Sparita l'equivalenza tra firma
autografa e digitale!
di Manlio Cammarata - 26.06.03Innovazione al contrario: sono state sconvolte
o cancellate le norme essenziali sulla firma digitale.
Nel 1997 il legislatore italiano, primo al mondo, aveva sancito con l'art.
15, c. 2 della legge 59/97 la validità e rilevanza del documento
informatico "a tutti gli effetti di legge". Due articoli del
regolamento applicativo, il DPR 513/97
(che disciplinava solo la firma digitale "sicura") sancivano in modo
inequivocabile l'equivalenza del documento informatico al documento cartaceo.
Ora, dopo il recepimento della direttiva 1999/93/CE,
operato con il DLgv 10/02, e con il recentissimo DPR 137/03,
questi due pilastri sono crollati. Vediamo perché partendo dalla prima delle
due disposizioni:
DPR 513/97, art. 4
1. Il documento informatico munito dei requisiti previsti dal presente
regolamento soddisfa il requisito legale della forma scritta.
La disposizione era stata ripresa senza cambiamenti sostanziali nella prima
versione del testo unico sulla documentazione amministrativa:
DPR 445/00, art. 10 - vecchio testo
1. Il documento informatico sottoscritto con firma digitale, redatto in
conformità alle regole tecniche di cui all'articolo 8, comma 2 e per le
pubbliche amministrazioni, anche di quelle di cui all'articolo 9, comma 4,
soddisfa il requisito legale della forma scritta [...]
"I requisiti previsti dal presente regolamento" della prima
versione (e, con una formulazione diversa, nella seconda) consistevano in
sostanza nell'apposizione della firma digitale certificata da un certificatore
iscritto nell'elenco pubblico e generata con il "dispositivo di
firma": quella che oggi dovrebbe corrispondere alla "firma
elettronica avanzata - o qualificata? - basata su un certificato
qualificato e generata mediante un dispositivo per la creazione di una firma
sicura", secondo le intricate disposizioni comunitarie.
L'art. 6 del DLgv 10/02 ha cambiato
la norma, che ora suona così:
DPR 445/00, art. 10 - nuovo testo
2. Il documento informatico, sottoscritto con firma elettronica, soddisfa
il requisito legale della forma scritta.
Con questa modifica (non richiesta dalla direttiva europea) qualsiasi firma elettronica, anche quella
certificata da nessuno, né "qualificata" né "avanzata",
dovrebbe equivalere alla firma autografa. Il che appare contrario a
qualsiasi logica, oltre che incostituzionale per vizio di delega (vedi La Costituzione, la delega e
le "disarmonie" del testo di Daniele Coliva).
Tralasciamo, in questa sede, le questioni sul valore probatorio, di cui ci
siamo occupati più volte (vedi Lo schema governativo
stravolge il processo civile di Gianni Buonomo).
Passiamo al secondo "pilastro" dell'edificio della firma digitale
come era stata costruito dal legislatore del '97:
DPR 513/97, art. 10
2. L'apposizione o
l'associazione della firma digitale al documento informatico equivale alla
sottoscrizione prevista per gli atti e documenti in forma scritta su supporto
cartaceo.
La disposizione, che riassumeva il fondamento stesso della firma digitale,
era stata ripresa tale e quale nell'art. 23,
c. 2 del TU. Ma con l'art. 9 del DPR
137/03 (che entra in vigore fra pochi giorni). l'art. 23 del TU è stato
completamente riscritto e la norma è sparita.
A questo punto è forte la tentazione di smettere per sempre di occuparsi
di questa materia. Viene infatti il sospetto che con l'abolizione di questa
norma, e con lo svuotamento sostanziale di quella che abbiamo esaminato prima,
si sia voluto semplicemente abrogare il pieno valore legale del documento
informatico.
Ma siccome la firma digitale è un argomento
troppo importante per abbandonarlo nelle mani del legislatore, è utile andare
avanti e tentare di capire almeno di che cosa stiamo parlando. Un primo,
prudente tentativo, dal momento che mancano ancora le regole tecniche riferite al
nuovo testo unico (ma la loro pubblicazione dovrebbe essere questione di
giorni, perché il decreto del '99 contiene molte disposizioni in contrasto
col nuovo sistema).
