Il rischio di travolgere certezze giuridiche e
informatiche
di Guido Scorza - 03.07.03
Il decreto del Presidente della Repubblica 7 aprile 2003, n.137 avrebbe
dovuto costituire l'ultima tessera - o forse la penultima, in attesa dell'ormai
prossima approvazione delle regole tecniche - di quel complesso mosaico
faticosamente assemblato dal Palazzo nel corso degli ultimi sei anni in
materia di documento informatico e firme elettroniche.
Oggi, dunque, dovremmo poter salutare con soddisfazione l'ormai raggiunta
piena attuazione del principio dell'equiparazione del documento informatico
a quello cartaceo sancito, per la prima volta, in Italia, attraverso la legge
15 marzo 1997, n. 59.
Tuttavia - come emerso anche nel corso del recente convegno sul diritto
amministrativo elettronico svoltosi a Catania il 27 e 28 giugno scorsi - sussistono diverse ragioni per
ritenere che il legislatore abbia mancato l'obbiettivo e che, pertanto, il
processo di equiparazione cartaceo-digitale non possa dirsi ancora
compiutamente realizzato.
L'assetto normativo dato alla materia, infatti, appare, non sempre
pienamente rispettoso dei diversi ruoli e funzioni attribuiti nel sistema
tradizionale alla "forma scritta" ed alla "sottoscrizione
autografa": la prima baluardo - benché non assoluto - dell'integrità
ed inalterabilità del contenuto di un documento e la seconda, garanzia -
anche in questo caso solo relativa - dell'imputabilità di un determinato
contenuto ad un certo soggetto.
Nel quadro normativo previgente l'ottenimento di tali risultati veniva
perseguito facendo affidamento da un lato sulla constatazione che il supporto
cartaceo sia idoneo, per sua natura, a rivelare i segni di ogni eventuale
alterazione (integrità del documento) e dall'altro sulla possibilità -
grazie alla grafologia - di ricollegare in maniera univoca la sottoscrizione
autografa al suo titolare.
Ciò che, dunque, il legislatore avrebbe dovuto fare è, semplicemente,
sostituire a tali strumenti tradizionali (supporto cartaceo e sottoscrizione
autografa) i nuovi strumenti informatici e telematici senza, ovviamente,
alterare l'equilibrio e la tenuta del sistema.
L'esame di alcune disposizioni contenute nella versione aggiornata del testo
unico in materia di documentazione amministrativa, rivela, tuttavia, che tale
operazione non sempre è riuscita.
1. Ai sensi del combinato disposto degli art.
1, lett.b e 10 del DPR
445/2000, il documento informatico, da intendersi come "la
rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti.
ha
l'efficacia probatoria prevista dall'articolo 2712 del codice civile, riguardo
ai fatti ed alle cose rappresentate".
Per effetto del richiamo all'art. 2712 c.c., dunque, il legislatore ha
inteso equiparare il documento informatico privo di qualsivoglia genere di
firma elettronica alle "riproduzioni fotografiche o cinematografiche, le
registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica
di fatti o di cose" che a norma della richiamata disposizione formano -
nel nostro ordinamento - "piena prova dei fatti e delle cose
rappresentate se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la
conformità ai fatti o alle cose medesime".
Sul punto l'equiparazione del legislatore appare, nel complesso,
condivisibile.
Il documento informatico, infatti, viene equiparato a strumenti meccanici del
passato la cui efficacia giuridica - peraltro di scarso rilievo - già nel
regime tradizionale prescindeva completamente dalla sottoscrizione ed era
piuttosto ricollegata alla materialità dei supporti magnetici e meccanici.
D'altra parte la giurisprudenza, già nel vigore dell'originario testo del
DPR 10 novembre 1997, n. 513 - che in relazione a tale aspetto corrispondeva
integralmente a quello risultato dagli ultimi sei anni di elaborazione
normativa - aveva chiarito che "i dati forniti da un sistema
computerizzato di rilevazione e documentazione (documenti informatici non
sottoscritti elettronicamente n.d.r.) possono costituire ai sensi dell'art.
2712 c.c. e dell'art. 5, comma 2, D.P.R. 10 novembre 1997, n. 513 (oggi art.
10, comma 1 del DPR 445/2000 n.d.r.), prova del fatto contestato, ove sia
accertata la funzionalità del sistema informatico e le risultanze di esso
possano assurgere a prova presuntiva congiuntamente a circostanze esterne ad
esso, altrimenti provate" (Cass. 6 settembre 2001, n. 11445).
Al riguardo potrebbe semmai discutersi dell'equiparabilità delle
caratteristiche ontologiche dei prodotti e strumenti di cui all'art. 2712
c.c. con quelle dei documenti informatici: materialità e
corporeità contro immaterialità e volatilità.
