"Dati personali, un progetto da rifare" era intitolato il mese
scorso l'articolo sul disegno di legge governativo sulle banche dati.
"All'estero ci hanno fatto i complimenti", replica il magistrato che
ha seguito il travagliato percorso del progetto. E sottolinea i lati positivi,
chiarisce i dubbi, dissipa i timori...
Gli antichi saloni e gli sterminati corridoi del Ministero di Grazia e
Giustizia hanno qualcosa di solenne e grandioso che mette in guardia il
cronista. Qui non si scherza.
Infatti non manca la grinta al giovane pubblico ministero che mi aspetta
nell'Ufficio legislativo del Ministero di grazia e giustizia. Il dottor Giovanni
Buttarelli ha davanti a sé l'articolo pubblicato un mese fa, pieno di
sottolineature con l'evidenziatore arancione. Il tono cortese non nasconde
l'intenzione di dare battaglia in difesa del testo incriminato. A proposito di
incriminazioni: perlustro rapidamente la scrivania con lo sguardo, ma non vedo
nulla che possa assomigliare a un avviso di garanzia. Forse per questa volta me
la cavo.
Vedo che mi ha corretto il compito, dottor Buttarelli. Evidentemente non
condivide certe perplessità...
Sono le legittime perplessità e riserve che può avere un interprete che
legge un testo così complesso. Però non ho notato sostanziali critiche di
merito, e le perplessità sono fugate pacificamente o dal testo stesso o dalla
relazione e dai lavori preparatori, o dal contesto comunitario. Perché la prima
cosa che va detta è che il disegno di legge è conforme alla proposta di
Direttiva comunitaria e alla convenzione di Strasburgo. La proposta di Direttiva
comunitaria è stata discussa per quasi cinque anni, è stata sottoposta
all'approvazione del Parlamento europeo, è stata presentata già in una
versione modificata, dopo un'ennesima e faticosissima discussione. Ora è giunta a
livello di "posizione comune", questo è il termine tecnico, per cui
almeno quattordici stati su quindici condividono integralmente il tenore di
questo provvedimento. C'è solo il Regno Unito che ha qualche perplessità su
due o tre punti; si vedrà nella fase definitiva se, come credo, questi dubbi
potranno essere sciolti.
Ecco perché il testo è così contorto. A furia di lavorarci sopra...
Le disposizioni di cui nell'articolo si mette in dubbio il significato sono
state centellinate sillaba per sillaba e hanno un loro pacifico significato in
tutto il contesto comunitario. Mai un'interpretazione potrebbe essere data in
contrasto con la "ratio" che emerge dai lavori preparatori e dalla
Direttiva comunitaria, perché questa legge esige la stretta relazione tra il
Garante e le altre autorità di controllo. Poi ci sono degli organi, a
Strasburgo e a Bruxelles, deputati a tamponare eventuali difformità che si
possono verificare in fase di attuazione. C'è una stretta collaborazione
proprio per evitare difformi interpretazioni e difformi applicazioni. E ci sono
anche delle procedure che consentiranno di eliminare eventuali disarmonie, che
comunque vanno messe in conto, perché si tratta di una disciplina di impatto
molto vasto.
D'accordo. Ma lei mi insegna che la prima fonte del diritto è la legge, e
l'interpretazione soccorre quando ci siano dei punti non particolarmente chiari,
o delle disarmonie, come le chiama lei.
Vorrei dire che questa è anzitutto una legge di principi.
Ma se è una legge di principi, perché non incomincia esprimendo questi
principi? Per esempio: articolo uno, questa è una legge fondamentale perché
tutela il diritto alla riservatezza di ogni individuo, eccetera eccetera.
Le norme-manifesto lasciano il tempo che trovano. Queste norme, anche se è
difficile capirle in una prima lettura, hanno delle loro esigenze di tecnica
legislativa. Purtroppo la tecnica legislativa non è una scienza o un'arte
pensata in funzione dell'uomo della strada, questo bisogna riconoscerlo. Di
fronte a questa difficoltà, di fronte a queste maglie strette della tecnica
legislativa, fare del terrorismo interpretativo non aiuta. Una legge pensata in
un'altra maniera, cioè con un testo che spiegasse "terra terra" i
principi a cui lei accennava, non sarà possibile farla, perché noi abbiamo
anche l'esigenza di depositare questo disegno, come abbiamo già fatto, presso
alcuni organismi internazionali, che dovranno verificare la conformità con i
testi comunitari e con le convenzioni, in relazione con altri provvedimenti, e
quindi non si può fare diversamente.
