Si incomincia col Ministro degli esteri che parla di contact tracing a Sky TG24, dimostrando di non avere capito nulla: «Serve a permettere ad un
cittadino di avere una segnalazione nel caso in cui stia per entrare a contatto
con un positivo».
Si continua con una imbarazzante manifestazione di non-competenza, quella del "braccialetto"
inventato dal giornalista Riccardo Luna (componente della task force
governativa contro le fake news).Partiamo dal ministro Di Maio: «Prima di tutto, è
un'app fatta dal Governo,
quindi non è nelle mani di un cloud o di un'azienda privata» (qui il video). E' falso, fake news. Immuni
è fatta da un'azienda privata, la Bending Spoons, e resterà nelle sue mani
perché la darà in licenza e ne curerà la manutenzione (come si legge nell'ordinanza
del commissario Arcuri).
Continua il Ministro: «... Serve a permettere ad un cittadino di avere una
segnalazione nel caso in cui stia per entrare a contatto con un positivo».
Anche questo non è vero, perché l'app serve a tutt'altro, come è stato
ampiamente spiegato anche su queste pagine di InterLex.
Poi, va detto per onore di cronaca, il Ministro ha fatto un'osservazione
corretta: «..in questo Paese ci facciamo geolocalizzare anche quando dobbiamo
ordinare una pizza o un panino con un'app, ci facciamo geolocalizzare da tutti i
social del mondo che sanno tutto su di noi, gli diamo tutte le autorizzazioni,
facciamo un'app che è facoltativa e non prevede penali per chi non la usa e
scoppia la polemica sulla privacy. E dove scoppia? Su quei social a cui hai dato
l'autorizzazione a trattare tutti i dati personali».
Passiamo alla fake del cacciatore di fake news. In sostanza, in
Otto e mezzo di sabato scorso Riccardo Luna ha detto che, per tutti coloro che non fossero dotati di
smartphone (anziani in primis), basterebbe acquistare nelle edicole un braccialetto
Bluetooth da pochi euro e passerebbe la paura (qui il video, si veda dal minuto 31:44).
Mi piacerebbe che qualcuno chiedesse a questo paladino delle true news come potrebbe questo braccialetto
emettere degli alert e veicolarli in rete.
E tralascio le complicazioni di installare in un braccialetto da pochi soldi un sistema crittografico
come quello proposto da Apple e Google o come immagazzinare dati che potrebbero anche essere molti.
Insomma, assistiamo alla solita disinformazione (colposa) di giornalisti che,
pur occupandosi di tecnologia anche a livelli istituzionali, non dimostrano una
reale conoscenza degli argomenti.
Un plauso invece va alla giornalista Marianna Aprile che, come al solito, ha centrato il problema: che succede una volta che vengo avvisato del fatto che sono entrato in contatto con un contagiato?
Ecco, questo è il vero problema.
Me ne devo stare rinchiuso altri quindici giorni in quarantena, dopo quelli già osservati durante il
lookdown, senza nessun riscontro oggettivo (tampone), e con tutti i rischi di diventare io lo strumento di contagio?
Esisterà un protocollo che disciplinerà il primo tampone, quello a 15 giorni e i successivi riscontri?
Chi dovrà farli?
Mi fermo ma, ad oggi almeno, il problema principale non mi pare quello della privacy, che pure esiste, ma la nebulosità di quello che dovrebbe accadere una volta che divento oggetto/soggetto della
"notificazione".
E tutto questo non mi lascia per niente tranquillo.
* Già direttore dei sistemi informativi di MC-link
|