Il testo della legge finanziaria in via di approvazione prevede, in tema di
giochi e scommesse, una "innovazione" che per la sua peculiarità già
avrebbe dovuto essere oggetto, al suo apparire, di clamorosi commenti da parte
di organi di stampa e mass media. All'inquietante silenzio è necessario far
corrispondere una seria analisi delle varie problematiche che hanno portato (al
momento) ad ipotizzare un principio che definire "medioevale" è un
eufemismo.
Ecco il testo in questione:
--. Il Ministero dell'Economia e delle Finanze -
Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato, fermi i poteri dell'autorità
e della polizia giudiziaria ove il fatto costituisca reato, comunica ai
fornitori di connettività alla rete internet ovvero ai gestori di altre reti
telematiche o di telecomunicazioni o agli operatori che in relazione ad esse
forniscono servizi tematici o di telecomunicazione, i casi di offerta,
attraverso le predette reti di giochi, scommesse o concorsi pronostici con
vincite in denaro in difetto di concessione, autorizzazione licenza od altro
titolo autorizzatorio o abilitativi o comunque in violazione delle norme di
legge o di regolamento o dei limiti o delle prescrizioni definiti dall'Amministrazione
stessa.
--. I destinatari delle comunicazioni hanno l'obbligo di inibire l'utilizzazione
delle reti, delle quali sono gestori o in relazione alle quali forniscono
servizi per lo svolgimento dei gioch, delle scommesse o dei concorsi pronostici
di cui al comma --, adottando a tal fine misure tecniche idonee in conformità
quanto stabilito con uno o più provvedimenti del Ministero dell'Economia e
delle Finanze - Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato.
In sostanza, se venisse approvato questo testo, i siti esteri di soggetti
legittimamente operanti secondo le leggi del paese della Comunità Europea in
cui hanno sede verrebbero oscurati (e così verrà impedito agli italiani di
accedere a quel servizio).
Si eviteranno in questa sede i fin troppo banali paragoni con quanto
notoriamente avviene in Cina e si svilupperà - al contrario - un
approfondito esame della materia con particolare attenzione, per oggi, agli
antefatti che hanno portato alla proposta di questa norma.
L'art. 4 della legge 401/89 - pensata ed originariamente
emanata quando ancora il gioco on line non era conosciuto, aveva lo scopo di
eliminare il "totonero" e fu il prodotto, come spesso accade nel nostro
paese, di una classica legislazione di emergenza.
All'inizio degli anni 80, con le prime iniziative di alcuni bookmaker
inglesi di operare in Italia - anzi, più correttamente: di offrire il loro
servizio agli utenti italiani - (tentativi che si estrinsecavano con modalità
operative all'epoca spesso molto differenti tra loro) ebbero inizio i primi
tentativi di bloccare tale iniziative.
È da tenere ben presente un dato storico fondamentale: all'epoca,
cioè fino al 1998, in Italia nessuno accettava scommesse sul modello di quello
inglese, (a quota fissa) sugli eventi sportivi essendo, l'unico prodotto
proposto il Totocalcio, tipico concorso pronostico.
In questo contesto ha inizio nel 1993 uno scontro giudiziario che, su un aspetto
specifico, tuttora perdura.
Un po' di storia
La materia delle scommesse on line è già stata "esplorata"
da vari organi giudiziari; un attento lettore si stupisce per la varietà di
interpretazioni circa la legittimità o meno dei comportamenti che vengono fatti
rientrare nell'art. 4 della legge 401/89.
Il punto fondamentale oggetto di valutazione era il seguente: la normativa
italiana - con le restrizioni imposte ex art. 4, l. 401/89 e art. 88 TULPS -
violava i principi di libera circolazione dei servizi all'interno della
Comunità europea: tale limite non era giustificato e quindi la norma italiana
andava disapplicata.
Esiste una prima fase giurisprudenziale (anteriore al 1999)
nella quale si erano delineate due tendenze: da un lato vi era la giurisprudenza
di merito caratterizzata da reiterate assoluzioni, dall'altro la Corte di
cassazione che aveva sempre dato, seppur con motivazioni spesso diverse tra
loro, una interpretazione della norma assolutamente "blindata" (per cui era
reato, ai sensi dell'art. 4 L. 401/89, ad esempio, consentire l'utilizzo di
un terminale a persona che giocasse o facesse scommesse con operatori esteri
direttamente, pur avendo già depositato, secondo modalità ufficiali, il danaro
presso l'organizzatore del gioco).