Questo non toglie che molti passaggi suscitino qualche dubbio interpretativo,
anche senza voler fare del terrorismo.
Alcuni dubbi trovano spiegazione nella relazione illustrativa alla legge, che
è uno dei testi che, con i lavori preparatori, hanno una chiara efficacia in
sede interpretativa. Per quanto riguarda il concetto di banca dati, questa
definizione non è negoziabile, perché si trova in molte leggi europee e nella
proposta di Direttiva comunitaria. Negli altri paesi non ha suscitato i problemi
che si paventano qui, non c'è nessuna intenzione di disciplinare l'agenda
personale o un taccuino automatizzato, che in nessun paese è oggetto di
disciplina. Questo lo dice la stessa relazione alla legge. La pluralità di
criteri è stata citata a proposito della banca dati al fine di restringere
l'applicabilità della Direttiva alle banche dati di carattere manuale. Non va
dimenticato infatti che, per quanto attiene alle banche dati automatizzate, la
disciplina non si applica alla banca dati, ma al trattamento, e questa è una
scelta ormai consolidata. Si notifica il trattamento, non la banca dati. Questo
perché non c'è stata concordia a livello europeo, ma anche oltre, sul concetto
di banca dati, e si è constato che una definizione statica non sarebbe aderente
agli sviluppi della realtà tecnologica. La scelta di puntare l'attenzione sulle
operazioni di trattamento consente di fare un unica notificazione per una
pluralità di operazioni e soprattutto per una pluralità di banche dati. La
definizione di banca dati ha una rilevanza del tutto residuale, al solo fine di
chiarire in quale ambito la legge si applichi per gli archivi cartacei. La
"ratio" della Direttiva e del disegno di legge è di applicare questa
sfera di garanzie soltanto agli archivi cartacei che, per tipo di impostazione e
quindi per la compresenza di diversi criteri, consentano di reperire un dato in
tempo quasi reale, agevolando la cirolazione delle informazioni e ponendo le
stesse difficoltà rispetto all'intreccio dei dati e ai flussi di informazioni
che si registrano a proposito delle informazioni automatizzate. Ciò significa
che per un comune schedario in ordine alfabetico sono in vigore le garanzie
comuni previste dall'attuale legislazione.
Insomma, non dovrò notificare al Garante la mia agenda personale?
Anche la definizione di banca dati ad uso personale è maturata e consolidata
in quindici anni di legislazione europea. Lei potrà fare uso della sua agendina
automatizzata o no, senza dover fare una notificazione al garante e senza dover
essere soggetto passivo di una richiesta di accesso dell'interessato, perché
lei utilizza questa agendina per uno scopo personale.
Ma nel mio caso è anche uno scopo professionale.
A Strasburgo e a Bruxelles ci sono tonnellate di carta che chiariscono il
senso di questa disposizione. E' netta la nostra scelta di fare un passo avanti
rispetto ad altre leggi, che non consentono di concepire una banca dati di uso
personale quando lo scopo è collegato a un'attività professionale. Si è
chiarito che lo scopo personale può essere anche di natura professionale,
contrariamente ad altre leggi di area europea. La legge belga, ad esempio,
prevede che la banca dati ad uso personale che attenga anche a una attività
professionale, anche autonoma, vada notificata. Naturalmente bisognerà poi
andare a vedere se ci saranno fenomeni di elusione, perché se un datore di
lavoro custodisse dati relativi alla salute o alle opinioni dei lavoratori nella
propria agenda personale, credo che l'autorità garante e l'autorità giudiziara
potrebbero fare obiezioni. L'unico pricipio che si applica alle banche dati
personali è quello relativo alla sicurezza. La legge si disinteressa di questi
archivi, ma impone al titolare di non lasciare i dati alla portata di chiunque.
Vediamo il punto della cancellazione o della distruzione dei dati. Che
differenza c'è?
