Questo articolo è tratto dal saggio "Firma digitale,
efficacia probatoria e atto pubblico", che l'autore mette gentilmente a
disposizione dei lettori di InterLex (qui in formato rtf compresso,
35,64 kB,
completo delle note a pie' di pagina, omesse in questa versione). Si tratta di
un interessante ricognizione su un punto molto discutibile della normativa
attualmente in vigore, che sarà rivista nell'imminente "Codice delle
pubbliche amministrazioni digitali" (vedi Finalmente chiare le norme sull'efficacia
probatoria).
Il documento informatico sottoscritto
Al secondo comma dell'art. 10 del DPR
445/00 il
legislatore prende in considerazione il documento informatico sottoscritto con
firma elettronica. Questa può essere definita come "l'insieme di dati in
forma elettronica, allegati oppure connessi tramite associazione logica ad altri
dati elettronici, utilizzati come metodo di autenticazione informatica". Al di
là della definizione tecnica, per certi versi complessa, la firma elettronica
leggera non è altro che un sistema di identificazione alla base del quale vi è
sempre la crittografia asimmetrica, ma manca una terza parte fidata che
garantisca sia sulla vigenza della validità della coppia di chiavi, sia l'identità
del titolare della stessa. Si accede, quindi, ad un programma di firma, si
genera la coppia di chiavi e da questo momento sarà possibile firmare
elettronicamente qualsiasi documento informatico. È facile immaginare come tale
tipo di firma sia del tutto inefficace a fornire tutte le garanzie necessarie a
dare certezza ai documenti informatici. Nonostante le scarse garanzie fornite da
questo tipo di firma il legislatore ne ha affermato la capacità di soddisfare
il requisito della forma scritta. Una affermazione del genere si discosta
totalmente da ciò che il legislatore del 1997 aveva previsto per questa
materia. La prima organica regolamentazione della materia, infatti, permetteva,
a nostro avviso giustamente, solamente ai documenti informatici sottoscritti con
firma digitale, di soddisfare il requisito della forma scritta.
Anche prima che intervenisse la regolamentazione operata dal
DPR 513/97 la dottrina, ovviamente, non si opponeva al riconoscimento della
validità dei documenti informatici nei casi in cui il legislatore lasciava
libera la scelta in merito alla forma. Ma il legislatore del '97 era andato
oltre poiché, prevedendo che il documento informatico firmato con firma
digitale è equiparato alla scrittura privata (con l'esplicito richiamo alla
disciplina contenuta nell'art. 2702 c.c. ad opera dell'art. 5 DPR 513/97) e
che i contratti stipulati con strumenti informatici o per via telematica
mediante l'uso della firma digitale, sono validi e rilevanti a tutti gli
effetti di legge (art. 11 DPR 513/97), aveva previsto che la forma informatica
che rispettasse determinati requisiti era idonea a soddisfare la forma scritta ad
substantiam.
La mutazione legislativa operata dal legislatore del DLgs 10/02 è di enorme peso all'interno del quadro normativo di riferimento del
documento informatico. Aver stabilito che un documento informatico sottoscritto
con firma elettronica leggera assolve al requisito della forma scritta, implica
che per tutti gli atti per i quali era richiesta la forma scritta ad
substantiam sarà sufficiente l'apposizione di una firma elettronica
debole. Tutto ciò è in contrasto con la ratio della normativa codicistica in
tema di forma degli atti. Questa infatti è improntata alla duplice esigenza, da
un lato, di richiamare l'attenzione del dichiarante sull'importanza dell'atto
che compie; dall'altro quella di predisporre una documentazione per dare
certezza all'atto che si compie. In mancanza della forma prescritta, l'atto
sarà nullo.
