Giovanni Buttarelli, magistrato addetto all'Ufficio legislativo del
Ministero di grazia e giustizia e delegato per l'Italia nella "Autorità
comune di controllo Schengen", da anni segue per il Governo il tormentato
iter del disegno di legge sulla protezione dei dati individuali. E' considerato
il più autorevole esperto italiano della materia: ecco le sue valutazioni su
quella che potrebbe essere la stretta finale verso l'approvazione della legge.
Dottor Buttarelli, ci risiamo con il 1901 bis e ter? Con la normazione in due
tempi, prima le regole nella legge e poi le eccezioni in un decreto legislativo,
con la conseguente confusione nel periodo intermedio tra i due provvedimenti?
Diciamo meglio, 2296S e 2343S, che sono i numeri dei progetti del Senato
decaduti con la fine della passata legislatura. La riproposizione dei due testi
già approvati dalla Camera è motivata dalla necessità di evitarne la
decadenza. I regolamenti di entrambe le camere prevedono che, se il Governo
ripresenta senza modifiche entro sei mesi dallo scioglimento del Parlamento dei
testi già approvati da un ramo, questi usufruiscono di una corsia
preferenziale. E' il cosidetto "ripescaggio". Questo atto di impulso
è motivato dalla necessità di guadagnare tempo nell'iter parlamentare. Ciò
non significa che i testi debbano essere approvato tali e quali, però è un
segnale molto significativo. Come è significativo che il Consiglio dei Ministri
abbia approvato il disegno di legge già nella sua terza o quarta riunione.
C'è da supporre che questa fretta sia dovuta soprattutto alle pressioni
intermazionali.
Seguo questa materia in varie sedi internazionali e posso dire che fino a
questo momento la nostra immagine è veramente bassa, anche per questo motivo.
Adesso c'è una certa fiducia nella nostra volontà di porre rimedio a queste
lacune, però all'estero l'inerzia italiana appare veramente incredibile. Si
comprende che c'è un dibattito sulla necessità di scegliere tra certi valori,
se favorire quelli della privacy o quelli della funzionalità della pubblica
amministrazione e delle imprese. Però non si riesce a capire perché il
Parlamento non sceglie, privilegiando l'una o l'altra, o bilanciando gli opposti
interessi. Questa politica dello struzzo all'estero è incomprensibile. Credo
comunque che questa volta ci sia la certezza di avere la legge in tempi assai
ravvicinati, molto probabilmente all'inizio dell'autunno.
Ma non è possibile mettere a frutto il lungo dibattito che c'è stato,
soprattutto nell'ultimo anno, per mettere a punto un testo completo, applicabile
senza troppi rinvii?
Credo che occorra partire da ciò che era avvenuto al Senato, dove si era
ripetuto il dibattito verificatosi alla Camera: la Commissione affari
costituzionali aveva osservato che alcune deroghe, alcune
"concessioni" fatte a chi riteneva che il provvedimento fosse troppo
protettivo della privacy, erano state eccessive, e invitava a essere più cauti
nel prevedere una minore protezione. Poi erano stati presentati oltre duecento
emendamenti, anche se in buona parte ripetitivi, e quindi in realtà meno
numerosi di quanto apparisse. C'era una parte di emendamenti "di
bandiera", che non avevano nessuna speranza di essere presi in
considerazione, perché contrari alla direttiva dell'ottobre '95 o alla
convenzione di Strasburgo: messi così per fare colore o per prolungare il
dibattito in modo di non arrivare all'approvazione prima dello scioglimento
delle Camere. C'è invece un'altra serie di emendamenti che possono e debbono
essere presi in considerazione, e vanno proprio nel senso dell'anticipazione nel
corpo principale della legge di una parte delle misure che si prevedeva di
adottare con un decreto delegato del Governo. Noi eravamo partiti dall'idea che
l'urgenza della legge comportasse la necessità di inserire nel progetto la
maggior parte possibile della direttiva, circa il settanta per cento, e il
trenta per cento lo avevamo riservato al decreto delegato. Questo anche per
beneficiare della riflessione che è in atto a Bruxelles sul modo migliore di
attuare questo trenta per cento (per esempio riguardo alla deternimazione della
legge appicabile). Ci sono stati emendamenti per riprendere alcune parti più
"restrittive" o più "favorevoli" della direttiva e metterle
nel provvedimento principale. Questo lavoro tecnico è già stato approfondito,
e quindi non ci sono difficoltà, ferma restando la necessità di verificare la
correttezza giuridica di questi emendamenti. Ma avremo molto da fare soprattutto
dopo l'emanazione della legge, perché negli altri paesi è già iniziato il
dibattito sul modo in cui la direttiva può essere applicata nel mondo delle
tecnologie dell'informazione, soprattutto in Internet. Nel prossimo autunno ci
sarà una conferenza internazionale dei garanti, che dedicherà molte energie a
questo argomento, e c'è un gruppo di funzionari della UE che sta approfondendo
questa tematica. Mentre noi ancora siamo agli albori, perché ci occuppiamo di
cose che avremmo dovuto risolvere venti anni fa. Intanto il contesto
internazionale è andato avanti, perché c'è già una proposta assai avanzata
di una nuova direttiva comunitaria sulla protezione della privacy nel settore
delle telecomunicazioni, condotta in porto durante il nostro semestre di
presidenza. Questa direttiva aggiungerà qualcosa alla precedente e quindi
offrirà degli scenari diversi. Per esempio, si occupa del diritto di comparire
o non comparire negli elenchi telefonici, o della disciplina
dell'identificazione del chiamante sulle linee ISDN. Qui c'è da una parte il
diritto di chi chiama di sopprimere l'identificativo, e viceversa il diritto di
chi è chiamato di non essere molestato da telefonate anonime. Ci sono anche
riferimenti a chi, nell'ambito delle reti, è responsabile della sicurezza, un
altro aspetto che la direttiva generale non aveva risolto.
La sicurezza è un altro punto fondamentale. Noi a che punto siamo?
Per il momento è tutto affidato alla buona volontà dei singoli operatori,
dopo l'approvazione della legge le misure di sicurezza saranno obbligatorie per
l'applicazione dell'articolo 15. C'è da osservare poi che il progetto della
rete unitaria della pubbblica amministrazione porterà inevitabilmente alla
redazione di norme aggiuntive per disciplinare aspetti che altrimento
ostacolerebbero il processo di rinnovamento: penso ad esempio al pieno
riconoscimento giuridico del documento e della elettronico e della firma
digitale, e all'identificazione di alcune regole, se si riterrà di farlo, in
materia di crittografia. A questo riguardo il Belgio ha adottato alcune
settimane orsono una legge in materia di crittografia, molto breve e molto
simile a quella francese, che probabilmente a mio avviso è superata. Comunque
è una disciplina tutta nazionale, che non so quanto sarà efficace. Anche il
dibattito che è in atto negli Stati Uniti sull'esportazione dei software per la
crittografia è la dimostrazione che una disciplina interna non può risolvere
il problema. Non so se matureranno le condizioni per un accordo internazionale.
Nel farattempo però, facendo tesoro del dibattito americano, si potrebbe
pensare ad una disciplina "soft", che faccia un uso apprezzabile dei
codici di autoregolamentazione.
|