Suscita scalpore una recente ordinanza del Tribunale di Firenze del 29 giugno
2000 che sembra aver sovvertito le soluzioni che giurisprudenza consolidata, con
il plauso della dottrina, aveva indicato in maniera pressoché costante, ossia l'applicabilità
della disciplina in tema di marchi e segni distintivi al domain name (l'unico
precedente che ripete le medesime argomentazioni - ma a leggere l'ordinanza l'affermazione
sembra fatta ad abundantiam - è Tribunale di Bari 24 luglio 1996,
in Foro it., 1997, I, 2316. Nella dottrina italiana, a quanto ci consta,
nessuno ha seguito questa tesi. Una impostazione in tal senso è rinvenibile in
una parte minoritaria della dottrina straniera: cfr. Bettinger, Kennzeichenrecht
im Gyberspace: Der Kampf um die Domain-Namen, in GRUR Int., 1997,
402).
Non tanto sugli equivoci di natura tecnica (sul punto Monti, Nomi
a dominio, il Tribunale di Firenze aumenta la confusione) si sofferma la
nostra attenzione, quanto sull'argomentazione giuridica seguita dal Tribunale
che in assoluto non sembra avere precedenti.
Infatti, considerata l'attuale situazione di carenza legislativa in cui
versa il nostro Paese, il Tribunale oblitera completamente le tecniche per
colmare le lacune dell'ordinamento giuridico. Non vengono, infatti, menzionati
i classici criteri, sulla scia degli insegnamenti più autorevoli (Tarello, L'interpretazione
della legge, Milano, 1980, 39 e da ultimo, con efficacia, di Alpa, Il
metodo nel diritto civile, in Contr. e impresa, 2000, 356), quali l'interpretazione
estensiva, analogica o il ricorso ai principi generali. Nell'ordinanza,
infatti, non si pongono i quesiti di compatibilità/interferenza con gli altri
segni distintivi, né tanto meno all'interprete vengono forniti i dati per una
migliore comprensione della questione, sulla base del presupposto che se «
gli organismi che consentono a Internet di esistere e svilupparsi, consider(a)no
invece il domain name alla stregua di un mero indirizzo, un mero numero
di telefono, sia pure tradotto in lettere alfabetiche»
si può dedurre che « non può porsi per esso
un problema di violazione del marchio di impresa, della sua denominazione o dei
suoi segni distintivi» .
Come dire ... da una regola tecnica ad un precetto giuridico.
Ma l'affermazione risulta ancora più inusuale se solo si ricorda che l'organo
giudicante è ben consapevole che « l'utente
inesperto, che voglia comunque raggiungere il sito di un'impresa determinata,
per esempio per fruire dei suoi servizi on line, potrà altrettanto se
non più agevolmente reperirlo partendo da uno degli innumerevoli portali oggi
esistenti ovvero, come impone la normale consultazione del web da quando questo
esiste, attivando la ricerca da uno dei numerosissimi motori. Ciò in quanto la
visibilità e reperibilità di un determinato sito internet è data
essenzialmente dal suo contenuto, fra cui anche il marchio e/o la denominazione
d'impresa, non meno che dal domain name» .
Proprio tale puntualizzazione, nella logica del ragionamento giuridico, aveva
consentito all'interprete di confermare l'assunto secondo il quale il
cosiddetto nome di dominio non può ritenersi una semplice casella postale o
indirizzo elettronico, ma deve invece reputarsi come segno distintivo
suscettibile di entrare in conflitto con altri segni "tipici" quali,
in particolare, il marchio.
Il ragionamento dell'organo giudicante arriva invece a conclusioni opposte,
dove peraltro si afferma a fronte della premessa, pur non condivisibile, che «
la corrispondenza marchio-dominio, non è un bene assoluto, non è un valore
assoluto e, soprattutto, non è un principio positivamente sancito nel nostro
ordinamento» , che (...) «
finché internet in Italia non è regolata, normata ed in qualche modo inclusa
nell'ordinamento giuridico generale, questo Giudice è convinto che gli
aspetti operativi, tecnici e logici propri del Domain name System prevalgano
sull'utilità che la singola impresa può ricavare dalla corrispondenza
nome-dominio» .
