(Vedi anche La firma digitale nel Regno
Unito
di Roberto Manno)
La prova nel processo civile di common law
Un'analisi della disciplina inglese relativa alla firma digitale può
essere molto interessante per capire i problemi sollevati dalla direttiva 1999/93/CE e dal suo recepimento in
Italia: infatti l'impostazione della direttiva risente della visione di common
law, inconciliabile per diversi aspetti con il nostro diritto positivo.
Prima di entrare nel cuore dell'argomento vale la pena di fare un breve
cenno in merito all'approccio che l'ordinamento anglosassone ha nei
confronti della forma dei contratti. Sicuramente la sintesi mal si concilia con
un argomento del genere che, per sua natura, interessa non solo il diritto
sostanziale, ma anche quello procedurale, e anzi tocca l'essenza stessa dell'ordinamento.
Se dare certezza al cosiddetto "traffico giuridico" è una finalità
perseguita da ogni sistema, esistono differenze importanti, all'interno delle
famiglie giuridiche di common law o di civil law, relative alla
concreta realizzazione di questo scopo. Dal momento che il problema della
certezza dei negozi giuridici posti in essere dai privati nasce per definizione
in un momento patologico, e cioè nel momento in cui tra quei privati insorge
una lite in merito a quell'atto, è forse opportuno ricercare l'origine
delle differenze tra i rimedi che i vari ordinamenti hanno inteso predisporre,
proprio nell'impostazione che gli stessi ordinamenti hanno della lite tra
privati e della sua fisiologica risoluzione: il processo civile. Tanto più che
negli ordinamenti di common law tutto il diritto vive in una dimensione
più "processuale", rispetto ai sistemi giuridici continentali:, i primi
sono fondati, sul principio del precedente vincolante, i secondi sul
tradizionale primato della legge scritta.
La causa civile davanti al giudice inglese viene trattata oralmente e le
prove vengono procurate e assunte, per quanto possibile, direttamente e senza
alcun tipo di mediazione. Invece nei Paesi di civil law il processo
civile è, per definizione, scritto; la prova documentale è la prova per
eccellenza, predisposta a volte prima che insorga la lite, e assicura certezza
ed imparzialità. Dunque nei Paesi di civil law c'è una serie di atti
forniti di fede privilegiata, compiuti da soggetti che hanno per legge il potere
di compierli. Questi atti formano piena prova , fino a quando non si dimostra
che è stato compiuto un falso. Un atto pubblico od una scrittura privata con
firma riconosciuta (o avuta per riconosciuta) da colui che la ha apposta sono
documenti probatori assistiti da particolari garanzie. La loro contestazione
richiede procedimenti particolari, proponibili in via principale o in via
incidentale, come la nostra querela di falso.
Di fronte a tali atti il potere di valutazione del giudice incontra un
limite. Se tanto il notaio di civil law quanto quello di common law
si caratterizzano per la loro attività certificativa, la differenza
fondamentale tra l'uno e l'altro consiste nel valore probatorio che i
diversi ordinamenti attribuiscono all'atto pubblico. Se in Italia a questi
atti è attribuita pubblica fede, e cioè la maggior forza probatoria possibile,
in Gran Bretagna un certificato notarile non è di per sé accettato dal giudice
come prova, ma il giudice potrà addirittura chiamare il notaio a testimoniare
su ciò che è avvenuto in sua presenza. Ciò in quanto, come abbiamo già
detto, la prova documentale, nei sistemi di common law non ha la forza
che le è riconosciuta negli ordinamenti di derivazione latina. In Gran Bretagna
la prova per testimoni è la prova fondamentale. È regola generale del giudizio
civile che il teste , venga esaminato oralmente. La hearsay rule,
caratteristica del common law, ai sensi della quale non è ammessa in
giudizio la prova di fatti di cui il testimone non ha conoscenza diretta,
permette al giudice di non ammettere la prova documentale.