Dopo la sentenza della Corte di Giustizia Zenatti (causa N.
C-67/98 del 21 ottobre 1999), i giudici di merito trovarono ancora più fondato
il loro agire (assoluzione e/o disapplicazione della norma e violazione dei
principi fissati dall'organo comunitario).
In sostanza, la sentenza Zenatti si esprimeva in questi termini: le restrizioni
sono ammissibili
- se si persegue effettivamente l'obiettivo di un'autentica riduzione delle
opportunità di gioco;
- se il finanziamento di attività sociali attraverso un prelievo sugli introiti
derivanti dai giochi autorizzati costituisce solo una conseguenza vantaggiosa
accessoria e non la reale giustificazione della politica restrittiva.
Già allora era sufficiente porre attenzione a come il
fenomeno delle scommesse si stava sviluppando in Italia dal '94 in poi per
rendersi conto che:
1. dopo anni di silenzio, il legislatore (proprio a causa dell'inizio di offerta
di scommesse e giochi da parte di gestori esteri) ha sviluppato -
annualmente - una normativa in materia (inserita non casualmente nelle varie
leggi finanziarie di fine anno);
2. gli interventi normativi non erano stati tesi a ridurre le scommesse e giochi
d'azzardo, ma al contrario la strada scelta dallo Stato Italiano era stata
quella di sviluppare le une e gli altri.
Ne era conferma sia la moltiplicazione della agenzie ippiche e di scommesse
attraverso i noti bandi, sia l'aumento vertiginoso dei giochi d'azzardo
supermiliardari (questo sì veramente immorale tale da giustificare,
addirittura, l'intervento del Ministro delle finanze).
Era già evidente che su questa realtà, oggettivamente
inoppugnabile, i limiti posti dalla normativa italiana non rispondevano ai
requisiti imposti dalla normativa comunitaria a giustificazioni di eventuali
restrizioni.
Ma l'aspetto in assoluto più rilevante nell'ambito di questo procedimento
avanti la Corte di giustizia europea fu il riconoscimento esplicitamente
espresso sia da parte dell'Avvocatura dello Stato italiano sia da parte dell'avvocato
generale della Corte di giustizia del principio della libertà per il cittadino
italiano di giocare direttamente con un allibratore estero. (E ciò, si badi
bene, nonostante l'art. 4, comma 3 L. 401/89).
La Corte di cassazione perseverava in una interpretazione sempre più
restrittiva della norma, che in realtà aveva come unico concreto effetto quello
di favorire i soli soggetti italiani (SNAI, SISAL ecc.), a scapito di chi
operava nel settore all'estero .
Il contrasto giurisprudenziale proseguì e a seguito del
nuovo coinvolgimento della Suprema Corte europea (Sentenza Gambelli,
procedimento N. C-243/01 del 6 novembre 2003) si sperava che il tutto cessasse.
Di questo specifico procedimento, ai fini di focalizzare ancor più il problema,
è utile sottolineare, oggi, alcuni punti delle conclusioni dell'Avvocato
Generale presso la Corte di Giustizia:
106 e seguenti: OSTACOLO ALLA LIBERA PRESTAZIONE DI
SERVIZI E LA SUA GIUSTIFICAZIONE. In particolare:
115: "tuttavia la Corte ha ritenuto <una limitazione
siffatta (.) ammissibile solamente se essa anzitutto persegue effettivamente l'obiettivo
di un'autentica riduzione delle opportunità di gioco e se il finanziamento di
attività sociali attraverso un prelievo sugli introiti derivanti dai giochi
autorizzati costituisce solo una conseguenza vantaggiosa accessoria (.)>(59)".