Si è constatato che il momento in cui il titolare si disfa dei dati è un
momento piuttosto delicato. C'è il principio in base al quale i dati raccolti
per uno scopo non possono essere utilizzati per altre operazioni di trattamento
in termini non compatibili con il primo scopo. Anche attraverso la distruzione
dei dati si possono ledere i diritti dell'interessato: supponiamo che io
diffonda dati inesatti e non accertati, e che l'interessato eserciti il suo
diritto di far integrare i dati e di far ridivulgare i dati aggiornati e
integrati. Io potrei aggirare questa richiesta distruggendo il dato. Per questo
anche la distruzione dei dati non è del tutto disponibile.
Che significa che il dato non può essere conservato dopo il periodo
necessario per l'elaborazione, che deve essere cancellato?
Può essere congelato. L'articolo 4 non obbliga a cancellare, ma a non
conservare i dati in una forma che consenta l'dentificazione dell'interessato.
Affermando il "diritto all'oblio" il dato potrà essere reso anonimo.
Ma qui entriamo nella materia dei decreti delegati.
La previsione del decreto delegato riguarda i dati con valore storico, ma nei
diciotto mesi tra l'entrata in vigore della legge e l'emazione del decreto, se
si applicasse la legge si arriverebbe quasi a una distruzione generalizzata
degli archivi, o perlomeno molti dati dovrebbero essere resi anomini, creando
non pochi problemi agli storici del futuro.
Presto fatto. Prima di tutto non esiste una categoria generale di dati o
archivi storici. Nell'amministrazione dello Stato ci sono documenti pubblici e
privati che conflusicono negli Archivi dello Stato. C'è l'articolo 33, comma 2,
che fa salve le disposizioni sugli archivi di Stato. L'articolo 4 lettera e)
sancisce un principio elastico, perché lo scopo che giustifica la raccolta può
essere anche di lunghissima durata, non è detto che debba esistere
necessariamente un termine per ogni tipo di dato, ma un determinato scopo può
presupporre una conservazione a tempo indeterminato.
Il valore storico di un dato spesso non è evidente al momento in cui viene
raccolto, ma emerge quando viene trovato, magari dopo cento o duecento anni
Possiamo fare l'esempio di un dato conservato da un datore di lavoro,
relativo a un'indennità di malattia di un dipendente. Questo dato potrà
servire tra molti anni, magari per una indagine sui tumori: bisogna dirlo al
lavoratore. Quello che non si dovrà fare più è decidere in base alle
convenienze del momento, e in segreto, quale sarà la sorte del dato. Questa è
una legge che, più che sacrificare l'informazione, impone limpidezza e
trasparenza nella gestione dei dati. C'è un'esigenza di conservare dei dati per
trenta, per cinquanta, per settanta anni? Bene, basta dirlo.
C'e un altro problema, quello delle dimensioni dell'ufficio del Garante dei
dati. Una cinquantina di persone, per centinaia di migliaia, forse milioni di
banche dati.
Questo è un problema reale, ed è un problema di cui la Camera si è resa
conto approvando un ordine del giorno che invitava il Governo a rafforzare
quest'organo. Questo invito è stato accolto escludendo un congruo numero di
notificazioni, è stato eliminato l'obbligo di notificazione per tutti i dati
relativi a persone giuridiche, enti associazioni, e per tutti i dati di
carattere manuale. E' stato introdotto per le aziende un sistema di
notificazione semplificato, per cui ci si potrà avvalere di moduli forniti dai
registri delle imprese delle Camere di commercio, che hanno un'esperienza
consolidata su questo tipo di operazioni. Il decreto delegato regolerà
eventuali ipotesi che ora non siamo in grado di prevedere in maniera esauriente.
Va notato che la Convenzione di Strasburgo obbliga gli Stati a garantire a
chiunque di conoscere l'esistenza di un trattamento. Questo lo si ottiene
informando l'interessato, oppure prevedendo un sistema di notificazione
pubblica, dal quale si deve arguire che l'interessato è legalmente informato.
La Direttiva prevede l'obbligo di informare l'interessato quando il dato non è
stato raccolto presso di lui, quindi non ha potuto essere informato al momento
della raccolta.
Questo problema si pone in particolare per le banche dati della pubblica
amministrazione, per le quali si possono propspettare conflitti di competenza
tra il Garante dei dati e l'Autorità per l'informatica
Il testo approvato dal Consiglio dei Ministri prevede un collegamento
funzionale, che dovrà essere sviluppato, tra il Garante per la protezione dei
dei dati e l'AIPA.
