Delirio normativo o lucida premeditazione?
di Manlio Cammarata - 08.02.01
Preoccupazione, costernazione, indignazione:
questi i sentimenti che sorgono a mano a mano che si procede nell'analisi del
disegno di legge che dovrebbe regolare la registrazione dei nomi sotto il
dominio di primo livello ".it".
Il testo approvato il 31 gennaio scorso dalla
Commissione giustizia del Senato non è solo un progetto per di
"burocratizzare" il governo della Rete in Italia, ma soprattutto una
specie di colpo di mano contro la libertà dell'internet. Se dovesse passare,
costituirebbe un freno molto forte allo sviluppo della società
dell'informazione del nostro Paese.
Prima di passare all'esame dell'articolato, è
utile ricordare tra i 28 membri della Commissione
giustizia del Senato ci sono 14 avvocati e 8 magistrati. Persone esperte di
diritto, alle quali non dovrebbero essere sfuggite certe forzature giuridiche
del testo in discussione. Dunque si deve ritenere che il provvedimento approvato
in prima lettura sia frutto di un accordo preventivo o di una distrazione
collettiva, posto che maggioranza e opposizione hanno fatto passare solo gli
emendamenti proposti dal relatore. Emendamenti che contengono anche errori
tecnici. Ma di questi non è il caso di meravigliarsi, perché è omai ben nota
l'ignoranza dei nostri legislatori in materia di tecnologie dell'informazione.
Ma passiamo alla lettura dei punti salienti. Si
incomincia subito con un grave errore:
Art. 01 (Definizioni)
1. Ai fini della presente legge si intende:
a) per "nome a dominio" o "dominio" l'insieme di lettere,
numeri o altri caratteri, internazionalmente ammessi nel sistema dei nomi a
dominio (DNS - Domain name system), che, associati ad un indirizzo numerico
utilizzato dai computer per comunicare tra di loro secondo il protocollo TCP/IP
(indirizzo IP), identificano il titolare di un diritto di accesso alla rete
Internet.
E' sbagliato. Il nome a dominio non identifica il
titolare di un diritto di accesso, che invece è qualsiasi abbonato alla
Rete, ma il titolare di una risorsa logica attraverso la quale possono essere
diffusi contenuti. La differenza è sostanziale.
Andiamo avanti. L'articolo
1 detta le regole che dovrebbero costituire il nucleo del provvedimento,
definendo "chi può registrare cosa". Ma, secondo la perversa
ingegneria legislativa italica, i primi due commi vietano tutto a tutti, mentre
il terzo esclude dal divieto alcuni soggetti.
Con il comma 6 si introduce la prima complicazione burocratica, stabilendo che i
nomi a dominio devono essere inseriti anche nel registro delle imprese e nel REA
(Repertorio delle notizie economiche e amministrative) tenuti dalle Camere di
commercio. Non si riesce a comprendere l'utilità pratica di questa duplicazione
burocratica di iscrizioni. Se mai si potrebbe prevedere la facoltà di inserire
l'informazione da parte dell'impresa che vi abbia interesse.
Con l'articolo 1-bis
si definisce come "fatto illecito" la registrazione di un dominio in
violazione delle regole dettate nell'articolo precedente, con il conseguente
obbligo di risarcimento, fatta salva la concorrente responsabilità del
soggetto che ha eseguito la registrazione. Così si introduce un principio
devastante, perché si pone in capo all'organo tecnico che esegue la
registrazione l'onere di una verifica di legittimità della richiesta. Il che
può comportare, in moltissimi casi, la necessità di interpellare un giurista
esperto di diritto industriale e commerciale. Costui dovrà consultare i
registri delle camere di commercio e quelli dei marchi, senza per altro poter
giungere a una conclusione certa, sia perché i registri dei marchi non sono on
line (e comunque sono in ritardo di anni negli aggiornamenti), sia per i
"marchi notori", che non sono registrati da nessuna parte.
Risultato: procedure di registrazione
interminabili e il rischio, per il registrar e per il mantainer di
continue citazioni in giudizio sia per aver negato, sia per aver eseguito
un'iscrizione contestata. Tutto questo potrebbe far sì che nessun soggetto
italiano ponga la sua candidatura a ente di registrazione o a
"intermediario" e che molti interessati preferiscano la rapidissima
registrazione come ".com", con grave pregiudizio per l'immagine del
nostro Paese nel mercato globale.