In materia di contratti, dal punto di vista sostanziale, la distinzione è
piuttosto tra la forma e lo scambio, il bargain. Nello scambio è
implicita la consideration, concetto privo di corrispondenza in civil
law, che attribuisce carattere di onerosità al contratto, e che è
requisito di esistenza del simple contract. Dove non sussista la consideration,
come negli atti gratuiti, è necessario, affinché l'atto posto in essere sia
giuridicamente vincolante, l'utilizzo della forma solenne. In Inghilterra, il deed
è altresì necessario nella conveyance, cioè nel trasferimento della
proprietà immobiliare, e nel lease immobiliare di durata superiore ai
tre anni. Il requisito della forma è richiesto in pochi altri casi. Ad esempio,
è richiesta la forma scritta ad substantiam, ma non solenne, per la
costituzione od il trasferimento di diritti reali immobiliari e per i contratti
di credito al consumo. La forma scritta ad probationem è necessaria per
i contratti di garanzia. In alcuni casi è richiesto che il contratto sia
redatto per iscritto in più copie, cosicché le parti possano scambiarsele.
Alla base di questa libertà di forme è la volontà di favorire la rapidità e
la snellezza dei traffici, rese più difficili dall'obbligo di ricorrere a
contratti formali.
Il recepimento della direttiva europea
Prima del recepimento della direttiva 1999/93/CE in Gran Bretagna la
disciplina in materia di firme elettroniche era praticamente inesistente, e
anche in merito al documento elettronico ed alla sua validità il materiale
legislativo e giurisprudenziale non era molto consistente. In particolare, la
legge del 1977, che definiva il documento come una serie di informazioni
impresse in modo intelligibile su di un supporto di qualche genere, era stata
messa fortemente in discussione da due pronunce giurisprudenziali. La prima
relativa al caso Rollo vs. HM Advocate del 1996 (SCR 875), in cui la polizia
aveva scoperto i dati relativi ad un commercio di droga nel nord della Scozia,
archiviati su un computer portatile. La seconda relativa al caso Alliance and
Leicester Building Society vs. Ghahremani del 1992 (RVR 198), in cui la parziale
cancellazione di un file in formato .doc successiva all'ordine del giudice di
esibire il documento contenuto nel medesimo file, era stata considerata dal
giudice penale come oltraggio alla corte.
In entrambi i casi i giudici erano partiti dal presupposto che l'essenza di
un documento è nel fatto che su qualche tipo di supporto sono registrate in
qualche modo delle informazioni. Non interessa più, quindi, che tali
informazioni siano immediatamente registrate in modo intelligibile o che per
essere comprensibili debbano subire un procedimento di tipo elettronico o
informatico. Un'interpretazione indubbiamente molto estensiva finiva poi col
sostenere che se delle informazioni così registrate su un disco fisso
costituiscono un documento per la legge penale, non c'è motivo di sostenere che
non costituiscano documento valido a tutti gli effetti anche per la legge
civile.
Sicuramente, quindi, la direttiva 1999/93/CE, adottando le soluzioni che
conosciamo, obbliga il sistema anglosassone, a mettere ordine nella materia,
almeno dal nostro punto di vista "continentale".
La direttiva è stata recepita con l'Electronic Communications Bill,
presentato alla Camera dei Lord alla fine di dicembre del 1999, diventato l'Electronic
Communication Act 2000, ricevuto il Royal Assent nel maggio 2000.
Una apposita commissione del Minister of Small Businesses and E-Commerce
si sta poi occupando di aggiornare tutto il restante materiale legislativo
inglese, che contiene riferimenti ai concetti di documento e firma, che sono
stati stimati nel numero di 40.000 unità. Il governo ha ritenuto infatti che
fosse proprio questa varietà terminologica e di concetti, presente in tutta la
legislazione, ad impedire una totale abolizione dei classici requisiti di
scrittura per la validità dei documenti e quindi a sbarrare la strada al pieno
riconoscimento del documento elettronico.
