Ritardi e caos normativo rischiano di rendere inefficace il Regolamento europeo.
La campagna di comunicazione del Garante "tolleranza zero" sorvola
sulla scarsità delle risorse per operare i controlli. Non c'è che una
soluzione...
Non è ancora nemmeno decorso il famigerato termine del 25 maggio che i
tentativi di applicazione del GDPR hanno già mostrato il suo peccato originale
(quello di essere una norma troppo ambiziosa, tanto da essere praticamente
inapplicabile) e l'incapacità irresponsabile delle istituzioni, che si riducono
all'ultimo momento per armonizzare il Codice dei dati personali con il
Regolamento, non prima di avere emanato leggi palesemente contrarie - nello
spirito e nella sostanza - a quello che in Europa era stato deciso.
Penso alla incredibile norma sul divieto di riuso dei dati genetici per
finalità di ricerca, o alla confusione generata dalla legge che, confermando
l'esistenza della figura del responsabile del trattamento ai sensi degli
articoli 4 e 29 del Codice dei dati personali, pone problemi di coerenza con la
figura del responsabile istituita dall'articolo 28 del GPDR. O alla sua
inattività nell'affrontare questioni chiave per un'applicazione ragionata e
ragionevole del Regolamento europeo come, per esempio, l'esclusione delle ditte
individuali, delle società di persone e dei professionisti dalla nozione di
"interessato", quando operano nell'ambito delle attività
imprenditoriali e non come privati cittadini.
C'è da sperare che la commissione nominata presso il Ministero di giustizia,
che sta scrivendo il decreto di armonizzazione fra la norma italiana e quella
comunitaria, prenda in considerazione questo tema che, se gestito bene,
semplificherebbe gli adempimenti a carico dei titolari, liberando risorse
economiche e organizzative da dedicare ad ambiti di conformità normativa molto
più critici, come il trattamento dei dati (ex)sensibili o la formazione di Data
Protection Officer effettivamente adeguati al ruolo che devono ricoprire.
E già che siamo in argomento, nonostante "GDPR guru",
"Privacy Ninja" e "Certified DPO" stiano spuntando come
funghi dopo la pioggia- come anche i "master", i "corsi di alta
formazione" e diplomifici di varia natura - c'è una carenza di figure
professionali realmente adatte al ruolo. E spero che nessuno possa pensare che
la frequenza di tre mesi di corso sia sufficiente per acquisire competenze così
trasversali e complesse come quelle necessarie allo scopo.
A questo caos normativo si aggiunge la campagna di comunicazione
dell'Autorità garante per la protezione dei dati personali che promette
"tolleranza zero" per chi non si adegua.
Ma, con buona pace del Garante dei dati personali, la realtà è che non sarà
possibile controllare tutti i titolari del trattamento - o anche una parte
rilevante di essi. Non c'è abbastanza Guardia di finanza per fare queste
verifiche, e men che meno personale interno dell'Autorità.
Quindi, nella pratica, tutto il fracasso fastidioso e irritante generato
dalle grancasse sul GDPR si risolverà - come già accade, peraltro - in un po'
di carta, qualche procedura e non molto di più. E visto che la probabilità di
essere "verificati" dal Garante è inferiore a quella di subire una
verifica fiscale, se proprio dovesse capitare di avere "visite", come
si dice a Roma a chi je tocca, nun se 'ngrugna.
Specie fra chi - come ampi settori industriali delle PMI italiane - non
tratta dati particolarmente critici, infatti, non mi stupirebbe un approccio di
tipo puramente formale. Tutto sommato, anche se dovesse arrivare una sanzione
sarebbe grandemente inferiore al costo di una inutile e inefficiente conformità
normativa.
Ma, in cauda venenum, il vero fattore bloccante per un'applicazione
seria del GDPR è l'impossibilità di esigere concretamente dalle multinazionali
del software e dei servizi ICT una effettiva assunzione di responsabilità per
il rispetto dei principi di data protection by design e by default.
Al di la di statement su blog ufficiali o clausole più o meno
generiche, nessuno di questi soggetti dice chiaramente di essere al 100%
conforme al GDPR e di essere disposto ad assumersi, contrattualmente, la
responsabilità in caso questo non fosse vero.
Detto in termini più espliciti, questo significa che il "barile"
della responsabilità per l'adempimento al GDPR si ferma sulle spalle degli
utenti grandi e piccoli di servizi ICT.
E allora, il modo più efficace per conformarsi al GDPR è stipulare due
polizze assicurative: una per responsabilità civile e l'altra per la copertura
delle spese giudiziarie.
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