Tale presa di posizione risulta oltremodo bizzarra, ma forse ad essa
sottostà il mito di Internet quale spazio anormativo (quello che può definirsi
il regime giuridico di Internet pone all'interprete un'altra tipologia di
problemi, ossia un problema di « adattamento»
o « innovazione»
e non di « inesistenza»
delle regole. Cfr. Alpa, Premessa, in I Problemi Giuridici di
Internet, a cura di Tosi E., 1999, XV).
E' opportuno allora ricordare che pur se l'approccio ermeneutico alle
fonti del diritto (a patto di voler seguire un determinato modello teorico dell'interpretazione,
che si svolge in una dimensione relazionale e comunicativa, pronto, quindi, a
dar conto delle innovazioni) muove dalla insufficienza delle fonti
formali ai fini della determinazione del diritto in concreto, non si spinge mai
fino alla creazione libera del diritto, dovendosi affidare a regole e principi,
e questi ultimi, con le loro molteplici finalità, costituiscono il margine di
confine tra diritto positivo e il mondo di valori in cui si muove l'interprete
(Più in particolare è opportuno ricordare che l'ermeneutica cerca di
descrivere ciò che avviene nell'atto interpretativo e di delineare un metodo
che sottoponendo la precomprensione al controllo razionale rappresentato
dal confronto con il testo, consente il passaggio da una comprensione
provvisoria ad una comprensione fondata. Per quest'ordine di
considerazioni Ricoeur, Etica e conflitto dei doveri, il tragico dell'azione,
Bologna, 1990, 285. La comprensione dell'organo giudicante si è
fermata quindi allo stadio di comprensione provvisoria, non rinvenendosi
nel ragionamento un valido processo interpretativo).
A quale schema argomentativo ( su questa tematica cfr. Tarello, op. e loc.
cit., che rinviene nelle argomentazioni degli organi giudicanti quindici
tipologie di ragionamento), può essere ricondotta allora l'ordinanza del
Tribunale fiorentino? A nessuno. L'argomentazione potremmo definirla ... tecnocratica.
Tecnocratica per la prevalenza accordata « agli
aspetti operativi, tecnici e logici propri del Domain name System sull'utilità
che la singola impresa può ricavare dalla corrispondenza nome-dominio»
(parola di Tribunale)!? (Viene alla mente il pensiero di Heidegger, Vortrage
und Aufsatze, Pfullingen 1954, tr. it. Saggi e discorsi, Milano 1980
che aveva indicato il ruolo pressoché negativo della tecnica affermando che
"strappa e sradica sempre più l'uomo dalla terra". Parafrasando
Heidegger, nel caso in esame, la tecnica "strappa e sradica il giudice dal
sistema delle fonti").
In sede di conclusioni deve essere ricordato che, in tema di domain name, a
parte il ricorso ai principi generali e all'interpretazione analogica e/o
estensiva, più norme di diritto positivo soccorrono l'interprete. In tema di
violazione dei marchi potranno applicarsi:
- la legge marchi (r.d. n. 292 del 21 giugno 1942); dalla lett. a) dell'art.
1 si evince che è contraffattorio l'uso del segno identico al marchio per
prodotti o servizi identici per i quali il marchio è registrato. Se il segno è
solo simile al marchio (ex lett. b) dell'art. 1 l.m.) verrà
censurato solo in caso dia luogo ad un concreto rischio di confusione del
pubblico circa le origini del prodotto contrassegnato;
- l'art. 2598 c.c., n. 1, sulla contraffazione del marchio;
- l'art. 100 della legge sul diritto d'autore (l. n. 633 del 22 aprile
1941), qualora il marchio violato sia anche il titolo di una pubblicazione
periodica;
- la normativa sul diritto al nome e all'identità personale delle persone
giuridiche (volendo sul punto Cassano, I diritti della personalità dei
gruppi e degli enti, in La formazione giurisprudenziale del diritto
civile, a cura di Alpa, nella Giurisprudenza sistematica, fondata da
Walter Bigiavi, Torino, 2000, 199).
In caso di violazione, da parte del domain name, di altri segni
distintivi, saranno applicabili: a) l'art. 2598 c.c., n. 1; b) l'art. 100
della legge legge sul diritto d'autore, qualora sia violato il titolo di una
pubblicazione periodica; c) gli artt. 2563 ss. c.c., nel caso in cui il segno
violato sia una ditta ; d) la normativa sul diritto al nome ed all'identità
personale delle persone giuridiche.