La norma del secondo comma stravolge questo sistema dando la possibilità, a un
documento sottoscritto con firma elettronica debole di assolvere al requisito
della forma scritta, anche quando questa è richiesta ad substantiam. Gli
"atti che devono farsi per iscritto" a norma dell'art. 1350 c.c.
potrebbero secondo il nuovo assetto normativo, essere fatti attraverso documenti
informatici per loro natura insicuri.
A questo punto si deve indagare su quale sia il valore
probatorio del documento informatico previsto dal secondo comma dell'art. 10 del
DPR 445/00. Visti i presupposti sarebbe naturale pensare che il documento
informatico sottoscritto con una firma debole abbia la efficacia probatoria
della scrittura privata. Invece, da una parte, si dice che il documento
informatico soddisfa il requisito della forma scritta e dall'altra, esso, non
sarebbe considerato sotto il profilo probatorio come una scrittura privata ma
semplicemente rimessa al libero apprezzamento del giudice.
Il documento informatico sottoscritto, sia pure con una firma
elettronica debole, è comunque un documento informatico al quale dovrebbe
applicarsi il primo comma dell'articolo 10 che espressamente richiama l'art.
2712 del codice civile. A norma di questo articolo il giudice è tenuto a considerare
veri i fatti e le cose rappresentate in un documento informatico, salvo che
colui contro il quale il documento è prodotto non ne disconosca la conformità
ai fatti e alle cose medesime. Se ciò è valido per un documento informatico
non sottoscritto a maggior ragione lo sarà per un documento sottoscritto. Il
documento non sottoscritto, infatti, dovrebbe essere un minus rispetto ad
uno sottoscritto.
Questa anomalia, a nostro modestissimo avviso, oltre a
generare incertezze in un campo di per sé complesso, rischia di inficiare tutte
le infinite possibilità che una rivoluzione digitale del documento può
offrirci.
Il terzo comma regola il documento informatico quando questo
è sottoscritto con una firma digitale "o con un altro tipo di firma
elettronica avanzata". Questo fa piena prova fino a querela di falso, della
provenienza delle dichiarazioni di chi l'ha sottoscritto. Il vecchio testo
richiamava esplicitamente l'art. 2702 c.c. e, quindi la intera normativa
relativa alla scrittura privata. La modifica apportata dal legislatore ha una
portata non indifferente, poiché il richiamo operato sembra ricondurre alla
fattispecie probatoria dell'atto pubblico o almeno alla scrittura privata
autenticata. La disciplina della scrittura privata, difatti, si applica quando
la sottoscrizione è riconosciuta o se può essere legalmente considerata come
riconosciuta. Nulla di tutto questo è richiamato nel citato articolo 10. Avere
invece previsto che il documento informatico fa piena prova sino a querela di
falso ci porta a pensare che le garanzie che circondano la procedura di
certificazione della firma digitale abbiano, in qualche modo, condotto il
legislatore a considerare che il documento informatico firmato digitalmente
abbia la stessa efficacia probatoria di una scrittura privata autenticata.
Questa impostazione sembra però essere smentita dal
successivo articolo 24 che prevede, appunto, l'autenticazione della firma
digitale per opera di un notaio o di altro pubblico ufficiale autorizzato. Non
comprendiamo le ragioni, che peraltro sembrano essere del tutto assenti, di una
siffatta impostazione, ma non possiamo nemmeno ignorare l'intervento del
legislatore del 2002 che ha eliminato l'esplicito richiamo alla disciplina
della scrittura privata. Ancora una volta, dobbiamo purtroppo constatare, la
confusione regna sovrana in una materia di importanza fondamentale e per il
diritto e per i processi della pubblica amministrazione. "La materia è
estremamente complessa, e solo una coraggiosa riorganizzazione della materia,
potrebbe ristabilire una coerente gradazione del valore probatorio dei documenti
informatici; un quadro normativo che permetta, dopo una lunga e travagliata
strada, di avviare il processo di attuazione operativa del sistema stesso della
sottoscrizione elettronica".