Com'era prevedibile, anche nell'implementation anglosassone della
direttiva ha creato non pochi problemi la doppia definizione di electronic
signature e advanced electronic signature. Attualmente il termine digital
signature è sinonimo della seconda definizione, anche sulla scorta del
fatto che l'ISO (International Standard Organization) definisce la digital
signature con caratteristiche di fatto identiche a quelle con cui la
direttiva definisce l'advanced electronic signature.
L'Electronic Communications Act è diviso in tre parti: la prima
contiene le norme relative alla crittografia, la seconda detta alcune regole per
facilitare il commercio elettronico e la terza enuncia alcune disposizioni
eterogenee, principalmente incentrate sul nuovo regime delle licenze per le
telecomunicazioni, che non interessa in questa sede. La seconda parte organizza
e sviluppa le previsioni contenute in alcuni official statement and
consultation paper, pubblicati tra l'inizio del 1996 e la metà del 1999,
con i quali due successivi governi si assumevano impegni precisi per consolidare
nel pubblico di imprese e privati la fiducia nel commercio elettronico. Anche
questa seconda parte, però, non interessa ai fini dell'analisi della disciplina
della firma digitale.
Le regole tecniche di cifratura sono molto simili a quelle italiane: adottano
una tecnologia RSA e lo standard PKCS#7.
Si vedrà a breve che alcune difficoltà nascono invece quando l'atto definisce
le Trusted Third Parties (TTPs), un soggetto terzo e imparziale che si
occupi di assicurare la reale identità del mittente e di allegare il relativo
certificato: in sostanza, il nostro "certificatore". Vero colosso della
certificazione d'oltre Manica è VeriSign, con un fatturato che già nel 2000 raggiungeva i
30 milioni di sterline, ma l'attività di certificazione è regolarmente svolta
anche da banche, da commercialisti, da grossi studi legali e, come in Italia,
dalle poste. Per ciò che concerne la certificazione, è interessante vedere
come, dal punto di vista processuale, l'atto preveda espressamente che oltre la
firma digitale, allegata o logicamente associata alla comunicazione o al dato,
anche il relativo certificato debba essere ammesso a provare in giudizio
l'integrità e l'autenticità della comunicazione o del dato. Ebbene, tale
espressa previsione pare stia creando non pochi problemi in Scozia, la cui common
law è da diverso tempo orientata verso la rimozione di qualsiasi barriera
tecnica e giuridica nel diritto alla prova in giudizio.
Non basta. L'atto prevede infatti una seconda categoria di TTPs: i Cryptography
Service Providers. Si tratta di organismi creati per consolidare
l'affidamento da parte degli utenti nell'identità certa del mittente di un
messaggio cifrato e per facilitare l'uso delle tecnologie di crittografia: in
sostanza ci si rivolge a tali organismi presentando i propri documenti in
chiaro, che l'ente provvede a cifrare e spedire (alcuni di questi provider
si occupano anche di custodire la chiave privata dei loro clienti, ma pochissimi
di essi svolgono anche la funzione di ente certificatore). Non esiste perciò
obbligo alcuno di servirsi di tali organismi: la procedura infatti verrebbe
inutilmente allungata dal doversi rivolgere ad un altro ente oltre quello
certificatore, specialmente per gli utenti esperti o per quelli che svolgono
questo tipo di procedure di cifratura professionalmente. A questo proposito, la
prima parte dell'Act prevede che sia tenuto presso la pubblica
amministrazione un registro volontario di Cryptography Service Providers
accreditati.
Insomma, anche sotto il Regno di Sua Maestà Britannica, il dibattito sulla
firma digitale continua, tra molti dubbi sul fatto che si possa, con qualunque
altro mezzo, raggiungere il grado di autenticità rappresentato dal documento
cartaceo,. All'interno di questo dibattito, l'impatto più significativo sembra
quello causato dalla previsione che nel 2008 il 100% degli atti della pubblica
amministrazione sarà formato elettronicamente. Al momento, di grande successo
gode la trasmissione per via telematica della dichiarazione dei redditi,
effettuando la quale il contribuente ha diritto ad uno sconto di 10 sterline
sulle tasse.
(Continua sul prossimo numero)
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