Il diritto non arranca, ma la
tecnologia è più avanti
di Manlio Cammarata - 16.04.99
Con la pubblicazione del decreto
del Presidente del Consiglio dei Ministri 8 febbraio 1999
"Regole tecniche per la formazione, la trasmissione, la conservazione, la
duplicazione, la riproduzione e la validazione, anche temporale, dei documenti
informatici ai sensi dell'articolo 3, comma 1, del Decreto del
Presidente della Repubblica, 10 novembre 1997, n. 513" si conclude la
prima fase di un'evoluzione - anzi di una vera rivoluzione - destinata a
incidere profondamente sul mondo del diritto, delle imprese e della pubblica
amministrazione.
Non dobbiamo illuderci che, messa a punto la prima normativa, la rivoluzione
possa spiegare i suoi effetti in breve tempo. Ci saranno molti ostacoli e anche
qualche tentativo di "restaurazione". Le resistenze si sono già
manifestate, determinate sia dalla mentalità conservatrice e misoneista di una
parte non trascurabile del mondo del diritto, sia dalla difesa di interessi
particolari quanto diffusi, sia dalla vischiosità formalistica che pervade
tutto il nostro ordinamento.
C'è un punto che richiede una riflessione
attenta. Nel momento in cui una norma di legge ha stabilito che il documento
informatico è "valido e rilevante ad ogni effetto di legge" (DPR
513/97, art. 2) è stata posta una base
molto solida per colmare il ritardo dell'evoluzione del nostro sistema
giuridico, fermo da trent'anni nei confronti dello sviluppo delle tecnologie
dell'informazione.
Non è piccola la distanza tra la prima formulazione della normativa sul
documento elettronico, che risale all'autunno del '96, e le regole che da oggi
sono in vigore. Recitava infatti la prima
bozza di disegno di legge pubblicata
dall'Autorità per l'informatica nella pubblica amministrazione:
"Ogni atto e documento, con qualsiasi
procedimento ed a qualsiasi fine emanato o prodotto, contenuto in originale o in
copia su uno dei supporti informatici a tecnologia avanzata individuati ai sensi
del successivo art. 2, ovvero trasmesso per via telematica ai sensi del
successivo art. 4, ed intelligibile mediante l'uso di programmi per elaboratore
elettronico, ha l'efficacia probatoria del corrispondente documento cartaceo se
è stato redatto con le caratteristiche previste dalla presente legge e dal suo
regolamento di attuazione".
Ma, già nel marzo del '97, il secondo comma
dell'articolo
15 della legge 15 marzo 1997, n. 59,
stabiliva che:
"Gli atti, dati e documenti formati dalla pubblica amministrazione e
dai privati con strumenti informatici o telematici, i contratti stipulati nelle
medesime forme, nonché la loro archiviazione e trasmissione con strumenti
informatici sono validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge".
La differenza è sostanziale, perché con la
prima formulazione al documento informatico era semplicemente riconosciuta la
stessa efficacia probatoria del documento cartaceo, mentre con la seconda il
documento informatico assume di per sé validità e rilevanza legale. In altri
termini, non c'è più una dipendenza concettuale della scrittura elettronica da
quella tradizionale.
Il principio diventa di assoluta evidenza nell'articolo
18 del DPR 513/97:
"Gli atti formati con strumenti informatici, i dati e i documenti
informatici delle pubbliche
amministrazioni, costituiscono informazione primaria ed originale da cui è
possibile effettuare, su diversi tipi di supporto, riproduzioni e copie per gli
usi consentiti dalla legge".
Queste due norme costituiscono il
"manifesto" della rivoluzione, perché fanno piazza pulita di tutto
l'apparato - culturale prima ancora che organizzativo - fondato sulle firme, i
timbri, i sigilli, le carte filigranate e quant'altro la burocrazia e il diritto
hanno saputo inventare in secoli di storia.
La radice di questa innovazione non è molto lontana. E' nell'articolo 3 del decreto
legislativo 12 febbraio 1993, n. 39
"Norme in materia di sistemi informativi automatizzati delle
amministrazioni pubbliche...", che dice:
"1. Gli atti amministrativi adottati da
tutte le pubbliche amministrazioni sono di norma predisposti tramite i sistemi
informativi automatizzati.