Riconoscimento, verificazione e querela di falso nel
documento informatico sottoscritto con firma digitale
A questo punto è necessario indagare circa la
configurabilità e le eventuali modificazioni che subiscono questi importanti
istituti del diritto processuale.
Con l'istituto del riconoscimento, da parte di colui nei cui confronti la
scrittura è prodotta in giudizio., a norma dell'art. 2702 del codice civile,
la scrittura privata acquista la efficacia di piena prova.
In estrema sintesi, attraverso la dichiarazione di autenticità della firma, il
sottoscrittore assume la paternità della dichiarazioni contenute nel documento
stesso. Se la parte dichiarerà che la firma è la propria, si avrà un
riconoscimento espresso; se si limiterà semplicemente a "non disconoscere"
la propria sottoscrizione, saremo in presenza di un riconoscimento tacito.
Viceversa il contrapposto istituto del disconoscimento
prevede che la parte contro cui il documento è prodotto ha l'onere di
disconoscere, espressamente, una sottoscrizione che non riconosce come propria.
Infatti la legge prevede che la scrittura privata, fatta valere nel processo, si
ha per riconosciuta in caso di contumacia o se la parte comparsa non la
disconosce nella prima udienza o nella prima risposta successiva alla produzione
(art. 215 cod. pr. civ.). Da ciò ne deriva che l'omesso disconoscimento da
parte di colui contro il quale il documento è prodotto, genera il medesimo
effetto giuridico del riconoscimento del documento.
Infine, secondo la lettera del codice del '42, la sottoscrizione è
considerata legalmente come riconosciuta, producendo gli effetti che abbiamo
descritto sopra, quando è stata autenticata da un notaio o da un altro pubblico
ufficiale a ciò autorizzato nelle forme prescritte dalla legge stessa (art.
2703 codice civile).
Le disposizioni sulla prova documentale prevedono la
possibilità, nel caso di disconoscimento formale della sottoscrizione, per la
parte che ha interesse alla prova di proporre un giudizio di verificazione della
scrittura. Con tale istanza sarà possibile verificare, appunto, la provenienza
della sottoscrizione vergata sul documento.
Il giudizio di verificazione, così come è descritto dal codice, si risolve in
un accertamento dell'autenticità della scrittura. In forza dell'articolo
216 codice di procedura civile, la parte che chiede la verificazione, ha l'onere
di proporre i mezzi di prova che ritiene utili.
Concludendo, è possibile dire che la scrittura privata acquista la efficacia di
piena prova al verificarsi, alternativamente, di quattro possibilità. Si ha,
infatti l'efficacia di piena prova, descritta dall'articolo 2702 codice
civile
- Nel caso in cui la persona che risulta avere sottoscritto riconosce la
sottoscrizione.
- Nel caso in cui si ricade nella fattispecie del riconoscimento tacito, cioè
quando colui contro il quale il documento è opposto non disconosce formalmente
la sottoscrizione entro i termini previsti dalla legge.
- Nel caso in cui il riconoscimento, in questo caso legale, si ottiene attraverso
l'autenticazione della sottoscrizione da parte di un notaio o di un altro
pubblico ufficiale a ciò autorizzato (art. 2703 cod. civ.).
- Infine nel caso in cui a seguito del disconoscimento di una parte, l'altra
proponga un giudizio di verificazione, alla decisione del quale è attribuita a
piena efficacia probatoria della scrittura.
Qualora una di queste quattro ipotesi venga in essere, la dignità di piena
prova del documento può essere smentita soltanto attraverso un particolare
procedimento: il giudizio di falso.
La scrittura privata informatica era sottoposta alle medesime
regole descritte dall'articolo 2702 cod. civ. (art. 5 DPR 513/1997). Quindi,
sotto il profilo del valore da attribuire al documento all'interno del
processo, anche il documento informatico sottoscritto con firma digitale era
sottoponibile agli istituti appena descritti (riconoscimento, verificazione e,
infine, querela di falso).