2. A norma del combinato disposto degli artt. 1, lett. cc) e 10, comma
2 del DPR 445/2000 "il documento informatico, sottoscritto con firma
elettronica (n.d.r. da intendersi come l'insieme dei dati in forma
elettronica, allegati oppure connessi tramite associazione logica ad altri
dati elettronici, utilizzati come metodo di autentificazione informatica)
soddisfa il requisito legale della forma scritta. Sul piano probatorio il
documento stesso è liberamente valutabile, tenuto conto delle sue
caratteristiche oggettive di qualità e sicurezza. Esso inoltre soddisfa
l'obbligo previsto dagli articoli 2214 e seguenti del codice civile e da ogni
altra analoga disposizione legislativa o regolamentare".
Cercando di riassumere e prescindendo dalla pessima definizione di
"firma elettronica" (M. Cammarata, Sparita l'equivalenza tra firma
autografa e digitale!), il legislatore ha dunque inteso riconoscere al
documento informatico sottoscritto elettronicamente e, dunque, con un
qualsiasi metodo di "validazione" - quale, ad esempio, l'utilizzo
del numero di carta di credito - la natura di forma scritta tradizionalmente
propria delle rappresentazioni di atti e fatti su supporto cartaceo.
Tale scelta del legislatore non può essere condivisa e costituisce un
elemento di forte rottura ed incoerenza rispetto al quadro normativo di
riferimento.
Il regime e l'efficacia giuridica dei documenti predisposti "in
forma scritta" o "per iscritto" nel nostro ordinamento è,
infatti, inscindibilmente connesso alla materialità del supporto cartaceo ed
alla constatazione secondo cui detta tipologia di supporto è idonea a
rivelare i segni di eventuali alterazioni del contenuto del documento,
consentendo così di fare legittimo affidamento sulla circostanza che tra il
momento di predisposizione del documento stesso e quello successivo in cui si
rende necessario utilizzarlo il suo contenuto sia rimasto inalterato.
La forma scritta - da tener ben distinta dalla "scrittura
privata" -, dunque, viene generalmente richiesta dal legislatore in
relazione a tutta una serie di circostanze in cui risulta utile cristallizzare
nel tempo determinati atti e fatti a garanzia dei diritti di una o entrambe le
parti in taluni rapporti commerciali.
In relazione alle scritture contabili di cui all'art. 2214 c.c., cui si fa
riferimento nella disposizione in commento, ad esempio, il legislatore non
richiede, ai fini della loro conservazione, alcuna sottoscrizione, limitandosi
a prevedere che esse debbono essere tenute per iscritto e vidimate ad opera di
un terzo (l'ufficio del registro delle imprese o il notaio cfr. art. 2215
c.c.).
Se, dunque, l'unica effettiva ratio che nelle diverse disposizioni
di legge che richiedono la forma scritta sta nella volontà di garantire alle
diverse parti coinvolte in ogni rapporto giuridico un legittimo affidamento
sull'integrità ed inalterabilità del o dei documenti relativi a detto
rapporto, non si vede quale utilità, al riguardo, possa essere ricollegata
all'utilizzo di qualsivoglia genere di firma elettronica sia essa semplice,
forte, debole, qualificata o avanzata.
Il problema al riguardo non concerne il parallelo tracciato da Cammarata
nell'articolo citato, tra firma elettronica e firma autografa ma, piuttosto,
la pretesa - priva di ogni fondamento - del legislatore di sostituire le
garanzie offerte nel sistema tradizionale dalla durevolezza ed inalterabilità
del supporto cartaceo con quelle - aventi diversa natura e funzioni - offerte
dalla sottoscrizione elettronica apposta dal predisponente il documento
stesso.
Il testo definitivo della disposizione adottata dal legislatore è pieno di
incongruenze e, purtroppo, andrà necessariamente modificato per evitare che
ai danni già prodotti da ritardi ed incompetenze nel corso dell'elaborazione
del quadro normativo in materia di documento informatico e firma elettronica
si vada ad aggiungere anche la beffa di disporre di strumenti incompatibili
con decine e decine di altre previsioni del nostro ordinamento.
Prima di proporre suggerimenti e prescrivere ricette, tuttavia, occorre
fermarsi a riflettere e studiare a fondo l'intero ambito dei rapporti civili
ed amministrativi coinvolti dalla rivoluzione copernicana in atto.
La ragione per la quale la semplice sostituzione al riferimento alle
"firme elettroniche" di quello alla "firma digitale" o
altra firma elettronica avanzata sarebbe del tutto inutile, può essere
spiegata in poche righe.
Laddove il legislatore ha richiesto la forma scritta (o la forma scritta e
la vidimazione come nel caso delle scritture contabili) lo ha fatto, come si
è detto, preoccupato di garantire l'integrità ed inalterabilità di
determinati documenti ad opera di chiunque e, dunque, anche ad opera del
predisponente il documento stesso.
In tale contesto detto intervento non sarebbe risolutivo in quanto il
predisponente - in possesso della chiave privata della propria firma digitale
e/o avanzata - potrebbe sempre modificare a suo piacimento il documento stesso
con buona pace delle garanzie di integrità ed inalterabilità perseguite dal
legislatore.
