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Acquisizione dei sistemi informatici nelle pubbliche amministrazioni:
concorso di idee “informatiche”, appalti ad oggetto informatico, riuso
Il Titolo V dello schema di codice è interamente dedicato alle modalità di
acquisizione di software e hardware da parte delle pubbliche amministrazioni. Si
tratta di un tema di enorme importanza in quanto riguarda già oggi ogni
pubblica amministrazione italiana, centrale o periferica, statale o regionale.
Innanzi tutto, il codice si preoccupa di indicare alle PA la strada giuridica
da percorrere nell’ipotesi in cui voglia realizzare un sistema ad hoc
per le proprie esigenze. L’art. 68, a tal proposito, prevede la possibilità
di avvalersi del concorso di idee di cui all’articolo 57 del decreto del
Presidente della Repubblica 21 dicembre 1999, n. 554, il regolamento attuativo
della L. 109/94, legge quadro in materia di lavori pubblici. In altri termini un
particolarissimo bando di concorso, avente ad oggetto progetti ad alto contenuto
di innovazione tecnologica.
Una volta acquisita l’idea “informatica”, le amministrazioni, previo
parere tecnico di congruità del CNIPA, potranno porre essa stessa a base di
gara, in una nuova e diversa procedura di appalto, questa volta un vero e
proprio appalto ad oggetto informatico, finalizzato all’acquisizione del bene
o del servizio informatico che incarni la proposta ideativa stessa.
Di particolare interesse è l’espresso richiamo di un punto nodale della
disciplina tradizionale del concorso di idee: il codice infatti prevede che
anche nella procedura in esame, finalizzata allo sviluppo di sistemi informatici
di alto livello tecnologico, il soggetto che abbia vinto il concorso di idee,
sebbene non acquisisca per ciò solo l'automatico e vincolante diritto alla
realizzazione del progetto (TAR Campania, sez. I, 16 ottobre 2003, n.
12812), dovrà essere ammesso a partecipare all’appalto ad oggetto informatico
(art. 57, comma 6, DPR. 554/99). In questo contesto tale norma assume nuovi
significati, in quanto pare difficile pensare che potrà aggiudicarsi l’appalto
una società diversa da quella vincitrice del concorso di idee, attesi da un
lato l’alto contenuto tecnologico del progetto da essa realizzato, dall’altro
la forte personalizzazione del sistema hardware e software in
ossequio alle esigenze dell’ente appaltante, già delineatasi nella proposta
ideativa vincente.
Il codice, al successivo art. 69, si riferisce nuovamente agli appalti
pubblici ad oggetto informatico, ma lo fa ancora una volta in maniera indiretta
ed incidentale. Pone l’accento sulla necessità delle pubbliche
amministrazioni che acquisiscono programmi informatici, di svolgere una
preventiva valutazione comparativa di tipo tecnico ed economico tra le soluzioni
di acquisizione disponibili sul mercato, di cui fornisce una breve elencazione:
sviluppo ad ad hoc, secondo le proprie esigenze ed indicazioni, ed ai
sensi della procedura precedentemente delineata; riuso di programmi informatici
già utilizzati da altre amministrazioni; acquisto di programmi “pacchettizzati”,
da utilizzare così come proposti dalle software house.
Inoltre, con riguardo alla tipologia di programma per elaboratore oggetto di
tali appalti, se proprietario o a codice sorgente aperto, lo schema di codice
mantiene ovviamente la posizione neutrale già assunta dal ministro Stanca con
la direttiva del 19 dicembre 2003, “Sviluppo ed utilizzazione dei programmi
informatici da parte delle pubbliche amministrazioni”.
Tuttavia, al di là di tali veloci riferimenti all’oggetto degli appalti di
informatica pubblica, null’altro viene detto in proposito. Ci sembra poco,
anche per una norma di principio quale vuole essere questo codice. Ci sembra
poco soprattutto in relazione agli inequivocabili segnali di disagio relativi ad
alcune prassi lesive della regole sulla concorrenza, ormai invalse in questo
nascente settore dei pubblici appalti.
Da un lato l'Unione europea, che a seguito di una mirata indagine, nel corso del
2004 ha richiamato alcuni paesi, tra cui Italia, Germania, Austria, Olanda,
Francia e Finlandia, i cui bandi di gara ad oggetto informatico favorirebbero
l'acquisizione di PC dotati di specifiche marche di chip.
Dall’altro, in Italia, non sono più casi isolati le pronunce della
giurisprudenza amministrativa che denunciano e dichiarano illegittimi i bandi in
cui vengono espressamente richiesti processori di una determinata fabbricazione.
Si veda, tra le più rilevanti, il TAR Umbria, 23 ottobre 2003, n. 4 (per un
commento, si consenta di rinviare a C. Giurdanella e E. Guarnaccia, L’appalto
pubblico ad oggetto informatico: CPU e marchi secondo la prima giurisprudenza amministrativa, su Telejus),
e la recentissima decisione del TAR Liguria, sez. II, 13 dicembre 2004, n.
1708.
Che tali problematiche non siano di poco conto è dimostrato dal fatto che
anche il CNIPA si è recentemente mosso per fronteggiare in qualche modo le
suddette prassi. Infatti, con le circolari n. 44 del 5 ottobre 2004,
e n. 45 del 27 dicembre 2004,
l’ente presieduto dal dott. Livio Zoffoli si è pronunciato sull’opportunità
di prevedere, nei bandi e capitolati di appalti pubblici per l'acquisizione di
PC, oltre ai necessari requisiti funzionali e qualitativi, dei cosiddetti benchmark
prestazionali, con i quali poter misurare in modo più obbiettivo le prestazioni
di desktop, notebook e server, indipendentemente dalle loro caratteristiche
tecniche.