Partiamo da una domanda elementare e apparentemente inutile, soprattutto
dopo le spiegazioni ottenute nell'intervista a
Enrico De Giovanni, responsabile dell'ufficio legislativo del Dipartimento
per l'innovazione: che cos'è la firma digitale?
Risponde la nuova definizione, contenuta nell'art. 1, c. 1, n): è un particolare tipo di firma elettronica qualificata
basata su un sistema di chiavi asimmetriche a coppia, una pubblica e una
privata, che consente al titolare tramite la chiave privata e al destinatario
tramite la chiave pubblica, rispettivamente, di rendere manifesta e di
verificare la provenienza e l'integrità di un documento informatico o di un
insieme di documenti informatici.
C'è di che restare perplessi, perché qualsiasi firma elettronica serve a
"rendere manifesta e a verificare" la provenienza e l'integrità di
un documento informatico. Dunque non si comprende in che cosa la firma
digitale sarebbe diversa dalle varie firme elettroniche, tanto più che la
definizione non comprende alcun riferimento a caratteristiche specifiche, come
il livello di attendibilità.
Vediamo se si capisce qualcosa dal combinato disposto delle altre
definizioni. Che cos'è la firma elettronica qualificata di cui la firma
digitale costituisce, secondo la norma citata, una particolare species?
Partiamo dalla definizione della firma elettronica generica, definita dall'
art. 1, c. 1, cc): l'insieme dei dati in forma
elettronica, allegati oppure connessi tramite associazione logica ad altri
dati elettronici, utilizzati come metodo di autentificazione informatica.
Fermi tutti, c'è qualcosa che non va. Il termine "autentificazione"
non corrisponde ad alcun istituto contemplato da nostro ordinamento giuridico.
La parola non esiste nemmeno sui vocabolari della lingua italiana. E allora?
Con ogni evidenza, il legislatore ha tenuto conto delle nostre ripetute
osservazioni sull'uso erroneo della parola "autenticazione"
(presente sia nel DLgv 10/02, sia nello schema dell'ultimo decreto, approvato dal Governo il 31
gennaio) come traduzione dell'inglese authentication della
direttiva. Ma nella versione definitiva, invece di usare il termine "validazione",
già presente con questo significato nel DPR 513/97, si è inventato l'assurdo "autentificazione".
Che, non essendo presente nell'ordinamento e sconosciuto nei dizionari, a
stretto rigore non ha un "significato proprio".
Nelle "Disposizioni sulla legge in
generale" che aprono il codice civile all'art. 12 si legge:
Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello
fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di
esse, e dalla intenzione del legislatore.
L'intenzione del legislatore, secondo buon senso e nel contesto della
normativa, doveva essere quella di dire che la firma elettronica serve per la
"validazione": in questo senso interpreteremo d'ora in poi la
stravagante "autentificazione" del testo.
Andiamo avanti e troviamo la "firma elettronica avanzata", all'art.
1, c. 1, dd): la firma elettronica ottenuta
attraverso una procedura informatica che garantisce la connessione univoca al
firmatario e la sua univoca identificazione, creata con mezzi sui quali il
firmatario può conservare un controllo esclusivo e collegata ai dati ai quali
si riferisce in modo da consentire di rilevare se i dati stessi siano stati
successivamente modificati.
Siamo al cospetto di una più completa definizione della firma
digitale-elettronica: niente di nuovo. Proviamo con la definizione successiva,
quella di "firma elettronica qualificata", all'art. 1, 1, ee): la firma elettronica avanzata che sia basata
su un certificato qualificato e creata mediante un dispositivo sicuro per la
creazione della firma.
Eureka! Abbiamo una definizione che corrisponde alla sostanza della nostra
vecchia, cara firma digitale del 1997. Ma rimane un grave dubbio: la definizione di "firma digitale",
che abbiamo visto poco fa, parla di un particolare tipo di firma elettronica qualificata
- dunque ci sarebbero altri tipi di firme elettroniche qualificate - basata su un sistema di chiavi asimmetriche a
coppia una pubblica e una privata - ecco l'ipotesi di firme
elettroniche non basate sulla crittografia a chiavi asimmetriche - che consente al titolare tramite la chiave privata e al destinatario
tramite la chiave pubblica, rispettivamente, di rendere manifesta e di
verificare la provenienza e l'integrità di un documento informatico o di un
insieme di documenti informatici - cioè ci sarebbero firme elettroniche
qualificate che non servono a rendere manifesta e a verificare la provenienza
e l'identità di un documento informatico o di un insieme di documenti
informatici.
