia contenuto non è nuovo. E' stato
sollevato nel lontano 2002, oggetto di approfondite discussioni su queste
pagine "E' falso Il problema era noto ben prima". Infatti, non ho
scritto che il problema è stato scoperto nel 2002, ma semplicemente che
"è stato sollevato".
Per non tediare il lettore, evito di polemizzare sulle altre altre questioni
sollevate dal professore: basti leggere La
risposta del presidente del CNIPA a Panorama
, dalle cui pagine è stata data la notizia dello studio calabrese. La
sostanza della questione è un'altra. Il legislatore italiano ha già definito,
anche se non sempre con la necessaria chiarezza, quali sono i requisiti del
documento informatico "valido e rilevante a tutti gli effetti di
legge". I documenti esaminati nello studio non hanno queste
caratteristiche, quindi non sono validi e non ci interessano sul piano
giuridico.
Il problema è nella "bufala" giornalistica, ennesima dimostrazione della scarsa attenzione che la
stampa di informazione dedica ad argomenti che dovrebbero ormai
interessare a un grande numero di cittadini e di imprese.
Ci vorrebbe ben altra preparazione per trattare materie così nuove e difficili
da spiegare. Si preferisce lo scoop, senza approfondire (anzi, senza
nemmeno capire) la notizia. Sono anni che se ne parla, inutilmente. (M.
C.)
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