2. Nell'ambito delle pubbliche amministrazioni l'immissione, la riproduzione su
qualunque supporto e la trasmissione di dati, informazioni e documenti mediante
sistemi informatici o telematici, nonché l'emanazione di atti amministrativi
attraverso i medesimi sistemi, devono essere accompagnati dall'indicazione della
fonte e del responsabile dell'immissione, riproduzione, trasmissione o
emanazione. Se per la validità di tali operazioni e degli atti emessi sia
prevista l'apposizione di firma autografa, la stessa è sostituita
dall'indicazione a stampa, sul documento prodotto dal sistema automatizzato, del
nominativo del soggetto responsabile".
La sostanza è nel primo e nell'ultimo periodo,
dove prima si afferma che l'uso dei sistemi automatizzati deve costituire la
norma - e non l'eccezione - nella produzione degli atti amministrativi, e poi si
sostituisce la firma autografa, ove prevista, con una stampa prodotta dal
sistema automatizzato.
Ma con il momento intermedio, costituito dall'obbligo di indicare la fonte e il
responsabile dell'informazione, si compie di fatto il primo passo verso un
diverso concetto di autenticazione del documento, perché alla firma autografa
che conclude il processo si sostituisce un'indicazione relativa all'iter
di formazione o di trasmissione dell'atto. Si tratta dunque di spostare
all'indietro il momento della certificazione o dell'autenticazione: è
quello che si verifica con le norme tecniche sul documento informatico, il cui
momento essenziale non è tanto nell'apposizione della firma digitale, come può
sembrare a prima vista, quanto nella certificazione della chiave compiuta da un
soggetto qualificato "a monte" di tutto il processo.
In altri termini, l'autenticità del documento informatico non deriva
immediatamente dalla firma digitale che lo accompagna, ma dal certificato
relativo alla chiave asimmetrica di cifratura con la quale la firma stessa è
stata generata.
Fino al DLgs 39/93, e al dibattito che ad esso è
seguito, il documento informatico è stato oggetto di elucubrazioni astratte, di
costruzioni teoriche fondate sugli stessi presupposti del documento
tradizionale. Invece, con la prima bozza di normativa sul documento informatico,
si è finalmente passati a presupposti concreti, di natura tecnica.
Questa è la vera rivoluzione concettuale: l'incontro, anzi la fusione, tra
l'impostazione giuridica e quella tecnologica, assumendo quest'ultima nei suoi
aspetti più avanzati. Rivoluzione concettuale che induce una vera e propria
"rivoluzione culturale", perché è necessario affiancare alle
conoscenze tradizionali tutto un armamentario di conoscenze tecnologiche e di
prassi operative indispensabili per l'uso del documento informatico.
Per rendersi conto della dimensione del problema, basta considerare una frase
che ho scritto poche righe più in alto: l'autenticità del documento
informatico non deriva immediatamente dalla firma digitale che lo accompagna, ma
dal certificato relativo alla chiave asimmetrica di cifratura con la quale la
firma stessa è stata generata.
Probabilmente la maggior parte dei lettori di InterLex ha inteso senza troppa
difficoltà il significato di questa affermazione, ma dobbiamo renderci conto
che di fronte a espressioni di questo tipo oggi moltissimo giuristi perdono il
filo del discorso. Questo è forse l'ostacolo più grave che dovrà essere
superato sulla strada della piena diffusione del documento informatico.
Un esempio: solo pochi mesi fa, su un'autorevole
rivista giuridica è stato scritto che le chiavi pubbliche potrebbero essere
pubblicate su un CD-ROM contrassegnato da una "stampigliatura" del
certificatore. Questo significa non aver capito i fondamenti del documento
informatico, prima di tutto perché solo il controllo immediato, on line,
può dare la garanzia che la coppia di chiavi non è stata sospesa o revocata,
poi perché un CD-ROM può essere autenticato all'origine dalla firma digitale
del certificatore. Infatti - e questo è un'altro aspetto della
"rivoluzione concettuale" - nel documento informatico l'autenticazione
è legata al contenuto e non al supporto.
Nella forma cartacea il supporto e il contenuto
sono inscindibili e l'autenticazione riguarda di fatto il supporto. La firma
autografa o ogni altra indicazione (timbro, sigillo) sono incorporati nella
carta, quando non è la carta stessa ad autenticare l'informazione che contiene,
come nel caso delle banconote. Invece nel documento digitale il contenuto è
indipendente dal supporto e la firma è accoppiata all'informazione: essa
infatti è generata attraverso l'applicazione della chiave privata all'impronta
del testo e può anche essere separata da esso, senza perdere efficacia. Quindi
il documento può essere trasferito da un supporto all'altro (per esempio da un
dischetto a un CD-ROM) o trasmesso per via telematica, mantenendo la propria
validità.
