Il DLgs 30 giugno 2003, n. 196 (il cosiddetto "codice
della privacy") ha riordinato la normativa in materia di protezione dei dati
personali, che si era stratificata negli anni passati, a partire dalla data di
entrata in vigore della legge 31 dicembre 1996, n. 675.
Se l'obiettivo del Codice era quello di mettere ordine in una normativa che
appariva disordinata e contraddittoria, possiamo dire che esso sia stato
centrato in larga misura dal legislatore (nonostante sia ancora presente un
notevole grado di stratificazione e sovrapposizione tra disposizioni di diversa
provenienza, come bene evidenziato nella relazione di P. Ricchiuto La privacy tra le norme e il mondo
reale). Se l'obiettivo del Codice era anche quello di semplificare e
fornire risposte definitive ad alcune questioni ancora aperte in materia di
protezione dei dati personali, possiamo concludere che l'obiettivo è stato
mancato. Il Codice, infatti, non fuga tutti i dubbi applicativi e non risolve
tutte le problematiche ancora aperte in materia di dati personali.
E' opportuno partire dal dato concreto per verificare quanto questa
affermazione sia vera. Faccio riferimento quindi ad alcuni aspetti problematici
che, come avvocato di aziende multinazionali che spesso operano attraverso
propri siti Internet, mi sono trovata ad affrontare recentemente. E ciò anche a
dimostrazione di come non sia del tutto corrispondente al vero, a mio parere, la
dicotomia, evidenziata nella citata relazione di P. Ricchiuto, tra piccole e
medie imprese e grandi imprese, le quali avrebbero un approccio più consapevole
ed avanzato alle problematiche della privacy. In realtà, a me sembra che l'approccio
sia, anche per imprese di un certo rilievo ed operanti a livello internazionale,
alquanto confuso e poco consapevole.
Un primo problema è quello relativo all'utilizzo dei cookie. Come
sappiamo, si tratta di strumenti che vengono utilizzati frequentemente dai
gestori di siti Internet. Analizzando il solo dato tecnico, si potrebbe anche
concludere che, poiché i cookie identificano solo una macchina ed il
relativo IP number, trattandosi di dati anonimi, non si dovrebbe porre un
problema di tutela dei dati personali. Tuttavia, come è stato ben evidenziato
da altri commentatori, se i dati contenuti nei cookie vengono raffrontati
ed integrati con altre informazioni sull'utente raccolte on line oppure off
line, essi diventano idonei ad identificare l'utente e dunque rilevanti da un
punto di vista di tutela della riservatezza.
Eppure, anche in imprese di una certa ampiezza, questo problema non è
neppure considerato. Il cliente spesso si limita ad osservare che se un terzo
dovesse accedere a questi dati, vedrebbe solo un numero e, dunque, non si
porrebbe un problema di protezione dei dati personali, senza minimamente
considerare che la tutela della riservatezza non vuol dire solo garantire la
sicurezza nei confronti di attacchi da parte di terzi, ma anche e soprattutto
evitare usi impropri dei dati da parte del titolare del trattamento.
Ad esempio, nel caso in cui l'utente di un sito Web fornisca i propri dati
anagrafici al gestore del sito, che fa uso dei cookie, ecco che questi
ultimi appaiono in tutta la loro potenziale lesività. In questo caso, inoltre,
poiché il conferimento di questi dati non avviene nell'ambito di un rapporto
contrattuale e non ricade in nessuna altra ipotesi di esclusione del consenso,
è necessario ottenerlo dall'utente e mettere a sua disposizione, prima del
conferimento dei dati, una informativa dettagliata sulle finalità dell'uso
dei cookie e gli altri aspetti richiesti dal Codice. C'è da chiedersi
se questo accada nella realtà (a me non sembra) e, in ogni caso, quanto questa
strada sia praticabile.
Ma l'uso dei cookie pone altri problemi in relazione all'obbligo
di notificazione al Garante di questi trattamenti (perché l'invio dei cookie
e la loro memorizzazione su pc dell'utente altro non è che un trattamento di
dati personali), dal momento che essi consentono di effettuare una profilazione
dell'utente e, pertanto, sembrerebbero essere soggetti al predetto obbligo ai
sensi dell'articolo 37, comma 1, lettera d) del Codice. Su questo punto è
intervenuto lo stesso Garante precisando che la notificazione non è richiesta
per l'utilizzo dei cookie di sessione, mentre è richiesta per quelli
permanenti, sempre che non si tratti di strumenti necessari a verificare l'identità
o il profilo di autorizzazione di utenti o incaricati o per registrare accessi a
un sito web.
