Grande giubilo per le novità sul domicilio digitale dei cittadini,
introdotte dal decreto legislativo 217/17, appena entrato in vigore. Ma nel
frattempo, se devo notificare un atto giudiziario a una PA, serve sempre un
pezzo di carta.
E’ appena entrata in vigore, il 27.01.18, l’ennesima modifica strutturale
del Codice dell’amministrazione digitale (DLGV 217/17), e molto ci sarà da
studiare e da scrivere nelle prossime settimane.
Partiamo da quello che non va: per dare la dimensione di come
sia difficile cambiare veramente questo Paese, dando un senso compiuto al
concetto stesso di cittadinanza digitale, si può prendere come esempio il tema
delle notifiche di atti giudiziari alla pubblica amministrazione: un tema sul
quale si sarebbe assolutamente dovuti intervenire, e che invece rappresenta l’ennesima
occasione persa.
Questo lo scenario di fondo:
1. tutti conosciamo i vantaggi concreti del processo civile telematico (PCT),
ormai una realtà consolidata che sta rivoluzionando il sistema giustizia
ed il modo in cui si esercita la professione di avvocato (di recente, in
un pochi minuti ho potuto depositare tre comparse di costituzione, al
Tribunale di Venezia, a quello di Busto Arsizio ed a quello di Firenze,
senza muovermi dalla mia sedia!);
2. nel quadro del tessuto di norme che regola il PCT, esiste una
disposizione dedicata al tema delle notifiche di atti giudiziari: l’art.
16-ter del DL179/12, che detta una disciplina specifica individuando
analiticamente quali siano i pubblici elenchi ai quali è possibile
attingere per estrarre un account PEC validamente utilizzabile per le
notificazioni. Nella sua formulazione originaria, tra gli elenchi
utilizzabili era espressamente contemplato anche il cosiddetto IPA – l’indice
delle Pubbliche Amministrazioni tenuto dall’AGID (all’epoca CNIPA): il
riferimento generale all’art. 16 DL 185/2008, comprendeva "di default"
anche quello all’IPA, contenuto nel comma 8 della norma richiamata. Se
quindi, sempre senza muovermi dalla sedia, avevo richiesto ed ottenuto un
decreto ingiuntivo telematico nei confronti ad esempio di un Comune,
consultando quell’indice mi era possibile perfezionare in via digitale e
telematica anche la notifica. Un ottimo modo di intendere il PCT, creando
condizioni identiche quale che sia il contraddittore, un’impresa (il cui
account deve esser indicato nel cosiddetto INI-PEC) o una pubblica
amministrazione;
3. a un certo punto, qualche mano sinistra (in tutti i sensi!) ha deciso che
così era troppo semplice: con il DL 90/14 (art. 45 bis comma 2 lett. a), l’art.
16-ter è stato modificato, ed il riferimento all’art. 16 DL 185/08 tout
court, si è trasformato in un ben più limitato richiamo al solo comma 6, e
cioè al al solo INI PEC, elenco come noto relativo alle PEC di imprese e
professionisti. All’inizio, diciamo la verità, non se ne era accorto
praticamente nessuno. Poi, con una nota del Ministero della Giustizia del
21.06.16, si è dato corso ad una certosina ricostruzione delle norme di
riferimento, e si è giunti alla ferale conclusione che l’indice INI PA non
era più utilizzabile, in quanto non era più contemplato fra gli elenchi
pubblici richiamati dall’art. 16-ter DL 179/12, potendosi a tale fine
utilizzare esclusivamente il cosiddetto Registro delle PA (cosiddetto Registro
PPAA) tenuto dal Ministero di Giustizia, e consultabile solo previa
identificazione sul cosiddetto portale giustizia (pst.giustizia.it).
