| Sono tante le attività che il Garante avrebbe potuto fare in anticipo sulla
scadenza del 25 maggio. Ma, anche nei documenti già messi a disposizione, ci
sono tanti problemi insoluti. Prendiamone due...1. C’è un profilo importantissimo per la riorganizzazione dei ruoli
      privacy cui le aziende sono chiamate nell’attuale, burrascoso momento di
assessment. Tutti sappiamo, che nel regime del Codice privacy, si è fatto
      ampissimo ricorso all’istituto della designazione come responsabile di
      soggetti interni alla propria organizzazione (resa possibile dalla
      disciplina del Codice, sotto questo profilo non pienamente in linea con
      lo spirito della Direttiva 45/CE): è quasi paradigmatico, sul mercato, lo
      schema che vede designati come responsabili, ad esempio, il livello
      apicale della funzione risorse umane, quello dell’IT o quello dell’amministrazione. Ora, rispetto a tale realtà, la nuova configurazione del ruolo di
    responsabile del trattamento, così come delineata nell’art. 28 del GDPR,
    reca con sé una innovazione di eccezionale rilievo: per come concepito dal
    legislatore europeo, infatti, il ruolo del responsabile è necessariamente
    disegnato su un soggetto esterno all’azienda, che opera "per
    conto" del titolare, e che (basta scorrere, appunto, l’art. 28) ha
    una serie di caratteristiche intrinseche incompatibili con un soggetto che
    faccia parte dell’organigramma interno del titolare. Ci si sarebbe aspettati, quindi, che almeno nella attività informativa
    di base, costituita dalla Guida Operativa pubblicata dal Garante, e da ultimo
    aggiornata, si dedicasse al tema almeno un accenno, spiegando che i
    responsabili interni non possono più esistere in quanto tali. Ed invece no:
    nemmeno una riga. Con il risultato che, nel delirio che sta caratterizzando
    l’avvicinamento al 25 maggio, moltissime organizzazione non si stanno
    nemmeno ponendo il problema della doverosa ri-definizione del ruolo di
    quelli che ormai dovremmo chiamare ex-responsabili;2. Nelle FAQ in ambito privato, il Garante ha ritenuto utile lanciarsi
          in una elencazione di soggetti che devono considerarsi "tenuti
          alla nomina del DPO". Nonostante lo stesso documento chiarisca in
          un inciso il fatto che quella elencazione postuli comunque che
          sussistano i presupposti fissati dall’art. 37, il messaggio che è
          passato è che, ad esempio, un call center, in quanto tale, sia tenuto
          alla designazione del DPO. Ripeto: nel documento, se lo si legge con
          attenzione, l’Autorità ha chiarito la portata della elencazione, e
          per i più avveduti è agevole rilevare che un call center non è
          affatto tenuto ad avere un DPO, se non svolge operazioni di
          trattamento descritte nell’art. 37. Quello che va evidenziato,
          allora, in questo caso, è un deficit di chiarezza e di comunicazione,
          che, se non si vogliamo chiudere gli occhi e far finta di nulla, sta
          portando a vivere come una sorta di prescrizione quello che l’Autorità
          ha invece voluto lanciare come elemento chiarificatore, che tutto ha
          fatto meno che chiarire. Tanto c’è da fare, allora. Ma, anche nelle cose già fatte, sarebbe
    forse il caso di operare qualche aggiustamento. * Avvocato |