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Firma digitale

Il documento informatico tra nuove e vecchie regole

di Manlio Cammarata - 12.02.04

 
Con la pubblicazione del decreto del Ministero dell'economia e delle finanze 23 gennaio 2004 si compie un altro importante passo avanti verso la "smaterializzazione" dei documenti e la razionalizzazione di tutte le procedure che comportano la gestione e la conservazione obbligatoria di scritture con particolare valenza giuridica.
Il provvedimento era atteso da molto (troppo!) tempo, perché l'evoluzione della tecnologia e quella, conseguente, dell'ordinamento giuridico, rendono in molti casi inaccettabili le vecchie procedure basate sui supporti cartacei.

Si pensi all'assurdità delle regole che impongono ancora la stampa e la conservazione su carta di fatture e altri documenti di rilevanza fiscale, anche se generati, trattati e trasmessi con mezzi informatici: una evidente diseconomia, fatta di tempi di lavorazione, spazi di archiviazione e soprattutto di difficoltà nel reperimento di vecchi documenti (vedi Fattura elettronica: i vantaggi per le imprese di Umberto Zanini).
Meno male che il quadro delle disposizioni sulla gestione informatica dei documenti di rilevanza fiscale sarà presto completato con il recepimento della direttiva 2001/115/CE sulla trasmissione delle fatture via EDI o via e-mail, con firma digitale. Sarà possibile, finalmente, la gestione completamente "smaterializzata" dei documenti fiscali.

Il provvedimento del Ministero dell'economia (sui dettagli del quale torneremo in altra occasione) riprende i criteri delle "regole tecniche per la riproduzione e conservazione di documenti su supporto ottico idoneo a garantire la conformità dei documenti agli originali", la ormai famosa deliberazione AIPA 42/01: il testo che, facendo piazza pulita di tutte le precedenti complicazioni, ha adottato il principio della firma digitale e della marca temporale come strumenti idonei a validare i documenti, assicurandone l'integrità, l'attribuzione e la certezza della data di archiviazione.

 La deliberazione AIPA 42/01, come sappiamo, è in fase di revisione. Questo comporterà, probabilmente, anche qualche modifica al decreto del 23 gennaio. Ma tutto il sistema del documento informatico - che oggi appare abbastanza completo - dovrà subire qualche aggiustamento dopo l'emanazione del "codice" dell'informatica nella pubblica amministrazione, al quale il governo sta lavorando in attuazione della delega contenuta nell'art. 10 della legge di semplificazione per il 2001.

Il codice  dovrebbe coordinare tutto il processo di innovazione in corso nel nostro Paese, che è certamente tra i più avanzati in questo settore. Un primato che trae origine dalle prime regole sulla firma digitale, quelle del '97, che avevamo salutato come l'inizio di una rivoluzione (peccato che la famigerata direttiva europea sulle cosiddette firme elettroniche abbia creato tanti problemi). La firma digitale come strumento idoneo a rendere i documenti informatici  "validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge" è il pilastro sul quale si fondano tutti i successivi progressi, dal protocollo informatico alla posta certificata, fino alla vagheggiata smaterializzazione di tutte le pratiche della pubblica amministrazione.

Si deve riconoscere al ministro Stanca il merito di aver dato un forte impulso a queste innovazioni, proseguendo nel cammino che era stato impostato negli anni precedenti. Ma il suo entusiasmo nel vantare i nostri primati non sempre trova riscontro nell'atteggiamento di chi deve fare i conti giorno per giorno con l'applicazione delle nuove regole, che sconvolgono abitudini inveterate, mettono in crisi posizioni di potere, si scontrano con la cultura della prassi, della carta, dei faldoni e della polvere che vi si accumula per anni e per secoli.

Si può avere un'idea della situazione navigando con occhio critico nel sito del CNIPA www.protocollo.gov.it: iniziativa utile, ma che rivela il numero ancora insufficiente di amministrazioni che hanno adottato o sono pronte ad adottare il nuovo strumento. E un navigatore più curioso può scoprire che le norme di oggi devono ancora fare i conti con il Regio decreto 25 gennaio 1900, n. 35. Nel quale si legge, fra l'altro, che "La carta per la scrittura degli atti sarà di buono impasto, bene incollata e tale da resistere al tempo e conservare nitidamente i caratteri. Sarà di filo quella per le leggi, pei decreti, pei mandati, pei dispacci di maggiore importanza". E ancora "Le pagine del protocollo (modello B) sono stampate, alte centimetri 45, larghe 35, numerate e contrassegnate, prima di essere scritte, da un bollo particolare, custodito da capo dell'amministrazione".

Ecco: fino a quando lo spirito di queste disposizioni aleggerà nei corridoi dei Palazzi, l'abolizione della carta sarà un'utopia. Ma quanta semplicità, quanta chiarezza, nei brevissimi articoli del Regio decreto!
Sperare di recuperare quella essenzialità normativa è oggi molto più difficile che andare avanti sulla strada dell'innovazione...

  

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