In Spagna il l'Autorità per la privacy ha inflitto a Facebook una multa di 1,2
milioni per la violazione delle norme sul trattamento dei dati. La decisione
apre uno spiraglio sui trattamenti operati dai padroni dei Big Data in spregio
delle leggi. Il
testo della decisione – 93 pagine piene di informazioni interessanti –
è riassunto dal comunicato stampa (in spagnolo e in inglese), sufficiente per mettere a fuoco i termini della
questione: l'Agencia Española de Protección de Datos (AEPD) contesta alla ditta di Zuckerberg due
infrazioni "serie" e una "molto seria" della normativa sulla
protezione dei dati.
In estrema sintesi: Facebook non presenta informazioni dettagliate sui
dati raccolti, sui trattamenti svolti e sulle finalità dei trattamenti. Dunque
non ottiene un consenso informato.
Inoltre non ottiene il consenso specifico al trattamento dei dati sensibili (datos
especialmente protegidos), come le opinioni politiche, le tendenze sessuali,
le credenze religiose. Questa, secondo l'Autorità spagnola, è l'infrazione
più grave.
Un altro punto messo in rilievo è la raccolta dei dati di navigazione al di
fuori di Facebook. Si tratta dei famosi (o famigerati) cookie di tracciamento,
grazie ai quali la società di Menlo Park pedina i sui utenti nella loro
navigazione, raccogliendo altri dati dei quali non fa menzione nelle
informative.
La decisione dell'AEPD è importante perché probabilmente è la prima di un
Garante europeo che analizza come un social network possa entrare negli aspetti
più riservati della vita privata dei suoi utenti, fino a disegnarne un profilo
dettagliato nei minimi particolari. Che poi questo profilo sia usato solo per
personalizzare gli annunci pubblicitari è un'affermazione a cui nessuno può
credere, viste le premesse.
Il fatto è che le logiche di raccolta e trattamento dei dati contestate a
Facebook, nella sostanza sono simili, se non identiche, a quelle adottate da
molti altri "Over The Top" del Web. Per rendersene conto basta leggere
le informative di Google o di Microsoft, che a questo punto appaiono almeno
"reticenti" come quelle della ditta di Zuckerberg.
Siamo arrivati al punto predetto da molte inascoltate Cassandre, come il
rimpianto Stefano Rodotà: una società della sorveglianza globale, nella
quale ogni comportamento, quasi ogni pensiero di una persona, è registrato,
elaborato e utilizzato per gli scopi più diversi.
Sono tanti, troppi, coloro che non si rendono conto che le notizie pubblicate
volontariamente, combinate con quelle raccolte "di nascosto" e con
quelle di tutti i cosiddetti "amici", sono oro colato per chi dalle
informazioni personali trae profitto e ne fa commercio.
Tutto questo con la potenza dei Big Data, del machine learning e
dell'intelligenza artificiale, che si continua a voler vedere solo come la
salvezza dell'umanità. Mentre si dimentica, o si finge di dimenticarne, il
potenziale distruttivo per la libertà delle persone.
C'è un corollario finale, su quale dovremo ritornare presto: non c'è un
modo per sottrarsi a questa condizione. Per "essere su Facebook" (o su
un altro social network), per leggere notizie, per fare acquisti on line, la
condizione è concedere al profilatore di turno ogni informazione sulla propria
vita privata, oltre alle notizie che ciascuno rende pubbliche.
E' uno scambio alla pari?
|