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InterLex - RIVISTA DI DIRITTO TECNOLOLOGIA INFORMAZIONE

 

Nuovo Datagate: è tempo di fondare l'etica delle tecnologie

Privacy e sicurezza - Manlio Cammarata - 22 marzo 2018


Prima o poi doveva succedere. Il lato oscuro dei "social" illuminato di colpo da uno scandalo senza precedenti. I dati personali di più di cinquanta milioni di cittadini usati per influenzare il voto per l'elezione del presidente degli Stati Uniti. Niente di nuovo per quanto riguarda il fine: questo libro del 1970 spiega come la televisione fu usata per manipolare l'opinione pubblica nelle elezioni presidenziali del 1968.
Cinquant'anni dopo, i meccanismi della persuasione occulta sfruttano i social network e la dipendenza dalle tecnologie. Le regole sul trattamento dei dati non bastano. Serve una "tecnoetica", che si traduca in leggi per il rispetto della libertà dei cittadini digitali.

La sostanza dei fatti è semplice e non sorprende chi ha un'idea, anche generica, di come funzionano in realtà i social network . Un'app come tante ha raccolto da Facebook i dati personali di più di cinquanta milioni di americani; il creatore dell'app ha venduto i dati a una società specializzata, la britannica Cambridge Analytica; questa ha elaborato i profili e li ha usati per somministrare informazioni addomesticate agli elettori, inducendoli a votare per un candidato e mettendo in cattiva luce la sua avversaria.

Ora si cerca il colpevole. Facebook, dice qualcuno, non Cambridge Analytica, che ha fatto il lavoro sporco. Mark Zuckerberg  ha aspettato tre giorni per pubblicare un post di autocritica e di promesse, ma quanti crederanno alle buone intenzioni del boss di Facebook?

Troppi, forse. Ma il solo fatto che abbia taciuto per tre giorni e non abbia affrontato una conferenza stampa la dice lunga. E' stato convocato da istituzioni e tribunali vari, mentre i media si interrogano su mandanti e mandatari. Ma probabilmente Zuckerberg non dirà che Facebook è solo un ingranaggio (forse il più importante, ma di sicuro in numerosa compagnia), di un meccanismo globale che fa del traffico di dati personali uno strumento essenziale dell'economia e della politica.

E' stato creato un circolo vizioso dal quale non sembra facile trovare una via d'uscita: un numero crescente di persone ha il telefonino o il tablet come snodo principale del lavoro, del tempo libero e delle relazioni con gli altri. L'apparecchio è la sua finestra sul mondo, tende a credere qualsiasi cosa gli venga comunicata attraverso i social e, se qualcuno gli dice «guarda che sono fake news», risponde «allora anche tu fai parte del complotto».

Intanto lo stesso utente fornisce ai padroni delle app una quantità smisurata di informazioni sul proprio conto. Non solo quelle che mette consapevolmente in rete (spesso non valutando le conseguenze), ma anche quelle che possono essere dedotte dalle sue scelte, dai suoi comportamenti, da dove va, da quello che scrive o che non scrive. Così alimenta il proprio profilo, che viene usato per dargli notizie addomesticate allo scopo di orientare i suoi acquisti e le sue scelte, anche politiche.

Dice Zuckerberg: verificheremo ogni app sospetta. Ma se dagli smartphone fossero eliminate tutte le app che spiano l'utente, non resterebbe più niente e il sistema si fermerebbe.

Certo, ci sono le leggi che regolano il trattamento dei dati personali. Alla luce del nuovo e più grave Datagate (il primo risale al 2013) fanno ridere, o piangere. Altro che informativa, consenso, principi di finalità e di continenza... Gli Over The Top, i padroni dei Big Data e dei social, gli specialisti della profilazione e della persuasione occulta non si curano di questi dettagli. Tanto, è il ragionamento, per un illecito che viene scoperto e sanzionato altri cento vanno avanti indisturbati. Che importa a Mark Zuckerberg di una multa di qualche milione di dollari, quando può perdere sei miliardi in tre giorni senza batter ciglio?

Serve un approccio diverso. Si deve partire dall'idea che il progresso delle tecnologie, che è utile per migliorare la vita delle persone, deve essere anche un motore della libertà (è quello in cui credevamo più di vent'anni fa, ai primi tempi dell'internet). E poi sviluppare questa idea per disegnare un nuovo quadro di regole che abbia al centro la persona, non il dato.

In sintesi, occorre un'etica delle tecnologie. Come i rischi insiti nei progressi della biologia e della medicina hanno portato allo sviluppo della bioetica, così gli sviluppi delle innovazioni digitali devono essere assistiti da una "tecnoetica" che sia di riferimento per i legislatori e di orientamento per le imprese.

Solo in questo modo potremo sottrarci al ricatto digitale che condiziona le nostre vite: i tuoi dati in cambio della tua esistenza in rete, i tuoi dati per farti fare quello che interessa a noi. Senza alternative.

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