Tutto ciò implica anche la scomparsa della "copia" del documento.
Affinché la copia di un'informazione cartacea con valore di documento abbia la
stessa efficacia dell'originale, la conformità deve essere asseverata da un
pubblico ufficiale. Invece la copia di un documento digitale, incorporando
l'autenticazione nell'informazione, costituisce di per sé un originale e può
essere indistinguibile da esso.
Se poi consideriamo gli aspetti processuali,
anche qui il cambiamento è profondo. La firma autografa apposta a un documento
ne attribuisce il contenuto al suo autore apparente fino a quando non si
dimostra che è falsa. La dimostrazione avviene attraverso una perizia
calligrafica sulla firma stessa. Invece nel documento digitale il controllo
dell'autenticità si svolge, per così dire, in forma automatica, attraverso la
verifica della chiave pubblica depositata presso il certificatore autorizzato.
L'eventuale imbroglio va cercato proprio nel certificato relativo alla chiave di
sottoscrizione, quindi oggetto dell'indagine è un fatto "a monte"
della firma. Il certificato può essere viziato da un falso del certificatore,
oppure il certificatore stesso può essere stato tratto in inganno
sull'identità del soggetto che lo ha chiesto (per questi motivi le procedure di
sicurezza e controllo costituiscono il nucleo principale delle regole tecniche).
Tutto questo indica la vastità e la profondità
del cambiamento imposto dall'introduzione del documento informatico. Ma si deve
sottolineare un altro aspetto che avrà conseguenze che non è esagerato
definire "epocali".
Si tratta della normale procedura di controllo della firma digitale, che si
svolge attraverso un accesso telematico al registro che contiene le chiavi
pubbliche. Significa che le consultazioni a distanza sono destinate a diventare
un'abitudine quotidiana, cioè che l'internet deve diventare uno strumento di
uso comune per avvocati, notai, commercialisti e personale amministrativo di
ogni livello. Questa è nello stesso tempo la premessa e la conseguenza
dell'introduzione del documento informatico.
Ma purtroppo non significa ancora che il diritto accolga a pieno titolo le
tecnologie dell'informazione.
Basta riflettere sul fatto che ancora oggi il
grande archivio delle leggi, il CED della Cassazione, è in sostanza quello
impostato trent'anni fa e, mentre gli italiani hanno accesso via internet alle
leggi di tutto il mondo, non sanno come trovare quelle che li riguardano
direttamente. Eppure la Gazzetta ufficiale è già sull'internet, basta una
circolare per metterla a disposizione di tutti, ma evidentemente manca la
"volontà politica".
Ancora la normativa più recente è "contro" l'internet. Ancora non si
riescono a ottenere le disposizioni per le autorizzazioni degli internet
provider, nemmeno un semplice chiarimento sulle precedenti regole è giunto dal
Ministero delle comunicazioni o dall'Autorità per le garanzie. Ancora non
decolla seriamente l'informatizzazione degli uffici giudiziari, ancora non c'è
il diritto di accesso all'internet uguale per tutti.
Con il documento informatico abbiamo uno
strumento formidabile per far decollare l'utilizzo delle tecnologie nel nostro
Paese, ma non sappiamo bene che farne. Va a finire che per un bel po' di tempo
ci servirà solo per pagare le tasse...
Quando, con una felice intuizione, l'AIPA decise di stabilire regole identiche
per l'uso della firma digitale nella pubblica amministrazione e nei rapporti
privati, si pensò che in questo modo si sarebbe stimolato anche il commercio
telematico. Ma, almeno nella fase iniziale, il complicato meccanismo messo in
piedi dal DPR 513/97 e da queste regole tecniche non si adatta alle esigenze di
chi vuole vendere o acquistare in rete, e si vede che le normali procedure
bancarie e i sistemi di sicurezza già in uso sono sufficienti a garantire le
transazioni commerciali.
Quasi quattro anni fa, nella preistoria del web,
il primo convegno sulle norme per l'internet si concluse con un'amara
constatazione: la
tecnologia avanza, il diritto arranca.
Oggi forse il diritto non arranca più, grazie anche alla firma digitale, ma
comunque resta indietro.
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