A ben guardare, però, le modalità tecniche della firma digitale, ed in
particolare del procedimento di verifica della scrittura, viene a crollare tutto
l'impianto del legislatore del '42, producendo ovviamente conseguenze sugli
istituti sopra descritti.
Come conciliare, allora, la firma digitale che per sua stessa
natura impedirebbe il disconoscimento e costringerebbe comunque ad un giudizio
di verificazione, con la disciplina contenuta nel codice?
Il legislatore nella ultima stesura del terzo comma dell'articolo 10 del testo
unico, sembrerebbe avere segnato definitivamente la conclusione di quel disegno
di simmetria che aveva ricercato nel regolare la materia del documento
informatico. Difatti non richiama più per intero l'articolo 2702 del codice
civile al fine di regolare la nuova fattispecie informatica; il legislatore si
limita a dire che tale nuovo tipo di documento fa piena prova fino a querela di
falso.
A tal proposito c'è chi considera la firma digitale come
un radicale cambiamento rispetto al vecchio sistema di imputazione degli atti
giuridici. Difatti, per tale filone interpretativo, il documento informatico
firmato digitalmente impedirebbe, per sua stessa natura disconoscimento della
sottoscrizione digitale, quindi non potrebbe essere messa in discussione,
attraverso l'atteggiamento della parte contro cui il documento è proposto, l'autenticità
del documento. Secondo questo orientamento, è sufficiente l'uso della chiave
segreta, necessario per apporre la firma giudizio di verificazione, giudizio di
verificazione a vincolare il titolare della coppia di chiavi, il quale per
evitare gli effetti giuridici derivanti dall'uso della firma dovrà dimostrare
di non essere il soggetto che fisicamente ha firmato il documento; questo sarà
possibile solo attraverso una querela di falso.
In conclusione, il documento informatico sottoscritto con firma digitale fa
piena prova, fino a dimostrazione di un abusivo utilizzo della chiave privata da
parte di terzi, senza che colui contro il quale la dichiarazione è invocata
riconosca la sottoscrizione, e senza quindi la necessità che chi la invoca la
faccia verificare, quantomeno nella tradizionale accezione che si dà a questo
istituto.
La strada percorsa dal legislatore italiano è sempre stata
quella della ricerca di una certa simmetria tra le regole del documento cartaceo
e quello informatico; questa strada si è interrotta con la novella operata dal
decreto legislativo 10/02. Il nuovo testo afferma che il documento informatico
sottoscritto con firma digitale fa piena prova sino a querela di falso. Le
caratteristiche intrinseche del documento informatico sottoscritto con firma
digitale hanno portato il legislatore a trattare e regolare in maniera
differente due fattispecie (il documento cartaceo e il documento informatico)
che sicuramente hanno il medesimo scopo (docere), ma lo raggiungono
attraverso strade distinte. Così come le caratteristiche e le modalità, anche
i procedimenti, volti ad accertare l'autenticità del documento e della
dichiarazione, raggiungono il risultato attraverso schemi tra loro diversi. Il
riconoscimento, la verificazione e la querela di falso non perdono la funzione
originaria, ma si svolgono secondo modalità diverse a seconda che sia oggetto
del loro esame un documento cartaceo ovvero un documento informatico.
Per chiarezza e completezza si rende necessaria una importante precisazione.
E' vero che la scrittura privata digitale, all'interno del processo acquista
peculiarità che la distinguono dall'equivalente cartaceo. Il legislatore, dal
canto suo, ha, giustamente, individuato tali differenze, ma ha, de facto,
equiparato la scrittura privata digitale ad un atto pubblico. In nessun caso si
dovrà giungere a tali conclusioni aberranti. Più che in qualsiasi altro
aspetto della materia, il legislatore italiano sarà chiamato ad un compito
molto importante e delicato, nel regolare il valore probatorio del documento
informatico nei sui molteplici aspetti.
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