Vediamo un altro punto: i "dati suscettibili di essere registrati in una
banca di dati, eccetera eccetera". Diciamolo, questa norma non è un
capolavoro di chiarezza!
Questo articolo trova spiegazione in un verbale della Commissione Giustizia
della Camera...
Dottor Buttarelli, qui c'è un testo di legge, che deve spiegarsi da solo.
Non posso andare a cercare un verbale di una commissione parlamentare, per
capire che cosa significa.
...ed è perfettamente corrispondente con la Direttiva comunitaria...
Ma io voglio capire che cosa c'è scritto! Per rispettare una legge, un
cittadino deve capirla. Se non ci riesco io, che bene o male ho una laurea in
Giurisprudenza, come può cavarsela l'uomo della strada?
Mi dispiace, per me è un testo chiarissimo.
Allora me lo spieghi, per piacere.
Questo provvedimento si applica agli archivi cartacei, limitatamente a quelle
informazioni che sono già inserite in un archivio definito dall'articolo 1, o
possono esservi inseriti successivamente. Che cosa significa "possono
essere inseriti successivamente"? Significa che, poiché la Direttiva e il
disegno legge prevedono un sistema di garanzie dell'interessato e poiché,
limitatamente ai dati cartacei, si vuole disciplinare soltanto i dati che sono
inseriti in una banca dati, qualcuno potrebbe raccogliere dei dati riservandosi
di registrarli successivamente. La Convenzione di Strasburgo prevedeva questo
sistema di garanzie a partire dalla registrazione dei dati, il che ha portato a
fenomeni di elusione su scala europea, perché nella fase della raccolta i
diritti dell'interessato non erano garantiti. La Direttiva ha anticipato questa
sfera di tutela al momento della raccolta. Qui si innestano due esigenze:
disciplinare la fase della raccolta da un lato, e dall'altro evitare di
applicare la disciplina anche ai dati cosiddetti "dispersi", al
semplice foglio di carta o a un insieme non strutturato di fogli di carta, ma
soltanto a vere e proprie banche dati cartacee. Come si fa quindi a stabilire
quando si è in presenza di un foglio disperso se questo foglio può essere
successavimante inserito in un archivio? Nel precedente disegno di legge avevamo
usato l'espressione "destinati a essere registrati". I Deputati hanno
detto che quella formulazione della norma non era condivisibile, in quanto dava
rilevanza a una destinazione di carattere soggettivo, a un'indagine
sull'intenzione del titolare, che era di difficile configurazione. Hanno voluto
un sistema obiettivo, imponendo al titolare un onere al momento della raccolta.
Il titolare, quando raccoglie un dato, ha l'onere di applicare le garanzie
prevste dalla legge, se è ipotizzabile che quel dato possa essere inserito in
una banca dati anche in un momento sucessivo. Sostanzialmente si giunge a un
sistema in base al quale non si dovranno applicare le regole soltanto quando è
escluso alla radice che un dato disperso possa essere inserito successivamente
in una banca dati. Non si può andare in giro a raccogliere dati, per sondaggi o
per altre cose, magari raccogliendo informazioni su opinioni politiche, e poi
decidere, al di fuori di un quadro di garanzie, di registrarli in una banca dati
e avvertire l'interessato solo in quel momento. L'interessato deve essere
avvisato al momento della raccolta.
Veniamo a un altro punto, che riguarda le strutture telematiche. Sembra di
capire che nel momento in cui qualcuno si collega dall'estero a un BBS italiano
e chiede di leggere l'elenco degli abbonati, si abbia un'esportazione di dati
personali, che deve essere notificata al Garante con trenta giorni di anticipo.
Ma questi collegamenti avvengono milioni di volte al giorno, in tempo reale.
Come si fa? Tutti i collegamenti via Internet saranno contro la legge?