Si dirà: poco male, andrà consultato un elenco invece di un altro. E invece
è sufficiente dare una occhiatina a quest’ultimo Registro per verificare come
la stragrande maggioranza delle PA (e sto usando un eufemismo) non abbiano
affatto comunicato al Ministero la propria PEC. Risultato? Da un lato, un
pastrocchio immondo, perfettamente rappresentato dalle sempre più frequenti
pronunce di Tribunali e TAR, impegnati a dichiarare nulle le notifiche
effettuate da avvocati che non avevano presente il problema, e che avevano
utilizzato account estratti dall’INI PA per effettuare le notifiche a mezzo
PEC, con effetti devastanti, e casi di sostanziale denegata giustizia, imposta
dal delirio normativo appena descritto. Dall’altro lato, l’effetto perverso
per chi aveva studiato il problema, e non trovava l’indirizzo PEC della PA sua
contraddittrice nel Registro PPAA tenuto dal Ministero, era di avere una sola
strada: anche nel caso del decreto ingiuntivo telematico, stampare tutto, e
procedere alla notifica cartacea, con un inutile dispiego di energie di tutti i
tipi.
Ora, rispetto a questo quadro così fosco, ci si sarebbe
aspettati che il Super Team Digitale, oltre ad affrontare il problema del
domicilio digitale dal lato del cittadino (ciò che il DLGV 217/17 ha fatto,
modificando l’art. 3bis del Codice dell’Amministrazione digitale), avrebbe
messo mano anche a questa stortura, e ciò anche in considerazione delle
modifiche nel frattempo apportate al Codice dal DL 179/16, che aveva introdotto,
con il nuovo art. 6-ter del Codice stesso, uno strumento apparentemente
potenziato, e cioè il cosiddetto "Indice dei domicili digitali delle
pubbliche amministrazioni" sempre tenuto da Agid, il cui varo era
accompagnato non solo dall’obbligo a carico delle PA di comunicare ed
aggiornare il proprio indirizzo PEC (obbligo, come detto, sistematicamente
violato nel caso del Registro PPAA presso il Ministero), ma anche il seguente,
italico volano per dare una spintarella ai funzionari più sonnecchianti :
"La mancata comunicazione degli elementi necessari al completamento
dell'Indice e del loro aggiornamento e' valutata ai fini della responsabilita'
dirigenziale e dell'attribuzione della retribuzione di risultato ai dirigenti
responsabili".
C’era quindi anche uno strumento nuovo, e con il DLGV
217/17, si sarebbe potuta fare una cosa molto, molto semplice: rimodificare l’art.
16-ter DL 179/12, ricomprendendo esplicitamente l’Indice di cui all’art. 6-ter
del Codice fra gli elenchi pubblichi utilizzabili ai fini delle notifiche alle
PA.
E invece... invece, ecco il testo che, su questo punto,
certifica una resa molto, molto eloquente, con l'art. 66 comma 5 del DLGV
217/17:
L'articolo 16-ter, comma 1, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, e' sostituito dal seguente: «1. A decorrere dal 15 dicembre 2013, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale si intendono per pubblici elenchi quelli previsti dagli articoli 6-bis, 6-quater e 62 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, dall'articolo 16, comma 12, del presente decreto, dall'articolo 16, comma 6, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, nonche' il registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della giustizia.
Risultato finale: anche oggi, sì, proprio oggi, che ci
riempiamo la bocca con la grande rivoluzione del domicilio digitale di ultima
generazione e parliamo di eccezionale avanzamento nell’utilizzo delle
comunicazioni telematiche fra PA e cittadino, se è quest’ultimo che deve far
valere un diritto e notificare un atto giudiziario (e se il Registro PPAA presso
il Ministero non contiene, come la maggior parte delle volte non contiene, l’account
di posta di quello specifico Comune), al povero avvocato che lo assiste non
resta che stampare l’atto, ed utilizzare strumenti di notifica dell’ante-guerra.
Oppure esporsi (consapevolmente o no), al rischio che una notifica indirizzata
alla PEC risultante dall’Indice dei domicili digitali delle pubbliche
amministrazioni di cui all’art. 6-ter del Codice venga dichiarata nulla.
PA salva, cittadino fregato! E un salto nel passato che si
poteva tranquillamente evitare.
* Avvocato
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