Anche la disciplina transitoria, che affida
all'attuale ente di registrazione la cancellazione dei nomi per i quali emerga la
non conformità della precedente registrazione alle disposizioni di cui alla
presente legge rischia di determinare la paralisi della struttura, per le
oggettive difficoltà che un organo tecnico può incontrare nell'interpretazione
di situazioni giuridiche complesse, e con la prospettiva di un contenzioso
amministrativo di notevoli proporzioni.
Il comma 3 dello stesso articolo 1-bis introduce
una pesantissima sanzione amministrativa (da 10 a 60 milioni di lire) a carico
del soccombente. A parte il fatto che anche l'importo minimo potrebbe essere
sproporzionato alla gravità dell'illecito, non si tiene conto del fatto che la
registrazione di un nome di proprietà altrui potrebbe essere fatta in totale
buona fede. Poniamo il caso che Tizio ottenga la registrazione del dominio
"abc123.it" e riceva poi una citazione da parte di Caio, che può
dimostrare la notorietà del marchio "ABC123", non registrato. Secondo
questa norma, Tizio avrebbe comunque commesso un illecito e dovrebbe pagare la
multa, anche se nessun danno fosse derivato a Caio, per esempio perché il sito
non è stato ancora attivato.
Il comma 4 contiene previsioni di eccezionale
gravità. Leggiamolo punto per punto:
Il titolare del dominio è l'unico
responsabile dei contenuti dei siti consultabili attraverso lo stesso.
Errore di principio: il titolare del dominio può
non essere l'autore dei contenuti, o questi possono essere immessi al di fuori
delle sue possibilità di controllo immediato. Quindi può non essere
"l'unico" responsabile. Si deve tener presente che il provvedimento in
discussione riguarda solo i domini di secondo livello (cioè secondo.it o
secondo.com e via elencando), che sono quelli soggetti a registrazione),
mentre i domini di livello inferiore (per esempio terzo.secondo.it) sono
assegnati con procedura interna dal titolare del secondo. Secondo la lettera di
questa disposizione, tin.it sarebbe "l'unico responsabile" dei
contenuti degli innumerevoli siti tizio.tin.it, caio.tin.it
eccetera. Ma non basta:
I soggetti che svolgono i servizi di provider
e di mantainer, ed ogni altro per semplicemente consentire l'accesso alla rete
Internet o ad altre reti telematiche, rispondono in solido con il titolare del
dominio nel solo caso in cui sia derivata per fatto doloso o colposo loro
imputabile l'impossibilità o la grave difficoltà di individuare o identificare
il medesimo o lo spazio su cui il sito è collocato.
Errore tecnico: superando il ribrezzo causato dal
massacro della lingua italiana, vediamo che si prevede la responsabilità di chi
"consente l'accesso alla rete" (cioè anche il fornitore di
accesso e "ogni altro", compreso quindi il gestore della rete
telefonica). Ma, precisa la norma, solo nel caso in cui sia derivata per
fatto doloso o colposo loro imputabile l'impossibilità o la grave difficoltà
di individuare o identificare il medesimo o lo spazio su cui il sito è
collocato. Detto più semplicemente, questa disposizione obbligherebbe il
provider, il mantainer e "ogni altro" a identificare il
titolare del dominio o lo spazio (si intende il server?) nel quale sia presente
il contenuto incriminato.
L'identificazione "protetta" di chi immette i contenuti è l'unica
misura ragionevole che possa essere posta a carico del fornitore di hosting
per risalire all'autore di un contenuto illecito. Ma da qui a prevedere la
responsabilità di qualsiasi soggetto cha faccia parte della "catena
dell'accesso", è inconcepibile. E ancora:
In tale caso, ove il contenuto del sito
costituisca reato ovvero il mezzo per la sua commissione, la responsabilità,
fatte salve le norme riguardanti il concorso nel reato, si estende ai soggetti
di cui sopra, ma la pena è diminuita fino ad un terzo.
Errore giuridico: se si vuole imporre al
fornitore di hosting o al mantainer un onere di controllo
dell'identità dell'autore dei contenuti, si può configurare per legge una
responsabilità per omesso controllo (a parte il fatto che è praticamente
impossibile registrare un dominio o stipulare un contratto di hosting
senza conoscere l'identità del titolare).