Chiariamo una cosa: la legge non si occupa di tutte le BBS in quanto tali, ma
solo degli aspetti che si riferiscono alla diffusione di dati personali. Altri
generi di informazioni non ci interessano. Per queste operazioni molti Stati
prevedono una procedura di carattere autorizzatorio, cioè non si possono
esportare dati se non c'è una specifica autorizzazione. C'è poi dappertutto un
divieto di esportazione dei dati se il paese di destinazione non offre una
protezione di grado equivalente. C'è una giurisprudenza consolidata delle
autorità di controllo europee, che dialogo intensamente tra loro. C'è una
uniformità di vedute circa il grado di protezione offerto nel paese
destinatario, non solo a livello di leggi, ma anche con mezzi di tutela
supplementari, contrattuali, norme civilistiche e così via. Ma ormai sono stati
monitorati, se così si può dire, tutti i paesi, anche per i traffici che
riguardano le prenotazioni delle compagnie aeree e simili. Noi abbiamo previsto
una disciplina snella, che non necessita di autorizzazione. C'è soltanto
l'attesa di un termine. Chiariamo anche che un conto è la consultazione, che
non è oggetto di attesa del termine, e un conto è l’esportazione. L’attesa
c'è solo quando si devono mandare dei dati all'estero. Il meccanismo di
informazione di cui all'articolo 18, comma 3, esiste in riferimento a banche
dati che hanno la loro sede e la loro gestione in territorioestero. Internet non
rientra nel campo italiano, quindi rientra in questa disciplina. Il trattamento
di dati personali che hanno una loro disciplina all'estero, e Internet ha una
disciplina anche in altri paesi, non trova disciplina necessaria in ambito
italiano, per evitare una sovrapposizione di disposizioni. Sostanzialmente si
confida nelle disposizioni protettive della disciplina straniera. Nel caso di
banche dati di società collegate o controllate, che dialogano tra loro per via
telematica, si forma un unico sistema complesso e si procede a una sola
notificazione.
Dunque basterà notificare una volta per tutte che una struttura telematica
compie certi traferimenti di dati? Potrebbe essere troppo o troppo poco, a
seconda dei punti di vista, considerando l'estensione di Internet.
Internet è al centro dell'attenzione delle autorità che in campo europeo e
in campo americano si occupano della protezione dei dati. La Direttiva
prevederà un comportamento uniforme verso Internet da parte di tutti i paesi
europei. Il 25 e 26 febbraio ci sarà a Bruxelles un vertice del G7 sulla
società dell'informazione, che affronterà queste tematiche partendo dal
Rapporto Bangemann. In questo ambito si parlerà anche della protezione dei
dati. Anche tra le imprese è ormai pacifico che lo svluppo della società
dell'informazione deve portare ad una diffusa affidabilità degli strumenti
informatici, affidabilità che esiste se il cittadino è posto in condizione di
essere garantito anche da un punto di vista psicologico contro l'uso illegittimo
delle informazioni.
[RIQUADRATO]
Leggi chiare per la società dell’informazione
La protezione dei dati individuali è un argomento di capitale importanza
nella società dell’informazione. Aumentano infatti di giorno in giorno gli
archivi digitali che contengono informazioni sulle persone. Dalle banche alle
strutture sanitarie, dagli abbonamenti a pubblicazioni cartacee o elettroniche
alle “mail list” di Internet, su ciascuno di noi si accumulano dati su dati
che, correlati tra loro, possono aiutare a costruire “profili” estremamente
dettagliati di ogni cittadino.
Nel disegno di legge (che da ora in poi chiameremo forse “legge Buttarelli”)
tutto questo è previsto, regolamentato e sanzionato, in armonia con le
disposizioni presente nelle legislazioni europee, e non solo europee. Qui
occorre una prima considerazione molto interessante: le leggi della società
dell’informazione nascono già come leggi in qualche modo internazionali o
sovranazionali, proprio per la caratteristica di “ubiquità” che oggi ha
assunto l’informazione. Non serve regolamentare il funzionamento di una banca
dati in Italia, quando dall’Italia posso elaborare in tutta tranquillità dati
presenti un un computer che si trova in Francia o in Groenlandia o in
Madagascar. Sappiamo bene che ormai il luogo fisico in cui si trovano un’informazione
o un sistema di eleborazione non ha rilevanza per le possibilità di
trattamento, se non per la bolletta telefonica.
