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Grazie, molto corretto, complimenti. Altri siti mi tracciano senza dirmelo,
perché il "Do Not Track" del browser può essere facilmente aggirato
all'insaputa dell'utente. Ma il problema resta lo stesso: le mie informazioni
personali sono merce di scambio e non c'è altra "moneta" che possa
sostituirle. Per chi mi propone il baratto, i miei dati valgono molti soldi.
Perché?
Perché le informazioni sul mio conto, raccolte nelle occasioni e con i
pretesti più diversi, spesso a mia insaputa, sono rivendute, analizzate ed
elaborate con sistemi di (cosiddetta) intelligenza artificiale, che concorrono a
disegnare il mio "profilo". E a che serve il mio profilo ai padroni
dei dati, anzi dei Big Data? Serve a somministrarmi informazioni
"personalizzate" per influenzare le mie idee, le mie decisioni, i miei
comportamenti. Senza che io possa capire se l'informazione che ricevo è
addomesticata, da chi, con quale scopo. So solo che è determinata da un
algoritmo che tiene conto del mio profilo.
Mi dicono che una nota ditta italiana di sistemi antifurto "in
abbonamento" installa nelle abitazioni dei clienti una o più telecamere di
sicurezza, sempre in funzione. Se il cliente cerca di disattivare una
telecamera, scatta il previsto allarme anti-sabotaggio. Se copre l'obiettivo,
scatta l'allarme anti-accecamento...
E' un trattamento di dati personali ancora più invasivo di quello compiuto dai
televisori "intelligenti", perché almeno su questi si può staccare
la spina. Ma allora non si vede la TV, obietterà qualcuno. E' vero, ma spesso
non è un danno, si può rimediare con un buon libro.
Il problema è che l'attuale sistema di protezione dei dati personali (vedi
il GDPR) fonda solo sul consenso la liceità del trattamento. Non ci sono
trattamenti vietati tout court, senza eccezioni, come la telesorveglianza
continua dei comportamenti privati.
Così come non è obbligatorio offrire un sistema alternativo per operazioni
che, senza una ragione tecnica, mettono a repentaglio la riservatezza. Un solo
esempio: per copiare la rubrica da un telefonino a un altro ora i maggiori
produttori impongono il passaggio attraverso il cloud. In pratica, si deve
mettere a disposizione di chissà chi la nostra rete di conoscenze, quando
sarebbe più semplice – e molto più sicuro – usare un cavetto USB, o il
bluetooth o il wi-fi di casa.
L'invito – più spesso l'obbligo – di conservare i propri dati
"sulla nuvola" espone gli stessi dati a possibili azioni di hacker di
ogni risma, anche nell'ipotesi che nessun sistema di data mining sia in
azione. Ma si deve riflettere su quale sia l'interesse delle grandi aziende del
web a offrire a chiunque, gratis, uno spazio nel cloud.
Ma che cos'è il "cloud"? Non è una nuvola e non sta tra le
nuvole. E' un sistema informatico, un server gestito da chissà chi, posto in un
luogo che non si sa, forse in un Paese che non offre una protezione dei dati
così piena (sulla carta) come nell'Unione europea. Chi protegge le tue
informazioni? Lo stesso che ha tutto l'interesse a trattarle e/o a rivendere.
Chi controlla? Nessuno: i controlli da parte di terze entità sono praticamente
impossibili, in sistemi di così grande complessità.
Non basta. Ne abbiamo già parlato, ma nessuno sembra curarsi del rischio che
corrono tante informazioni che riguardano noi e le nostre reti di contatti
quando sono archiviate o soltanto passano nella memoria degli smartphone, dove
una quantità incontrollabile di app fa man bassa di dati personali. App che
spesso è molto difficile eliminare. E la facoltà di negare il consenso a certi
trattamenti in molti casi è pura fuffa.
Disabiliti il GPS? Bene, la tua posizione sarà calcolata con una
triangolazione tra le celle a cui il tuo apparecchio si registra. E certe
funzioni non possono essere disabilitate, perché vale sempre il baratto iniquo
(=ricatto): i tuoi dai in cambio dell'app gratuita o quasi.
Il fatto stesso di usare il telefonino per le operazioni più elementari
mette a rischio i dati dell'utente. L'agenda, per esempio: prima gli
appuntamenti erano conservati nella memoria interna. Ora vanno a finire
direttamente nel cloud, come qualsiasi appunto che in altri tempi avresti
scritto su un "pizzino".
E se usi il telefonino per fare acquisti online, ecco altre ghiotte
informazioni per i manipolatori di Big Data. E se lo usi per operazioni
bancarie? Beh, sei quantomeno imprudente. Perché è vero che il sistema ti può
riconoscere in modo abbastanza sicuro, e che la connessione è cifrata. Ma chi
ti garantisce che nell'apparecchio non ci sia qualche app che prende nota di
tutto quello che fai?
Se tutto questo non ti piace, non hai altra scelta che non usare uno
smartphone, non iscriverti a un social network, non fare ricerche con Google,
non scambiare email...
Insomma, devi rinunciare alla tua cittadinanza digitale.
Oppure devi subire il ricatto, cedere i tuoi dati e perdere buona parte della
tua libertà.
Di fronte a questa alternativa non c'è difesa, perché le leggi non
contemplano il ricatto digitale e non è materialmente possibile constatare e
perseguire le tante violazioni delle poche norme che, sulla carta, dovrebbero
proteggere la vita privata di tutti.
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