Sull'idoneità dei mezzi al raggiungimento dello scopo:
118: "se dunque un operatore di un altro Stato membro
soddisfa i requisiti che vengono richiesti in questo Stato, ciò dovrebbe essere
sufficiente per gli uffici nazionali dello Stato membro destinatario dei servizi
ed essi dovrebbero considerare tale circostanza come una garanzia sufficiente
dell'onestà dell'operatore";
121: "nel presente procedimento è stato osservato che
gli organizzatori concessionari di scommesse sportive si mettono in evidenza
tramite una pubblicità aggressiva. Un comportamento del genere è finalizzato a
suscitare e favorire il desiderio del gioco. Ma questo non basta. Anche lo Stato
italiano ha per legge creato le possibilità di ampliare chiaramente sul mercato
italiano l'offerta di giochi (63). Inoltre è stato osservato, senza dare
adito a contestazioni, che lo Stato italiano ha anche avuto cura di rendere più
facile la raccolta delle scommesse. È stata già citata l'estensione dell'infrastruttura
con il rilascio di 1000 nuove concessioni";
122: "alla luce di questo quadro non può più parlarsi
di una coerente politica per la restrizione dell'offerta dei giochi d'azzardo";
123: "per quanto riguarda la modifica legislativa dell'anno
2000 ad opera della legge finanziaria e le circostanze della sua adozione, con
la quale modifica sono state inasprite le disposizioni fino ad allora in vigore
- già esaminate dalla Corte nella causa Zenatti - occorre rilevare che in
conformità ai materiali di legge citati nelle osservazioni scritte, la modifica
di legge è stata adottata almeno anche per proteggere i concessionari interni.
Si tratta al riguardo senza dubbio di motivazioni protezionistiche che non
possono giustificare la modifica di legge e che allo stesso tempo gettano una
luce dubbia sulla disciplina nel complesso. Nella misura in cui la normativa
originaria debba essere considerata non più sostenuta dagli obiettivi
eventualmente perseguiti al momento della sua adozione, perché la situazione di
diritto e quella di fatto sono cambiate, un inasprimento in questa forma non
avrebbe potuto in nessun caso essere adottato".
Significato degli introiti statali:
124: "anche la circostanza che la normativa fosse
contenuta in una Legge finanziaria mette in rilievo il non irrilevante interesse
dello Stato al gioco d'azzardo per ragioni di carattere economico";
129: "conseguentemente la restrizione della libera
prestazione di servizi non può considerarsi giustificata da motivi imperativi
di interesse generale per motivi addotti e alla luce delle circostanze date".
La chiarezza di tali puntualizzazioni non richiede - almeno
all'apparenza - ulteriori commenti. Quanto alla motivazione della sentenza: devono essere
evidenziati i seguenti punti:
57: "tale divieto, penalmente sanzionato, di partecipare
a scommesse organizzate in Stati membri diversi da quello sul cui territorio
risiede il giocatore, costituisce una restrizione alla libera prestazione dei
servizi";
58: "lo stesso vale per il divieto, del pari penalmente
sanzionato, nei confronti degli intermediari, quali gli indagati nella causa
principale, di agevolare la prestazione di servizi di scommesse su eventi
sportivi organizzati da un prestatore, quale (...), con sede in uno Stato
membro diverso da quello in cui i detti intermediari svolgono la propria
attività, poiché un tale divieto costituisce una restrizione al diritto del
bookmaker alla libera prestazione dei servizi, anche se gli intermediari si
trovano nello stesso Stato membro dei destinatari dei servizi medesimi";
61: "quanto agli argomenti fatti valere, in particolare,
dai governi ellenico e portoghese al fine di giustificare le restrizioni ai
giuochi di azzardo e alle scommesse, è sufficiente ricordare che, secondo
costante giurisprudenza, la riduzione o la diminuzione delle entrate fiscali non
rientra fra i motivi enunciati all'art. 46 CE e non può essere considerata
come un motivo imperativo di interesse generale che possa essere fatto valere
per giustificare una restrizione alla libertà di stabilimento o alla libera
prestazione dei servizi (v., in tal senso, sentenze 16 luglio 1998, causa
C-264/96, ICI, Racc. pag. I-4695, punto 28, e 3 ottobre 2002, causa C-136/00,
Danner, Racc. pag. I-8147, punto 56)";
62: "come si evince dal punto 36 della menzionata
sentenza Zenatti, le restrizioni devono perseguire in ogni caso l'obiettivo di
un'autentica riduzione delle opportunità di giuoco e il finanziamento di
attività sociali attraverso un prelievo sugli introiti derivanti dai giuochi
autorizzati costituisce solo una conseguenza vantaggiosa accessoria, e non la
reale giustificazione, della politica restrittiva attuata";
64: "in ogni caso, per risultare giustificate, le
restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazioni di servizi