Ma lo sviluppo della società dell’informazione comporta un sostanziale
progresso nella partecipazione di tutti gli individui alla conoscenza e aumenta
il numero di persone coinvolte nei processi decisionali, fino a far intravvedere
un’utopia che si chiama “democrazia elettronica”. Questo significa che
cresce ogni giorno il numero di individui che vogliono sapere e vogliono
conoscere, perché vogliono decidere con la propria testa. Dunque vogliono
essere informati anche sulle leggi che li riguardano (Lo dimostra il numero di
lettere che MCmicrocomputer riceve sugli argomenti pubblicati in queste pagine.
Le richieste e i suggerimenti in materia di informatica e diritto aumentano di
giorno in giorno). Quindi si deve porre il problema di scrivere leggi che il
cittadino medio riesca a capire, per poterle osservare.
Osserva Buttarelli nell’intervista che la tecnica legislativa si deve
preoccupare di una serie di problemi molto complessi, e quindi le leggi non sono
scritte per essere capite dall’uomo della strada, ma per essere interpretate
dagli esperti.
Non è il caso di tediare i lettori di una rivista di informatica con sottili
disquizioni giuridiche. Basti dire che nelle facoltà di Giurisprudenza esiste
una materia che si chiama “Teoria dell’interpretazione giuridica”, che in
molti casi confina con la “Filosofia del diritto”, disciplina spesso astrusa
e comunque di scarso interesse per l’uomo della strada. Ma un’osservazione
non può essere tralasciata: le leggi dovrebbero essere scritte in modo che le
capisca chi le deve rispettare, prima di chiamare in causa l'interpretazione che
ne possono dare i giudici nel momento in cui il cittadino sia chiamato a
rispondere della loro violazione. E' una situazione paradossale: la legge viene
interpretata solo nel momento in cui si rileva una possibile violazione. Poi,
magari, dall'interpretazione compiuta dal giudice si conclude che la violazione
non c’è stata. C'è qualcosa che non va, in questo meccanismo.
La legge in sintesi: resta il problema di Internet
Dalle spiegazioni sul disegno di legge fornite dal suo “dominus” Giovanni
Buttarelli, si può provare a trarre una sintesi su quello che bisognerà fare
se la legge verrà approvata in questa forma, cosa che appare molto probabile.
1. La maggior parte dei trattamenti di dati che riguardino persone fisiche
dovranno essere notificati al Garante. Attenzione: quello che va notificato è
il trattamento, non la banca dati in sé.
2. Il trattamento di dati ad uso personale, anche se contenuti in archivi
informatici, non deve essere notificato. All’uso personale è equiparato l’uso
professionale in un’attività di lavoro autonomo.
3. La notificazione può valere per più banche dati e per più trattamenti,
e deve contenere una serie di indicazioni sullo scopo della raccolta, del
trattamento e della sua durata, che può essere anche molto lunga o addirittura
a tempo indeterminato, se lo scopo lo giustifica. Trascorso il tempo indicato, i
dati possono essere “congelati” o resi anonimi, e non possono essere ceduti
a terzi per scopi diversi da quelli indicati nella notificazione.
4. Ogni individuo ha il diritto di essere informato se esistono dati che lo
riguardano, per quale motivo vengono raccolti e conservati; può opporsi alla
loro comunicazione o diffusione e può esigere che vengano corretti o completati
nel caso presentino inesattezze o omissioni.
5. Uno dei diritto fondamentali del cittadino è il “diritto all’oblio”:
le informazioni, al di fuori di casi particolari, non possono essere conservate
all’infinito, perché potrebbero trasformarsi in una specie di “condanna a
vita” (norme di questo genere esistono già per il Casellario Penale).
6. Il disegno di legge non riguarda le strutture telematiche (BBS e altre) se
non per il fatto che possono comprendere archivi di dati personali. Deve essere
quindi notificato il trattamento, come per qualsiasi altra banca dati. Si deve
anche notificare l’eventuale esportazione di dati, con trenta giorni di
anticipo.
Quest’ultimo punto lascia alcuni margini di indeterminatezza. Quando una
struttura telematica è collegata a Internet, può ricevere e mandare dati in
tutto il mondo, senza la possibilità di prevedere dove e quando. E quindi anche
in paesi che non offrono le stesse garanzie di protezione in vigore nello Stato
di origine. Il problema è complesso e dovrà essere risolto in sede comunitaria.
La Direttiva che sarà emanata tra alcuni mesi stabilirà norme comuni per tutti
i paesi europei.
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