Suppongo che qualche lettore, particolarmente interessato, rileggerà più
volte i paragrafi precedenti, nel tentativo di scoprire l'errore nel mio
ragionamento. Gli sarà grato se vorrà segnalarmelo, perché a me sembra di
aver semplicemente ordinato le diverse disposizioni in una successione logica,
che lascia i dubbi che ho descritto: non è chiaro, in particolare, se si
debba usare la "firma digitale" o se basti una "firma
elettronica qualificata" (visto che la prima è classificata come una species
della seconda) per sottoscrivere un documento informatico valido e rilevante a
tutti gli effetti di legge. In altri termini, quale firma elettronica possa
essere considerata equivalente alla firma autografa. Sempre che questa
equivalenza esista ancora.
Le altre rinnovate disposizioni del TU non aiutano a capire, anzi aumentano
i dubbi. Vediamo infatti che il certificato delle chiavi di sottoscrizione deve essere sottoscritto dal
certificatore con firma "avanzata" (art.
27-bis, c. 1, g); mentre
occorre la firma "qualificata" dei depositari pubblici e dei
pubblici ufficiali che rilasciano o spediscono documenti informatici
contenenti copia o riproduzione di atti pubblici, scritture private eccetera
(art. 20, c. 2).
In quest'ultima disposizione l'espressione "firma qualificata"
sostituisce la precedente "firma digitale", ma in diversi altri
passaggi del testo la firma digitale resta, sicché resta anche il dubbio se
le disposizioni generali sulla
firma digitale contenute nell'art. 23 si applichino anche alla firma
elettronica qualificata.
E nello stesso art. 23, dove si parla sempre di "firma digitale" ,
il comma 3 torna alla menzione della "firma elettronica" (senza
specificazioni) per dire che equivale a mancata sottoscrizione quella basata su
un certificato revocato, scaduto o sospeso". Quale firma? Quali
effetti? Se si parla di firma elettronica tout court, non si vede quale
rilevanza possa avere l'eventuale invalidità di un certificato di cui nessuna
norma prevede requisiti, scadenze o altre caratteristiche. Se aggiungiamo la
già citata sparizione del
vecchio comma 2 (L'apposizione o
l'associazione della firma digitale al documento informatico equivale alla
sottoscrizione prevista per gli atti e documenti in forma scritta su supporto
cartaceo), ci troviamo nella confusione più totale.
Un'altra misteriosa sparizione è quella del deposito della chiave
privata, previsto dal precedente art. 26, ora dedicato a un altro argomento. Era
una previsione significativa, perché sanciva l'importanza della totale segretezza della
chiave privata. La soppressione fa sospettare future ipotesi di key escrow o di
altre forme di "consegna" a terzi della chiave privata. Si deve
ricordare che la previsione della custodia della chiave privata da parte del
notaio, presente nella bozza del '96, era stata duramente criticata e quindi
eliminata nel DPR 513/97 (vedi "Key escrow", una questione
molto delicata).
Concludiamo, per il momento, segnalando un'altro passaggio scomparso: nell'art.
22, c. 1, b) non c'è più la previsione dell'uso delle chiavi di
cifratura per la crittografia, oltre che per la sottoscrizione. Bene: per la eventuale cifratura dei documenti informatici è meglio usare una
coppia di chiavi diverse o una "chiave di trasporto", che rende anche più
rapide le operazioni di cifratura e decifratura.
Ancora un aspetto positivo: la fondamentale regola secondo la quale il software
deve presentare chiaramente e senza ambiguità i dati da firmare o
da verificare è stata "promossa" dalle regole tecniche al
regolamento. Qualche certificatore chiedeva una modifica normativa per il
software che non rispetta questa disposizione: è servito.
|