devono presentare i requisiti previsti dalla giurisprudenza della Corte (v., in
particolare, sentenze 31 marzo 1993, causa C-19/92, Kraus, Racc. pag. I-1663,
punto 32, e 30 novembre 1995, causa C-55/94, Gebhard, Racc. pag. I-4165, punto
37)";
65: "ai sensi di tale giurisprudenza, infatti, le dette
restrizioni devono, in primo luogo, essere giustificate da motivi imperativi di
interesse generale; in secondo luogo, devono essere idonee a garantire il
conseguimento dello scopo perseguito e, in terzo luogo, non andare oltre quanto
necessario per il raggiungimento di questo. In ogni caso, devono essere
applicate in modo non discriminatorio";
67: "anzitutto, anche se, nelle menzionate sentenze
Schindler, Läärä e a. e Zenatti, la Corte ha ammesso che le restrizioni alle
attività di giuoco possono essere giustificate da motivi imperativi di
interesse generale, quali la tutela del consumatore e la prevenzione della frode
e dell'incitazione dei cittadini ad una spesa eccessiva collegata al giuoco,
occorre tuttavia che le restrizioni fondante su tali motivi e sulla necessità
di prevenire turbative all'ordine sociale siano idonee a garantire la
realizzazione dei detti obiettivi, nel senso che tali restrizioni devono
contribuire a limitare le attività di scommessa in modo coerente e sistematico";
68: "a tale riguardo, riferendosi ai lavori preparatori
della legge n. 388/00, il giudice del rinvio ha sottolineato che lo Stato
italiano persegue, a livello nazionale, una politica a forte espansione del
giuoco e delle scommesse allo scopo di raccogliere fondi, tutelando i
concessionari del CONI";
69: "orbene, laddove le autorità di uno Stato membro
inducano ed incoraggino i consumatori a partecipare alle lotterie, ai giuochi d'azzardo
o alle scommesse affinchè il pubblico erario ne benefici sul piano finanziario,
le autorità di tale Stato non possono invocare l'ordine pubblico sociale con
riguardo alla necessità di ridurre le occasioni di giuoco per giustificare
provvedimenti come quelli oggetto della causa principale";
73: "il giudice del rinvio dovrà inoltre chiedersi se
la circostanza di imporre restrizioni penalmente sanzionate sino a un anno di
arresto per gli intermediari che facilitino la prestazione di servizi da parte
di un bookmaker stabilito in uno Stato membro diverso da quello in cui i detti
servizi sono offerti, mettendo a disposizione degli scommettitori nei propri
locali la concessione via Internet con il bookmaker, costituisca una restrizione
che ecceda quanto necessario per la lotta alla frode, soprattutto in
considerazione del fatto che il prestatore di servizi è sottoposto, nello Stato
membro in cui è stabilito, ad un sistema normativo di controlli e sanzioni, gli
intermediari sono legittimamente costituiti e, prima delle modifiche normative
di cui alla legge n. 388/00, tali intermediari si ritenevano autorizzati a
trasmettere scommesse su eventi sportivi esteri";
75: "spetta al giudice del rinvio verificare se la
normativa nazionale, alla luce delle sue concrete modalità di applicazione,
risponda realmente ad obiettivi tali da giustificarla e se le restrizioni che
essa impone non appaiano sproporzionate rispetto a tali obiettivi".
La giurisprudenza di merito, immediatamente successiva,
trovò così ulteriore e fondatissima ragione.
Peraltro, la Corte di cassazione, sezioni unite (sentenza 26 aprile 2004) a
sorpresa, riuscì, pur ammettendo la correttezza dell'impostazione della Corte
di giustizia a sostenere che la normativa italiana non contrastava con quella
comunitaria con riferimento alla "pubblica sicurezza" (requisitoria
contraria della Procura generale presso la Corte di cassazione).
Talmente fantasiosa (eufemisticamente) e strumentale (a parere di molti soggetti
interessati all'argomento) era tale "motivazione" che non solo numerosi
tribunali continuarono a disattendere quanto espresso dalla Cassazione
disapplicando la norma, ma, di più, alcuni tribunali si trovarono "costretti"
a riproporre la questione alla Corte di giustizia proprio sul punto contestato.
Nel contempo anche dell'art. 88 TULPS veniva chiesto un
vaglio di legittimità avanti la Corte costituzionale. Entrambe le questioni,
oggi, sono pendenti avanti i rispettivi supremi organi.
Per una sintesi delle argomentazione che la giurisprudenza di
merito ha adottato si riporta la parte in diritto della sentenza della Corte di
Appello di Milano N. 5202 in data 27.11.2003 che ha il pregio di rappresentare,
con semplicità, le argomentazioni fondamentali.
Sul prossimo numero, anche alla luce delle novità che
potrebbero emergere dalla discussione sul disegno di legge, entreremo nel
dettaglio e faremo una valutazione circa la compatibilità della nuova
finanziaria con i principi già espressi dalla Corte di giustizia.
