Il Regolamento eIDAS (electronic IDentification Authentication and
Signature)
ha come obiettivo l'armonizzazione comunitaria per i servizi fiduciari e i mezzi
di identificazione elettronica. Ma la traduzione italiana genera confusione.
Il quadro normativo comunitario sulle firme elettroniche (direttiva 1999/93/CE)
è cambiato con l'emanazione del Regolamento (UE) N. 910/2014 del Parlamento europeo e del
Consiglio del 23 luglio 2014 "in materia di identificazione elettronica e servizi
fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno e che abroga la
direttiva 1999/93/CE", noto come Regolamento eIDAS.
L'articolo 3, N. 35 del Regolamento eIDAS introduce una nuova definizione di documento elettronico.
Leggiamola:
"electronic document" means any content stored in electronic form, in particular text or sound, visual or audiovisual recording
Tale definizione è vigente in ogni ordinamento giuridico degli Stati membri, Italia compresa.
In italiano la traduzione ufficiale recita:
"documento elettronico": qualsiasi contenuto conservato in forma elettronica, in particolare testo o registrazione sonora, visiva o audiovisiva
La definizione europea non è settoriale, non è ambigua e non è nemmeno tecnica. È semplicemente ecumenica. In buona sostanza, tutto e, verrebbe da dire, il contrario di tutto, purché esso sia "conservato" e sia "in forma elettronica".
A questo punto, per individuare l'ambito di applicazione di una definizione di una portata così generale come quella in commento, dobbiamo preliminarmente osservare che essa riguarda tutti i documenti, senza distinzione di provenienza soggettiva, cioè quelli di cittadini, imprese e amministrazioni pubbliche.
Nulla, inoltre, viene detto in ordine alla validità sincronica e diacronica del contenuto, alla rilevanza probatoria e all'impossibilità di mantenere quel contenuto in forma statica nel tempo.
Trattandosi di una nozione orientata alla sintesi, è comprensibile, ma è necessario specificare i
confini e i limiti lessicali della versione italiana, soprattutto riguardo agli effetti sul Codice civile e sul Codice dell'amministrazione digitale, in quanto fondamenti normativi della tematica in esame.
Occorre distinguere, infatti, almeno due tipi di contenuto:
a) contenuto giuridico e intellettuale (l'azione rappresentata)
b) contenuto informatico (la sequenza di bit)
Il primo, di norma, attiene a come l'autore intende documentare un fatto, un negozio giuridico, un atto volitivo e a come focalizza l'attenzione su elementi intrinseci propri della diplomatica digitale e dell'informatica giuridica. Il secondo, invece, profila una forma tecnica, neutra e indipendente rispetto al primo e inerisce agli elementi estrinseci del documento.
In concreto, la deliberazione di un Consiglio comunale può essere memorizzata in qualsiasi formato (pdf/a, png, odt, etc.), cioè attraverso una diversa sequenza di bit, ma
il contenuto giuridico deve rimanere identico e immutabile. In particolare, nel processo di conservazione sono previsti specificamente cambi di formato per scopi di disseminazione o per garantire la migrazione su nuove piattaforme e differire l'obsolescenza.
Nel primo caso, il contenuto giuridico e intellettuale deve rimanere immodificabile, quindi è imprescindibile tutelarne la
staticità. Nel secondo, di contro, la dinamicità della sequenza di bit riesce a essere paradossalmente un elemento di garanzia della conservazione affidabile nel tempo, quindi, all'interno di una soluzione tecnologica determinata.
È ormai noto, infatti, che per conservare a lungo termine un documento digitale è necessario modificarlo periodicamente. Ecco, dunque, la stabilità.
Una più aderente traduzione giuridica avrebbe dovuto rendere la parola "stored" con "memorizzato" non con "conservato". La parola "content" non è riferibile di per sé a un "contenuto", ma a "sequenza binaria". In altre parole, il concetto europeo è molto più vicino a quello di file anziché di documento, a
immagazzinare anziché a conservare.
Nella normativa tecnica italiana, infatti, la memorizzazione è un'operazione molto più semplice della conservazione digitale. A mente del
DPCM 3 dicembre 2013, infatti, quest'ultima richiede una serie di adempimenti e il rispetto di procedure complesse di gran lunga più articolate dello stoccaggio di una serie di bit.
Detto in altri termini, l'immagazzinamento (storage) di una sequenza binaria nulla ha a che vedere con la conservazione (preservation). Ci dà conforto in questa tesi il fatto che il legislatore europeo utilizza più volte nel Regolamento eIDAS i termini
preservation e storage (stored) con precisione e accuratezza semantica.
In questa sede, infine, non trattiamo la pur importante distinzione tra document e
record, che porterebbe a ulteriori precisazioni semantiche.
In conclusione, dovremmo ricodificare in maniera più precisa la traduzione italiana della norma europea, interpretandone correttamente la
ratio nella seguente:
Proposta di traduzione
"documento elettronico": qualsiasi sequenza binaria memorizzata in forma elettronica, in particolare testo o registrazione sonora, visiva o audiovisiva.
Non si tratta di questioni nominalistiche o di trovare minuzie perdendo lo sguardo d'insieme su una norma di portata eccezionale. Il nodo centrale è calibrare all'interno dell'ordinamento giuridico italiano una norma che così come tradotta finirebbe per far assurgere a dignità documentale qualsiasi oggetto, con buona pace di giuristi, di informatici, di archivisti e, soprattutto, di diplomatisti.
* Direttore generale dell'Università degli Studi dell'Insubria.
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