La scuola è ricominciata. "In presenza", evviva! Quest'anno le TV
aggiungono i problemi del Covid, ma nella sostanza i servizi sono sempre gli
stessi, con le stesse immagini di piedi di pargoli e adolescenti in scarpe da ginnastica, per lo
più bianche. Se per caso nell'inquadratura compare un viso, è
"offuscato". Perché? E' la privacy, bellezza, la privacy! E tu non
puoi farci niente!
Non è vero. Il problema non è "la privacy", ma la pervasiva "sindrome da
privacy", che affligge redazioni, aziende, enti pubblici e privati.
La cancellazione dei volti dei bambini dagli schermi – e dalle pagine dei
giornali – è necessaria "per la privacy", si dice. Ma è davvero
così?
Nel GDPR non c'è nulla in proposito. Invece nel "codice privacy",
ovvero il DLGV 196/2003 una norma c'è:
Art. 50. Notizie o immagini relative a minori
1. Il divieto di cui all'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica
22 settembre 1988, n. 448, di pubblicazione e divulgazione con qualsiasi mezzo
di notizie o immagini idonee a consentire l'identificazione di un minore si
osserva anche in caso di coinvolgimento a qualunque titolo del minore in
procedimenti giudiziari in materie diverse da quella penale. La violazione del
divieto di cui al presente articolo è punita ai sensi dell'articolo 684 del
codice penale.
Ma che dice la norma richiamata? Ecco la disposizione nel DPR
448/98:
Art. 13. Divieto di pubblicazione e divulgazione.
1. Sono vietate la pubblicazione e la divulgazione, con qualsiasi mezzo, di
notizie o immagini idonee a consentire l'identificazione del minorenne comunque
coinvolto nel procedimento.
2. La disposizione del comma 1 non si applica dopo l'inizio del dibattimento se
il tribunale procede in udienza pubblica.
Per completezza di informazione, l'articolo 684 del codice penale punisce con
l'arresto fino a trenta giorni o con l'ammenda da 51 a 258 euro "chiunque
pubblica, in tutto o in parte, anche per riassunto o a guisa d'informazione,
atti o documenti di un procedimento penale, di cui sia vietata per legge la
pubblicazione".
Ma la norma contempla solo "notizie e immagini idonee a consentire
l'identificazione di un minorenne", e solo in un processo penale, fino a
quando non c'è un pubblico dibattimento.
Dunque il divieto di pubblicazione è circoscritto a una situazione specifica,
che il "codice privacy" estende – con buone ragioni – a
procedimenti giudiziari anche non penali. Ma non prevede la cancellazione
sistematica e generalizzata dei volti di bambini e adolescenti.
Qual è il dunque il provvedimento che impone (o imporrebbe) la scomparsa dei
volti dei minori dagli organi di informazione? Ci sono due norme che si regolano
la materia. La prima è l'articolo 7 del Codice di deontologia relativo al
trattamento dei dati personali nell'esercizio dell'attività
giornalistica, previsto dalla legge 675/96 e approvato dal Garante nel
1988 (alla fine del 2018 il Garante ha emanato la versione del Codice aggiornata
al GDPR, ma nulla è cambiato rispetto alla prima versione): non c'è nessun
divieto di pubblicare i volti dei minori.
C'è poi la Carta di Treviso del 1990, aggiornata nel 2006
(sempre con la benedizione del Garante dei dati personali) : qui si trova
l'unico, fragile appiglio, per spiegare la scomparsa dei volti dei bambini e
degli adolescenti dai mezzi di informazione. Dice la Carta:
2) va garantito l'anonimato del minore coinvolto in fatti di
cronaca, anche non aventi rilevanza penale, ma lesivi della sua personalità,
come autore, vittima o teste; tale garanzia viene meno allorché la
pubblicazione sia tesa a dare positivo risalto a qualità del minore e/o al
contesto familiare e sociale in cui si sta formando;
3) va altresì evitata la pubblicazione di tutti gli elementi che possano con
facilità portare alla sua identificazione, quali le generalità dei genitori,
l'indirizzo dell'abitazione o della residenza, la scuola, la parrocchia o il
sodalizio frequentati, e qualsiasi altra indicazione o elemento: foto e filmati
televisivi non schermati, messaggi e immagini on-line che possano contribuire
alla sua individuazione.
Anche qui il divieto di pubblicazione non è generale, ma circoscritto a
situazioni e informazioni specifiche. E non si applica "allorché la
pubblicazione sia tesa a dare positivo risalto a qualità del minore e/o al
contesto familiare e sociale in cui si sta formando". In ogni caso, né la
deontologia dei giornalisti né la Carta di Treviso sono disposizioni di rango
legislativo.
Allora, da dove nasce questione? Lo spiega il Corriere
della sera dell'8 novembre 2011 :
C'è chi specula su queste cose: davanti a una foto senza
liberatoria, in nome della privacy, in tanti hanno provato a chiedere soldi al
giornale. E a volte li hanno ottenuti. La sensazione è però che per evitare
rogne si rischi a volte di essere più realisti del re, rinunciando a raccontare
una parte importante del nostro mondo, quasi una moderna forma di censura.
Infatti, quale danno possono subire un bambino ripreso mentre ruzzola allegro
in un parco giochi, un adolescente alle prese con l'esame di maturità o un
neonato tra le braccia di qualcuno che cerca di sottrarlo a un difficile destino
nell'inferno di Kabul? È la conseguenza di una normativa ridondante, confusa,
che non produce una conoscenza sostanziale dei diritti e dei doveri in materia
di protezione dei dati personali.
L'ossessione per la "privacy" porta anche a risultati che cozzano
con il buonsenso. Un esempio è quello della non conoscibilità da parte di un
imprenditore dello stato di salute di un dipendente. Il che suscita qualche
difficoltà anche per l'applicazione dell'art. 2087 del codice civile, che
prescrive: "L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio
dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e
la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità
morale dei prestatori di lavoro".
Mentre in questo tempo di pandemia il Garante ha ribadito che un
preside non è legittimato a sapere se un docente è vaccinato, guarito o
"tamponato". Uno tra i tanti interventi e provvedimenti del Garante in
materia di contrasto alla pandemia da Coronavirus, che richiederebbero un
capitolo a parte. La lettura dell'apposita pagina
sul sito del Garante è d consigliare a chi voglia farsi un'idea di quanti e
quali ostacoli la "privacy" opponga alle iniziative delle autorità
statali e locali in difesa della salute dei cittadini.
Sempre in materia di salute, un esempio significativo riguarda il fascicolo
sanitario elettronico (FSE), che dovrebbe presentare un quadro completo della
salute di un cittadino, importante soprattutto in caso di emergenza. Bene,
"per la privacy" il cittadino può chiedere che nel FSE venga nascosta
qualsiasi informazioni relativa al suo stato di salute. Per esempio, la
circostanza che è affetto da AIDS. Neanche il suo medico di base può saperlo.
Con le conseguenze che è facile immaginare.
Questa situazione è anche dovuta a un equivoco di fondo: la normativa
iniziata con la direttiva UE del 1995 non è "sulla privacy", ma
"sulla protezione dei dati personali". Con le conseguenze che vedremo
ancora nelle prossime puntate.
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