SENTENZA CORTE DI APPELLO DI MILANO N. 5202 - 27.11.2003
.Omissis .
Nulla quaestio sulla conformità del fatto alla norma incriminatrice, ma occorre
verificare la compatibilità di quest'ultima con la legislazione comunitaria,
che vieta ogni ostacolo alla libertà di stabilimento e alla prestazione di
servizi tra le imprese dei Paesi Membri.
Per vero, nell'ambito della propria competenza, il giudice nazionale è tenuto
a disapplicare le norme di diritto interno che pongano in contrasto col diritto
comunitario e, in particolare, con l'interpretazione vincolante che del
diritto comunitario proviene dalla Corte di Giustizia Europea.
In data 6 novembre 2003, pronunciandosi in causa Gambelli C-243/01, la Corte di
Giustizia Europea ha affermato il seguente principio di diritto: "una
normativa nazionale contenente divieti - penalmente sanzionati - di svolgere
attività di raccolta, accettazione, prenotazione e trasmissione di proposte di
scommessa, relative, in particolare, a eventi sportivi, in assenza di
concessione o autorizzazione rilasciata dallo Stato membro interessato,
costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento e alla libera
prestazione dei servizi previste, rispettivamente, agli artt. 43 e 49 CE".
Spetta al giudice nazionale verificare se la normativa nazionale "alla luce
delle sue concrete modalità di applicazione, risponda realmente ad obbiettivi
tali da giustificarla e se le restrizioni che essa impone non risultino
sproporzionate rispetto a tali obbiettivi".
La ratio della decisione richiamata è, tutto sommato, assai semplice: la
gestione di scommesse non è un'attività imprenditoriale qualunque, giacchè,
come sottolineato dal Procuratore Generale appellante, comporta elevati rischi
di frode, costituisce un veicolo dissennato di spesa e urta diffusi principi
morali e sociali; è pertanto giustificato che tale attività sia limitata da
ciascun Paese membro in base a parametri di sensibilità differenziati, tuttavia
le restrizioni devono essere coerenti alle motivazioni indicate ed operare
uniformemente, senza discriminazioni in danno degli operatori economici degli
altri Paesi membri.
Ebbene, è palese che lo Stato Italiano non persegue una politica contenitiva
del gioco e delle scommesse per ragione di ordine pubblico o di moralità
pubblica, bensì attua una politica apertamente espansiva di tale fenomeno
economico-sociale.
Per vero, le restrizioni normative vigenti in materia, lungi dall'inibire o
sfavorire la propensione dei cittadini ad investire denaro nel gioco e nelle
scommesse e neppure dal preoccuparsi di possibili inquinamenti malavitosi nello
sfruttamento del fenomeno, si preoccupano unicamente di confinare entro barriere
protezionistiche, se non addirittura monopolistiche, la gestione delle relative
attività, in modo da convogliare essenzialmente verso l'erario i lucrosi
proventi.
Nei fatti, lo Stato Italiano non combatte, anzi incentiva, la spesa della
popolazione nelle scommesse e nei giochi aleatori, però pretende di mantenere,
in modo diretto o attraverso i propri concessionari, il controllo esclusivo
delle attività speculative connesse, tenendo fuori dal mercato i concorrenti
stranieri, cui è praticamente inaccessibile la partecipazione alle gare di
concessione.
Per verificare l'assunto, basti osservare, in primo luogo, che nessuna
particolare disciplina tende a fronteggiare il pericolo di possibili
investimenti malavitosi nelle attività economiche in questione, vuoi dal punto
di vista dell'accaparramento delle concessioni, vuoi dal punto di vista del
riciclaggio di denaro di provenienza illecita.
L'Amministrazione concedente non è tenuta ad assumere informazioni presso gli
organi di polizia, né a pretendere referenze di altra natura, circa la
moralità dei concessionari, i quali, per partecipare alle gare, non sono tenuti
a presentare il cosiddetto certificato "antimafia" e nemmeno semplici
certificati penali o dei carichi pendenti.
Conseguentemente, lo Stato italiano non ha motivo di far gravare sugli operatori
comunitari un maggiore e non controllabile rischio criminale, di cui non si cura
in Patria, con ciò manifestando di non avvertire il bisogno di derogare sotto
tale profilo al principio della libertà d'impresa.