Questa interpretazione andrebbe coordinata anche con le conclusioni a cui è
giunto il Gruppo per la tutela dei dati personali (Articolo 29) nel proprio Documento WP 56, nel quale si afferma che la normativa
europea si applica anche ai trattamenti effettuati da gestori di siti Web
extraeuropei laddove essi facciano uso di cookie installati su pc di
utenti situati all'interno dell'Unione europea. Posto che, in questo caso,
il Working Party ha ritenuto applicabile a questi specifici trattamenti la
legislazione dello Stato membro dove si trova il pc su cui il cookie
viene memorizzato, si deve ritenere applicabile a queste ipotesi anche l'obbligo
di notificazione, laddove i cookie siano utilizzati a fini di
profilazione degli utenti? E se sì, è questa una soluzione attuabile, dal
punto di vista pratico?
Un secondo problema, che è di tutta evidenza per chi - come chi scrive -
ha a che fare con clienti stranieri, è quello relativo al trasferimento dei
dati personali all'estero, e specialmente negli Stati Uniti d'America. In
questo settore, ad esempio, si sono fatti molti passi, a livello nazionale e
comunitario. Anzitutto, l'applicazione dei principi del Safe Harbor,
nonostante le adesioni da parte delle aziende americane siano ancora al di sotto
di quanto auspicabile. Vanno menzionati anche gli sforzi della Commissione
europea per trovare strumenti alternativi alla dichiarazione di adeguatezza di
un sistema extraeuropeo di protezione dei dati personali. Si tratta dell'adozione
di schemi contrattuali tipo, attraverso i quali si propugna la conclusione di
accordi tra responsabili europei ed extraeuropei in relazione ai trasferimenti
di dati personali in Paesi terzi, e delle cd. Binding Corporate Rules,
che dovrebbero trovare utilizzazione specialmente da parte dei gruppi
multinazionali.
Eppure, è necessario riflettere su come l'adozione delle misure sopra
menzionate sia ancora lungi dall'essere diffusa tra le imprese che operano sul
territorio italiano trasferendo dati personali all'estero o tra le
multinazionali con controllate italiane.
Il problema privacy, dunque, pur godendo sicuramente di maggiore considerazione
oggi rispetto a dieci anni fa, non è ancora "decollato" a livello italiano
e internazionale, nonostante la crescita costante delle questioni collegate al
trattamento di dati personali, che sono oggi molto più numerose e più
pressanti, date le molteplici opportunità offerte dallo sviluppo tecnologico e
quelle che ci si può aspettare in futuro.
Va anche detto che la percezione che i nostri clienti hanno di fronte a
questa normativa è spesso quella di una legge che pone solo una serie di
adempimenti, apparentemente priva di sanzioni efficaci e, dunque, scarsamente
applicata (senza conseguenze pratiche). Molto spesso, pertanto, ci si limita ad
inseguire l'adempimento formale ai dettami del Codice senza guardare alla
sostanza. Ad esempio, si pubblica su un sito Internet una informativa
dettagliata e precisa senza assicurarsi che ciò che in essa è riportato
corrisponda poi al dato concreto e pratico. Così come, fino a quando sussisteva
l'obbligo generalizzato di notificazione al Garante, molto spesso si procedeva
alla notifica senza che questa fosse preceduta da un'analisi precisa dei
trattamenti e dei rischi ad essi connessi da parte del cliente. E tutto ciò,
nonostante il diverso consiglio degli avvocati.
Si tratta di problemi molto delicati e di non facile soluzione. Soprattutto,
appare evidente come molte delle problematiche di cui si è fin qui parlato non
troveranno una soluzione basata sul solo dato normativo, ma anche su quello
pratico. Forse, un aiuto potrebbe venire anche dall'atteggiamento che gli
avvocati che si occupano di questa materia avranno e da come riusciranno a
trasmettere ai propri clienti, siano essi italiani o stranieri, una maggiore
sensibilità verso la cultura della tutela dei dati personali, interpretandola
non solo come una formalità ed una serie di adempimenti, ma anche come un'opportunità
ed un valore aggiunto per l'impresa.
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