Ora, alla luce di questo quadro tutt’altro che tranquillizzante, forse il codice avrebbe potuto dire qualcosa di più. In particolare avrebbe potuto
prevedere a carico delle amministrazioni appaltanti qualche adempimento
ulteriore e più stringente rispetto a quelli riconducibili ai generali principi
in materia di appalti pubblici.
La Sezione II del Capo V è dedicata ad uno degli obiettivi primari del
Dipartimento per l’innovazione e le tecnologie: il riuso dei programmi
informatici.
L’art. 70, nel riprendere quanto già sancito in precedenti norme di rango
primario (art. 25, L. 340/2000 - legge di semplificazione per il 1999) ed in
norme regolamentari (la suddetta direttiva ministeriale del 19 dicembre 2003,
“Sviluppo ed utilizzazione dei programmi informatici da parte delle pubbliche
amministrazioni”), prevede che le pubbliche amministrazioni titolari di
programmi applicativi abbiano l’obbligo di darli in uso gratuito ad altre
pubbliche amministrazioni che li richiedono e che intendano adattarli alle
proprie esigenze.
A tal fine, peraltro, vengono fissate alcune prescrizioni per quelle
amministrazioni che, invece di avvalersi del riuso, vogliano sviluppare o
acquisire programmi “di prima mano”: in primis, i contratti di
acquisto dovranno contenere clausole che garantiscano la proprietà dei
programmi; inoltre, per i programmi appositamente sviluppati per conto e a spese
dell’amministrazione, essi dovranno essere facilmente portabili su altre
piattaforme, ed i fornitori dovranno essere vincolati a fornire ad altre
amministrazioni consulenza e servizi finalizzati al riuso. In altri termini, la
norma prevede una serie di clausole finalizzate alla riutilizzabilità del
programma che si intende acquisire, la cui mancanza comporterà l’illegittimità
del bando.
A tali stringenti prescrizioni si affianca quella più generale e di
principio contenuta all’art. 69, comma 2, secondo cui le pubbliche
amministrazioni, sia nella predisposizione che nell'acquisizione di programmi
informatici, devono adottare soluzioni informatiche che assicurino
l'interoperabilità e la cooperazione applicativa.
Ma la vera innovazione è contenuta nell’art. 71. Il software
realizzato dalle pubbliche amministrazioni, se ritenuto dal CNIPA idoneo al
riuso da parte di altre pubbliche amministrazioni, confluirà in una banca dati
all’uopo predisposta, che dovrà essere obbligatoriamente consultata da tutte
quelle amministrazioni che intendono acquisire programmi applicativi. Ed
infatti, qualora tali amministrazioni decideranno di non utilizzare una della
applicazioni contenute nella banca dati, su esse graverà l’obbligo di
motivare adeguatamente la decisione.
Che il Governo riconoscesse al riuso un importante ruolo lo si era già
compreso. D’altro canto il secondo avviso di e-government è stato pensato dal
CNIPA proprio all’insegna del riuso. Il bando di finanziamento “per la
presentazione delle offerte di riuso e la realizzazione del catalogo delle
soluzioni di e-Government” (in GU n. 253 del 27 ottobre 2004), scaduto, dopo
una breve proroga, il 25 gennaio 2005, si rivolgeva agli enti coordinatori dei
134 progetti cofinanziati dal primo avviso, e richiedeva proprio che venissero
formulati dei progetti di riuso aventi ad oggetto le applicazioni tecnologiche
allora selezionate. A seguito di questo secondo avviso verrà creato il cd.
catalogo delle soluzioni di e-government, che presumibilmente coinciderà con la
banca dati prevista dall’articolo 71 del Codice, di cui si è già detto.
In conclusione, il riuso può certamente risultare, a lungo termine, uno
strumento eccezionale per il perseguimento dei canoni di economicità, efficacia
ed efficienza della cosa pubblica, ma la realizzazione nel medio termine dei
suoi presupposti può rallentare gravemente l’intero processo di
informatizzazione della PA. I fattori di rallentamento oggi prevedibili sembrano
essenzialmente due, entrambi legati al rapporto tra Stato ed autonomie locali:
a) l'interoperabilità come percorso obbligato anche per le autonomie locali
potrebbe costituire un pesante fardello, sia in termini di costi che di tempo;
b) la necessità di prevedere un nucleo di regole di interoperabilità e
cooperazione applicativa uguali per tutti, quindi centralizzate, potrebbe avere
conseguenze negative sul processo di evoluzione tecnologica della PA, processo
che da sempre ha vissuto i suoi momenti più fecondi grazie ad iniziative
localizzate, provenienti “dal basso”. Il precoce esaurimento del sistema
delle convenzioni centralizzate gestite da Consip Spa forse non deve essere
considerato soltanto uno sfortunato ed isolato precedente.
Con questo quinto contributo si chiude – per il momento – l’analisi
delle norme di rilievo pubblicistico dello schema di codice dell’amministrazione
digitale. Rimaniamo in attesa della sua entrata in vigore, comunque consapevoli
della sua dirompente forza innovativa che, nel bene e nel male, presto
condizionerà il modus agendi della pubblica amministrazione italiana.
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