In secondo luogo, le verifiche imposte sulla solidità economica del
concessionario appaiono dirette a garantire l'adempimento degli obblighi verso
lo Stato, piuttosto che ad assicurare il pagamento delle scommesse vincenti agli
scommettitori.
Conseguentemente, non si può dire che la normativa nazionale tenda a tutelare
questi ultimi dal pericolo di frode in modo più efficiente di quanto non
faccia, per restare al nostro caso, l'ordinamento giuridico inglese, laddove
è autorizzata ad operare la Eurobet 2000 ltd, vale a dire il soggetto per conto
del quale raccoglieva le puntate il Rognoni.
Nemmeno a questo riguardo, pertanto, emergono nelle pieghe del sistema nazionale
vigente concrete di tutela idonee a giustificare una deroga al libero accesso
degli operatori nel mercato comunitario.
In terzo luogo, passando dal terreno dell'ordine pubblico e quello della
moralità pubblica, è sotto gli occhi di tutti la proliferazione dei giochi
aleatori che si è verificata negli ultimi anni in Italia: è stata accorciata
la periodicità delle estrazioni del Lotto, è stato introdotto il Superenalotto,
sono stati moltiplicati i concorsi pronostici legali al gioco del calcio, sono
state inventati una miriade di giochi cosiddetti da banco tipo "gratta e vinci",
il tutto con adeguato sostegno pubblicitario e non celato compiacimento nell'evidenziare
l'incremento delle entrate alternative al prelievo fiscale, ciò che
costituisce inconfutabile e matematica riprova dell'assunto.
Non a caso, gli interventi più rilevanti in materia sono stati attuati per
mezzo della legge finanziaria annuale, che in particolare nel 2000 ha modificato
l'art. 88 TULSP, facendo cadere il divieto generale di esercizio delle
scommesse ed aprendo la possibilità di scommettere su eventi sportivi anche
esteri, semprechè, si badi, la raccolta delle puntate sia riservata allo Stato
o ai suoi concessionari.
In sostanza, il "business" delle scommesse è stato costantemente
incentivato dall'Amministrazione italiana, senza riguardo per la sua eventuale
dannosità sociale, ma con il chiaro intento di fagocitarne i proventi.
Questo esclude la possibilità d'invocare ragioni di carattere sociale,
religioso o morale per impedire la raccolta delle scommesse all'estero e
quindi per giustificare restrizioni in danno degli operatori comunitari del
settore.
A spiegare teleologicamente la disciplina del gioco, resta obbiettivamente
percepibile soltanto il perseguimento di interessi di carattere finanziario,
che, però, sicuramente non consentono alcuna deroga alla libertà di
stabilimento e di libera circolazione dei servizi prevista dal trattato CE.
Ne consegue che tutti gli operatori economici infracomunitari autorizzati a
svolgere quel tipo di attività nello Stato di appartenenza hanno diritto di
raccogliere puntate provenienti dal nostro Paese senza subire discriminazioni e,
viceversa, tutti i cittadini italiani hanno diritto di rivolgersi ad operatori
infracomunitari per sfogare la propria propensione al gioco.
Ciò posto, perde persino d'importanza il discrimine evidenziato dal giudice
di primo grado nell'entrata in vigore della legge finanziaria del 2000, che,
come si è accennato, ha svincolato la sanzione penale dal presupposto
amministrativo un tempo richiamato dall'art. 88 TULPS.
La novella non ha mutato l'assetto fondamentale del problema, giacchè, se
indubbiamente la punibilità non può essere mantenuta sulla base di un mero
presupposto amministrativo illegittimo alla luce della disciplina comunitaria,
è altrettanto vero che anche le norme incriminatrici dirette sono destinate a
perdere efficacia quando si scontrino con l'ordinamento comunitario
sovraordinato, senza alcuna necessità, come suggerisce il Procuratore Generale,
di rimettere la questione alla Corte Costituzionale.
Giova ricordare che le norme comunitarie fanno parte a tutti gli effetti del
nostro ordinamento giuridico, sicchè, davanti alla constatazione di un
conflitto insanabile, l'interprete è tenuto a restituire coerenza al sistema
ritenendo l'abrogazione implicita della norma sottoordinata.
Nel nostro caso, insomma, non viene in considerazione l'eventuale
illegittimità costituzionale di una norma vigente, bensì l'incompatibilità
tra norme ordinarie del sistema, che va risolta dal giudice ordinario facendo
ricorso agli usuali canoni ermeneutici.
(Continua sul prossimo numero)
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