Le norme del codice penale sul concorso nel reato sono più che sufficienti a
sanzionare i casi in cui il fornitore del servizio concorra effettivamente alla
commissione dell'illecito, ma stabilire una responsabilità (civile, penale e
amministrativa, in mancanza di una precisazione) anche per fatto colposo appare
decisamente eccessivo. Sono in gioco principi fondamentali del diritto, come la
tipicità dell'illecito e la tassatività della norma penale, oltre
all'individuazione dell'elemento soggettivo del reato.
Torneremo su questi delicatissimi punti in un
prossimo articolo, ma ora non possiamo ignorare un altro aspetto: queste
disposizioni sembrano scritte apposta per introdurre una responsabilità
oggettiva dei provider, anche sul piano penale, aggirando le disposizioni della
direttiva 2000/31/CEE, che agli articoli 12,
13 e 14
pone limiti precisi (anche se con una formulazione "pericolosa") sulla
responsabilità per i contenuti. Inoltre all'articolo 15,
la direttiva esclude che si possano porre obblighi generali di controllo dei
contenuti in capo agli stessi provider, ma il DDL ottiene gli stessi risultati
con un confuso obbligo di identificazione del titolare del dominio o dello
"spazio" ove sono collocati i contenuti stessi.
In conclusione, queste norme possono avere come
unico effetto la fine dei servizi di hosting, la chiusura di tutti gli
spazi di discussione, il trasferimento all'estero dei servizi di registrazione
dei domini ".it", in sostanza la morte dell'internet in Italia. Fra
l'altro non si deve dimenticare che la legittimazione effettiva di un registrar
spetta esclusivamente alla ICANN (Internet Corporation for Assigned Names and
Numbers), che potrebbe scegliere soggetti diversi da quelli indicati dalla
burocrazia italiana.
E' naturale chiedersi se tutto questo derivi da
pura incapacità di legiferare o da un disegno preordinato, volto a mettere
sotto stretto controllo la Rete (nei limiti in cui può farlo un singolo Stato).
La risposta a questa domanda potrebbe venire dalla lettura dell'articolo
2 del provvedimento, che istituisce la "Commissione Nazionale per
l'accesso a Internet e alle altre reti telematiche".
Esaminare punto per punto queste disposizioni è un esercizio inutile, perché
bastano poche annotazioni:
1. L'obiettivo del DDL doveva essere quello di
dettare le (poche e semplici) norme utili per evitare abusi nella registrazione
dei nomi sotto il dominio ".it" (dimenticando che sta per nascere il
".eu").
Quindi si doveva assegnare a un organismo "tecnico" (Ministero delle
comunicazioni o Autorità per le garanzie) la sorveglianza sul settore. Invece
sono state introdotte pesanti disposizioni sui contenuti ed è stata costituita
una commissione presso un organismo politico, la Presidenza del Consiglio dei
Ministri.
2. Questa commissione ha compiti che vanno ben
oltre le regole sulla registrazione dei domini. Infatti deve anche attuare
iniziative per dare luogo alla più ampia diffusione dell'utenza di Internet
o di altre reti telematiche (quali?); mantenere in contatti internazionali
per la definizione dei protocolli e delle regole comuni di funzionamento di
Internet (compito da affidare, invece, a un organismo tecnico); attuare
direttamente, ovvero promuovere l'attuazione da parte di altri enti o
istituzioni private o pubbliche, anche attraverso intese a carattere
internazionale, di quanto necessario per garantire la sicurezza della rete e del
trattamento dei dati personali che ha luogo nella stessa o mediante la stessa.
3. Se si aggiunge la previsione (per altri versi
apprezzabile) dello smantellamento di altre strutture che operano presso la
Presidenza del Consiglio, si delinea un quadro sinistro. Un solo organismo
governativo che decide su tutti gli aspetti dell'uso e dello sviluppo della
Rete, dall'individuazione dei registrar all'accreditamento dei mantainer,
dalle regole di naming alla sicurezza della rete e dei dati personali,
dalle azioni promozionali in proprio o attraverso terzi alla definizione dei
protocolli, significa di fatto il commissariamento dell'internet da parte del
Governo.
Dunque il progetto deve essere fermato. Non
importa se esso sia frutto di un delirio normativo, di una serie di colpevoli
"distrazioni" o di un disegno premeditato. Le associazioni degli
operatori, gli stessi singoli operatori, tutti gli utenti italiani della Rete
dicano chiaro e forte che questo testo è inaccettabile. "Giù le mani
dall'internet" deve essere il motivo conduttore di tutte le possibili
iniziative per bloccare il disegno di legge.
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