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Le relazioni - 48

L'uso personale del dispositivo di firma: una proposta "di sistema" 

di Manlio Cammarata* e Enrico Maccarone**
 

Nella discussione che si è svolta lo scorso 17 ottobre presso il Dipartimento per l'innovazione è emerso - fra gli altri - un tema di grande rilevanza sistematica: la previsione dell'obbligo di "uso personale" del dispositivo di firma da parte del titolare.
L'argomento è il risultato delle discussioni sulla norma - inserita per la prima volta nel Codice dell'amministrazione digitale - della presunzione dell'uso del dispositivo di firma da parte del titolare del certificato, nell'ottica processuale dell'equiparazione del documento informatico "qualificato" alla scrittura privata (art. 2702 c.c.).

La questione è ben riassunta nell'intervento di Luigi Neirotti Obbligo di uso personale del dispositivo di firma e disconoscimento del documento informatico, che per l'appunto ha avanzato la proposta di introdurre un obbligo di uso personale del dispositivo. In questo modo si risolverebbe una serie non indifferente di questioni legate alla materiale possibilità che il titolare affidi volontariamente il dispositivo a un'altra persona con l'incarico di firmare un determinato documento in sua vece.
L'idea dell'avvocato Neirotti è di geniale semplicità e deve essere presa in seria considerazione dal legislatore, ma - a nostro avviso - in una forma che coinvolga più gli aspetti sostanziali di quelli processuali.

Per spiegare le ragioni di questa impostazione è necessaria una breve premessa "in fatto" e "in diritto".
In fatto: affidare a un terzo, sia pure una fidatissima segretaria come quelle che spesso tengono in piedi uno studio legale o notarile, è un atto intrinsecamente molto pericoloso. Esso infatti comporta una "perdita di controllo" del dispositivo e del PIN che potrebbe avere conseguenze devastanti, ove il titolare non si faccia immediatamente restituire il dispositivo e non cambi il PIN (operazione in qualche caso piuttosto lunga e snervante).

Sul piano materiale l'affidamento del dispositivo e del PIN non è paragonabile alla "firma in bianco", ben nota ai civilisti e richiamata nell'intervento di Neirotti, perché non consiste in una "delega" limitata a un solo atto, ma potenzialmente a un numero illimitato di atti. Infatti il "delegato" potrebbe continuare a usare il dispositivo all'insaputa del titolare. Oppure, annotato il PIN, potrebbe sottrarre la smart card per firmare fraudolentemente altri documenti. Nel caso di "firma in bianco" il sottoscrittore si assume coscientemente un rischio limitato e in qualche misura prevedibile, mentre nel caso di affidamento del dispositivo il rischio acquista dimensioni pericolose, anche perché al "delegato" in buona fede carta e PIN potrebbero essere sottratti da un malintenzionato.
Tutto ciò per tacere della problematica, non secondaria, relativa all'"affidamento del terzo", cioè alla fiducia che una persona estranea pone sul fatto che il documento sia stato sottoscritto personalmente dal titolare del certificato.

In diritto: abbiamo parlato genericamente di "delega" e "delegato" tra virgolette, sia per non addentrarci nella disamina dei vari istituti collegati alla rappresentanza, sia perché è ben noto che si tratta di istituti per i quali ordinariamente il delegato o il procuratore firmano in proprio e, se autorizzati, per conto del delegante. Con l'uso di un dispositivo di firma altrui, il cosiddetto "delegato" o "procuratore" si nasconde agli estranei, usando direttamente nome, cognome e poteri del titolare,  e realizzando una "sostituzione di persona", prevista e punita dall'art. 494 del codice penale (nel caso in cui vi sia l'intento di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno).

Paragonare questo fenomeno a quello dell'affidamento della tessera del Bancomat non è accettabile, perché nello strumento di prelievo o di pagamento l'elemento decisivo è il passaggio di denaro e non l'identificazione del soggetto che agisce, ma l'imputazione a quel soggetto dell'operazione compiuta. Sono regole civilistiche che non possono essere derogate (e che qui, per voluta semplicità, non affrontiamo nel dettaglio).

Fermo dunque il principio dell'uso personale dei dispositivo, è necessario pensare a una disposizione di segno più sostanziale, ipotizzando anche un meccanismo sanzionatorio che tuttavia non valichi i limiti imposti dalla delega legislativa. La soluzione potrebbe consistere in un comma da aggiungere all'art. 35 (Dispositivi sicuri e procedure per la generazione della firma):

1. Il dispositivo di firma deve essere usato personalmente dal titolare. Salve le ipotesi di reato, l'uso di un dispositivo di firma altrui o l'affidamento ad altri del proprio dispositivo di firma da parte di un pubblico ufficiale, di un incaricato di pubblico servizio o dell'esercente una professione costituisce violazione dei doveri d'ufficio o delle leggi sugli ordinamenti professionali, laddove le stesse non consentano alcuna delega di firma o di sigillo.

In questo modo si potrebbe eliminare senza danni la presunzione introdotta all'art. 21, con il vantaggio di una perfetta simmetria tra il regime della scrittura privata e quello del documento informatico con firma qualificata. La giurisprudenza civile poi potrà dare, sulla base di casi concreti, le indicazioni sulle conseguenze dell'eventuale mancato rispetto di questa disposizione da parte di soggetti che non siano pubblici ufficiali o esercenti professioni regolamentate.
 

* Direttore di InterLex - ** Notaio in Palermo

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