Il punto merita, per questo, più attenta valutazione ma, può sin d'ora
ritenersi che la soluzione non possa e non debba essere ricercata nella sottoscrizione
elettronica.
Potrebbe, forse, ipotizzarsi un sistema di validazione telematica ad opera di
un terzo, meglio se soggetto pubblico, come, per esempio, la marca temporale.
3. Il comma III, dell'art. 10 del D.P.R. 445/2000 dispone che
"il documento informatico, quando è sottoscritto con firma digitale o
con un altro tipo di firma elettronica avanzata, e la firma è basata su di un
certificato qualificato ed è generata mediante un dispositivo per la
creazione di una firma sicura, fa inoltre piena prova, fino a querela di
falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritto".
La disposizione ricollega, in sostanza, al documento informatico, sottoscritto
con firma digitale o elettronica avanza, la più forte "gradazione"
di efficacia giuridica esistente nel nostro ordinamento, ovvero quella
riservata alla scrittura privata con sottoscrizione autografa riconosciuta
o legalmente considerata come riconosciuta perché autenticata da un
pubblico ufficiale o, piuttosto, risultata autentica all'esito di un
procedimento di verificazione o di querela di falso.
Anche a prescindere dai connotati sui generis che verrebbe ad
assumere il procedimento di querela di falso qualora avente ad oggetto una
sottoscrizione digitale o elettronica avanzata, la previsione normativa in
commento non appare condivisibile, evidenziando macroscopici limiti ed
elementi di debolezza del sistema.
Ne sottolineo due su tutti, sui quali, peraltro, mi è parso di scorgere una
sostanziale identità di vedute - sebbene nelle ovvie diverse sfumature - tra
i diversi addetti ai lavori presenti al Convegno nazionale sul diritto
amministrativo elettronico di Catania:
a) il sistema di firma digitale disciplinato dal quadro normativo in
commento - contrariamente a quanto stabilito al comma 3 dell'art. 10 del
DPR 445/2000 - non consente di pervenire ad una sufficientemente forte
certezza circa la provenienza del documento dal titolare della firma digitale
attraverso la quale il documento stesso risulta sottoscritto. L'unico
elemento che tale sistema è idoneo a provare con un ragionevole grado di
certezza è la circostanza che il documento sia stato "sottoscritto"
con una determinata firma digitale o avanzata e che, pertanto, il
"sottoscrittore" disponesse del relativo dispositivo di firma.
Prima di affidare la certezza del diritto nei rapporti tra privati e tra
questi ultimi e pubblica amministrazione ad una presunzione di costante
disponibilità del dispositivo di firma da parte del suo titolare, sarebbe
tuttavia opportuno verificare che non sussistano né strumenti informatici né
giuridici per aumentare il grado di certezza ottenibile o ridurre l'intensità
dell'efficacia giuridica ricollegata alla sottoscrizione con firma digitale.
Penso, ad esempio, all'utilizzo di chiavi biometriche quale strumento di
attivazione del dispositivo di firma.
b) Ai sensi del comma 2, lett. a) dell'art. 29 bis del D.P.R. 445/2000,
il certificatore ha, tra l'altro, l'obbligo di "identificare con
certezza la persona che fa richiesta della certificazione".
Nessuna ulteriore disposizione - almeno ad oggi - si preoccupa di limitare la
discrezionalità con la quale il certificatore - soggetto privato e non già
pubblico come sarebbe stato forse lecito attendersi vista la rilevanza delle
funzioni ad esso attribuite - può e deve procedere all'identificazione.
In tale contesto si corre il rischio che il certificatore finisca con
l'attribuire ad un soggetto un'identità digitale che "fa piena prova
fino a querela di falso" sulla base di una procedura che - benché
approvata dal DIT nell'esame del manuale operativo - non offra garanzie equiparabili a quelle caratteristiche
delle scritture private autenticate o, comunque, "riconosciute" o
"verificate" a norma degli artt. 215 e 216 c.p.c.
Occorrerebbe intervenire con urgenza sul punto per garantire - pur a
prescindere dalle perplessità sottolineate alla lettera a) - che vi sia un
collegamento univoco e "sicuro" tra l'identità contenuta nel
dispositivo di firma e quella del soggetto che ha chiesto ed ottenuto tale
dispositivo.
Quelli che precedono sono, dunque, solo spunti di riflessione sui quali
potrebbe essere opportuno confrontarsi, anche nella consapevolezza che, domani
mattina, le firme digitali e le smart card che le contengono saranno in
circolazione in un Paese con un bassissimo livello di alfabetizzazione
informatica e che, quindi, il fiume in piena del progresso tecnologico che le
ha prodotte - se non opportunamente arginato da un quadro normativo solido e
chiaro - rischia di travolgere certezze e sicurezze giuridiche ed
informatiche.
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