"Privacy pubblica" sembra un ossimoro. Ma i fatti di questi giorni,
ultimi di una lunga serie, dimostrano che le intrusioni tecnologiche
nell'attività dei personaggi pubblici sono continue e le difese non ci sono, o
non sono efficaci.
Partiamo dalle prime pagine dei quotidiani on line di questa mattina.
Corriere della Sera: Voci di segreti e dossier russi Trump è ricattabile? - Cyberspie nei cellulari di Renzi e Draghi; la Repubblica: Cyberspionaggio, rimosso il capo della postale - Usa, nuova tegola su Trump "Russi possono ricattarlo";
La Stampa: Carrai: Il giallo dei fratelli che spiavano l’Italia “Potranno
aggredirci anche con i droni”.
La memoria va subito a un caso ancora attuale: la sindaca di Roma e i
consiglieri che telefonano e fanno riunioni sul tetto del Palazzo, temendo che
nelle sale ci sia qualche cimice. Timore giustificato anche prima delle
notizie di ieri, ma la soluzione dimostra che gli amministratori della Capitale
non hanno la minima idea di che cosa sia la sicurezza.
Quando hai ragione di sospettare di essere spiato da qualche cimice, la prima
cosa da fare è chiamare un esperto qualificato. Che, in un batter d'occhio e
con appositi apparecchi, localizza microfoni, telecamere e quant'altro sia stato
inventato per farsi i fatti altrui.
Scovati, se ci sono, gli intrusi elettronici, puoi scegliere tra diverse
soluzioni: a) procedere alla "bonifica" (da ripetere periodicamente,
diciamo una volta alla settimana); b) chiamare i Carabinieri o la Polizia o la
Guardia di Finanza, a scelta e secondo le tue simpatie personali; c) documentare
il tutto e presentare un esposto alla Procura della Repubblica; d) fare tutte
queste cose, nel giusto ordine.
La non-soluzione è andare sul tetto: primo, perché è ridicolo; secondo,
perché appena l'ipotetico spione lo viene a sapere, ti piazza le cimici anche
tra le tegole.
Ma, prima di tutto, devi avere nell'ufficio accanto al tuo un esperto di
sicurezza (un esperto vero, non assunto per meriti politici o di altra
natura), sempre all'erta e pronto a intervenire in qualsiasi momento. Anche per
sbatterlo fuori al primo incidente. Perché, se un'intrusione va a segno, il
primo colpevole non è l'attaccante abile, ma il difensore inetto.
E' necessario ripeterlo fino alla noia: siamo tutti vulnerabili dalle
tecnologie. Anche, e soprattutto, se non le amiamo e le usiamo il meno
possibile, perché sappiamo di non sapere come si controllano. Mentre un
uso consapevole dei mille arnesi tecnologici che fanno parte della nostra vita
è la prima difesa contro ogni invasione della vita pubblica come di quella
privata.
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